Le unioni civili e le convivenze dopo la legge del 20 maggio 2016, n. 76

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1. Il 5 giugno del 2016 è entrata in vigore la Legge 20 maggio 2016, n. 76, la quale ha introdotto in Italia l’istituto dell’unione civile e previsto la disciplina delle convivenze di fatto. La suddetta normativa si è resa necessaria a seguito della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 21 luglio 2015, Oliari c. Italia, che ha condannato l’Italia in quanto vietava alle coppie omosessuali di contrarre matrimonio senza, però, dar loro la possibilità di accedere ad altra forma di rapporto giuridicamente riconosciuto, tale da tutelarne il rapporto.
 
2. L’articolo 1, comma 1, della legge n. 76/2016, istituisce l’unione civile, prevedendola quale formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione. In particolare, per unione civile s’intende il rapporto costituito da due persone dello stesso sesso, reciprocamente obbligate all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Il termine unione civile individua sia l’atto che il rapporto con lo stesso costituito.
 
3. L’art. 1, commi 36 ss., invece, reca la disciplina delle convivenze. Si prevede che «per conviventi di fatto devono intendersi due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile». La disposizione non fa espresso riferimento, a differenza dell’unione civile, al sesso dei conviventi, ma si ritiene pacificamente che questi possono anche essere dello stesso sesso.
 
4. A seguito della novella del 2016, dunque, risultano espressamente previste nell’ordinamento giuridico italiano tre differenti “forme familiari”: il matrimonio, la cui disciplina si trova negli artt. 79 ss. c.c. e nell’art. 29 della Costituzione; l’unione civile tra persone dello stesso sesso, la cui regolamentazione deriva dall’art. 1, commi 1-34, l. n. 76/2016 e dall’art. 2 della Costituzione; la convivenza, prevista dall’art. 1, commi 36-65, l. n. 76/2016 e dall’art. 2 della Costituzione.
 
5. L’unione civile, pertanto, anche se disciplinata sul modello dell’istituto matrimoniale, è una figura differente, dotata di una propria regolamentazione che non prevede, a differenza del matrimonio, l’obbligo della fedeltà e della collaborazione; si dispone, inoltre, la possibilità di risoluzione unilaterale del rapporto in ogni tempo. La differenza tra i due istituti risulta peraltro confermata dalla sentenze della Corte Costituzionale dell’11 giugno 2014, n. 170, la quale ha chiarito che la nozione di matrimonio presupposta dal Costituente è quella definita dal codice civile del 1942, che dispone la differenza di sesso tra i coniugi, mentre l’unione tra persone dello stesso sesso e “forma alternativa (e diversa dal matrimonio)”.
 
6. Bisogna precisare, inoltre, che, mentre dal matrimonio e dall’unione civile deriva lo status familiare, rispettivamente, di coniugato e di unito civilmente, la convivenza non attribuisce alcuno status familiae. L’unione in commento si costituisce attraverso dichiarazione resa di fronte all’ufficiale di Stato Civile e alla presenza di due testimoni; l’ufficiale procede alla registrazione degli atti nell’archivio dello Stato Civile. L’art. 1, comma 24, l. n. 76/2016, dispone lo “scioglimento” diretto dell’unione civile per effetto di domanda apposita, la quale deve essere anticipata dalla dichiarazione di volontà resa tre mesi prima all’Ufficiale di Stato Civile. Non trovano applicazione, dunque, le disposizioni sulla separazione. L’art. 1, comma 20, l. n. 76/2016, prevede una c.d. clausola generale di estensione, per mezzo della quale «al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e l’adempimento degli obblighi nascenti dall’unione civile, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e tutte quelle contenenti la parola “coniuge” o “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi e negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile». Una tale previsione, invero, non è prevista per le norme del codice civile e per le disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo, dunque, quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme previgenti.
 
7. Le principali caratteristiche dell’unione civile sono le seguenti: gli uniti civilmente – mediante dichiarazione all’ufficiale di Stato Civile – possono decidere di assumere un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi, ferma restando la possibilità di posporre o anteporre il proprio a quello comune; le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri, devono contribuire ai bisogni comuni secondo le proprie capacità personali e professionali, concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano una residenza comune; il regime patrimoniale legale è la comunione dei beni; l’unito civilmente è preferito dal giudice tutelare, ove possibile, in ipotesi di attivazione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno nei confronti dell’altro unito.
 
8. Lo scioglimento dell’unione può avvenire automaticamente in caso di morte, dichiarazione di morte presunta, rettifica di attribuzione del sesso e su domanda in ipotesi di divorzio per cause legali (l. n. 898/1970, art. 3, numeri 1) e 2), lett. a), b), c), d) ed e)), recesso unilaterale e scioglimento consensuale (in queste ultime due ipotesi la domanda è proponibile decorsi tre mesi dalla manifestazione di volontà divorzile dinanzi all’ufficiale di Stato Civile). In base a quanto previsto dall’art. 1, comma 27, l. n.76/2016, emerge una peculiarità nella disciplina dell’unione civile rispetto al matrimonio. In quest’ultimo caso, infatti, i coniugi, in ipotesi di rettifica del sesso di uno dei due possono decidere di conservare il rapporto familiare passando all’istituto dell’unione civile. Tale possibilità non è prevista per gli uniti civilmente, i quali, dunque, perdono lo status familiae, determinando la rettifica del sesso lo scioglimento dell’unione.
 
9. Con riferimento alla convivenza di fatto, bisogna sottolineare che prima dell’emanazione della l. n. 76/2016, nonostante l’affermata rilevanza sociale della stessa, questa non era normativamente regolata. Così, la l. n. 76/2016 ha introdotto, in primo luogo, una definizione di convivenza di fatto e ne ha previsto la registrazione mediante dichiarazione resa all’Ufficio anagrafico. Da ciò, sembra potersi desumere che l’elemento costitutivo della convivenza di fatto è, appunto, la “stabile convivenza”, mentre strumento accertativo di questa è la verifica anagrafica. Sul punto, tuttavia, una parte della dottrina italiana ritiene che la nozione legale di convivenza di fatto non imponga, quale elemento necessario, la dichiarazione anagrafica, in quanto tale dato formale contrasterebbe con la natura stessa della forma familiare in analisi.
 
10. Ai conviventi di fatto sono state attribuite una molteplicità di prerogative in materia di ordinamento penitenziario, malattia o ricovero, direttive anticipate di trattamento terapeutico e direttive post-mortem, casa familiare, locazione, edilizia popolare, impresa familiare, misure di protezione degli adulti vulnerabili, danno parentale, tali per cui la loro posizione risulta per molti aspetti similare a quella dei coniugi o, comunque, degli uniti civilmente. L’art. 1, comma 50, l. 76/2016, ha previsto, inoltre, la possibilità per i conviventi di disciplinare i loro rapporti patrimoniali tramite la sottoscrizione di un “contratto di convivenza”, da intendersi quale strumento meramente facoltativo. Questo deve essere redatto in forma scritta, con scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato o atto pubblico, a pena di nullità. Ai fini dell’opponibilità ai terzi, il professionista che ha ricevuto l’atto in forma di atto pubblico o che ne ha autenticato la sottoscrizione deve provvedere entro i dieci giorni successivi a trasmetterne copia al Comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe.
 
11. Cause di risoluzione del contratto di convivenza sono: l’accordo tra le parti, il recesso unilaterale, la morte di uno dei conviventi, il matrimonio o l’unione civile tra gli stessi o tra un convivente e altra persona. Ai sensi dell’art. 1, comma 65, l. n. 76/2016, in caso di cessazione della convivenza di fatto il Giudice può stabilire il diritto del convivente di riceve dall’altro gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento.
 
Francesco La Fata, Università del Sannio.
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