Responsabilità civile e diritto sportivo: il Consiglio di Stato ridisegna i confini del danno da perdita di “chance”.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza 3065 del 2017, riforma il provvedimento del Tar Lazio che, in primo grado, riconosceva ad un’atleta di “beachvolley” un lauto risarcimento del danno, maturato in conseguenza dell’illegittima squalifica di sei mesi.
La sentenza in analisi ha l’inconfondibile pregio di offrire uno spaccato trasversale delle problematiche, non ancóra sopite, relative all’interazione di istituti squisitamente civilistici con il diritto sportivo: in tale occasione, infatti, la disciplina dell’illecito civile e il conseguente risarcimento del danno assumono contorni diversi, rimodellati alla luce della dicotomica distinzione intercorrente tra attività professionistica e dilettantistica.
Preliminarmente, il Consiglio di Stato affronta la complessa tematica della pregiudiziale sportiva: dibattito aperto resta quello relativo all’ampiezza del sindacato del giudice amministrativo, individuato dalla l. 280 del 2003 come autorità a cui è devoluta, in sede di giurisdizione esclusiva, la tutela di interessi rilevanti anche al di fuori del mero contesto sportivo. Punto di equilibrio, raggiunto dalla interpretazione della Corte Costituzionale con la sent. 49 del 2011, è rappresentato dalla intangibilità del provvedimento di giustizia sportiva, salva la relativa valutazione dello stesso “incidenter tantum”, contemperata dalla riparazione per equivalente, che confluisce nella sfera dell’atleta ogni qual volta l’illegittimità del provvedimento disciplinare spieghi effetti negativi anche sotto un profilo economico e personale.
Sempre ferma sullo sfondo la classificazione tra diritti disponibili e indisponibili, la giustizia cosí come contemplata dalla legge del 2003 assume i contorni di un «modello progressivo a giurisdizione condizionata», che bilancia forme rimediali caducatorie e risarcitorie, al fine di giungere ad una tutela piena ed effettiva.
La prospettiva secondo la quale l’intervento dell’autorità amministrativa non può che incanalarsi nel solco già delineato in sede sportiva rappresenta la “ratio” sottesa alla presa di posizione del Consiglio di Stato: il danno per la perdita di “chance”, lamentato dalla atleta e liquidato in primo grado, rappresenta lesione che non meriterebbe compensazione in quanto, appartenendo la disciplina del “beachvolley” ad una federazione dilettantistica, eventuali contratti di sponsorizzazione e fonti di guadagno ultronee non sarebbero altro che occasioni “a latere”, non connaturate alla natura stessa dell’attività posta in essere e, pertanto, non meritevoli di tutela compensativa.
Dra. Annunziata Rapillo, Università degli Studi di Salerno.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza 3065 del 2017, riforma il provvedimento del Tar Lazio che, in primo grado, riconosceva ad un’atleta di “beachvolley” un lauto risarcimento del danno, maturato in conseguenza dell’illegittima squalifica di sei mesi.
La sentenza in analisi ha l’inconfondibile pregio di offrire uno spaccato trasversale delle problematiche, non ancóra sopite, relative all’interazione di istituti squisitamente civilistici con il diritto sportivo: in tale occasione, infatti, la disciplina dell’illecito civile e il conseguente risarcimento del danno assumono contorni diversi, rimodellati alla luce della dicotomica distinzione intercorrente tra attività professionistica e dilettantistica.
Preliminarmente, il Consiglio di Stato affronta la complessa tematica della pregiudiziale sportiva: dibattito aperto resta quello relativo all’ampiezza del sindacato del giudice amministrativo, individuato dalla l. 280 del 2003 come autorità a cui è devoluta, in sede di giurisdizione esclusiva, la tutela di interessi rilevanti anche al di fuori del mero contesto sportivo. Punto di equilibrio, raggiunto dalla interpretazione della Corte Costituzionale con la sent. 49 del 2011, è rappresentato dalla intangibilità del provvedimento di giustizia sportiva, salva la relativa valutazione dello stesso “incidenter tantum”, contemperata dalla riparazione per equivalente, che confluisce nella sfera dell’atleta ogni qual volta l’illegittimità del provvedimento disciplinare spieghi effetti negativi anche sotto un profilo economico e personale.
Sempre ferma sullo sfondo la classificazione tra diritti disponibili e indisponibili, la giustizia cosí come contemplata dalla legge del 2003 assume i contorni di un «modello progressivo a giurisdizione condizionata», che bilancia forme rimediali caducatorie e risarcitorie, al fine di giungere ad una tutela piena ed effettiva.
La prospettiva secondo la quale l’intervento dell’autorità amministrativa non può che incanalarsi nel solco già delineato in sede sportiva rappresenta la “ratio” sottesa alla presa di posizione del Consiglio di Stato: il danno per la perdita di “chance”, lamentato dalla atleta e liquidato in primo grado, rappresenta lesione che non meriterebbe compensazione in quanto, appartenendo la disciplina del “beachvolley” ad una federazione dilettantistica, eventuali contratti di sponsorizzazione e fonti di guadagno ultronee non sarebbero altro che occasioni “a latere”, non connaturate alla natura stessa dell’attività posta in essere e, pertanto, non meritevoli di tutela compensativa.
Dra. Annunziata Rapillo, Università degli Studi di Salerno.