Materia:
Locazione di immobili urbani ad uso abitativo e non abitativo.
Fattispecie:
1. Nullità del contratto per omessa registrazione ai sensi della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 346: problemi giuridici- quale è il rapporto fra la disciplina tributaria e quella civilistica; la norma tributaria è norma inderogabile posta a presidio di interessi pubblici settoriali la cui violazione non vizia il contratto o è norma imperativa che tutela l’interesse generale di cui all’art. 53 Cost. e la sua violazione produce nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c.? –Nel secondo caso, quali conseguenze discendono della registrazione tardiva (anche in corso di causa) del contratto? Un effetto sanante (ex nunc o ex tunc) o il vizio è insanabile ai sensi dell’art. 1423 c.c.?
2. Nullità del contratto per inserimento di patti contrari alla legge ai sensi della L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1 se ad uso abitativo e della l. n. 392 del 1978, art. 79 se ad uso diverso: problemi giuridici- quale è il regime giuridico in caso di simulazione relativa di prezzo, ovvero quando le parti abbiano registrato un contratto di locazione con un certo canone con l’intenzione, attestata da un occulto accordo integrativo non registrato, di impegnarsi realmente per un canone più alto? La disciplina citata (L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1 se ad uso abitativo e della l. n. 392 del 1978, art. 79 se ad uso diverso) è espressione del principio di invariabilità del canone e dunque si applica soltanto ai patti di maggiorazione sopravvenuti in corso di rapporto o si applica invece anche a quelli coevi alla conclusione del contratto e parte integrante di un’operazione di simulazione posta in essere al fine di far conseguire al locatore un risparmio fiscale (elusione)? In questo secondo caso è nullo l’intero contratto o soltanto il patto occulto di maggiorazione del canone? E ancora, l’eventuale registrazione successiva del cd. accordo dissimulato ha efficacia sanante o il vizio è insanabile ai sensi dell’art. 1423 c.c.?
Massime:
Cass. S.U., 17 settembre 2015, n. 18213 – “In tema di locazione immobiliare ad uso abitativo, la nullità prevista dall’art. 13, comma 1, della l. n. 431 del 1998 sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e resta dovuto il canone apparente; il patto occulto, in quanto nullo, non è sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale inidoneo ad influire sulla validità civilistica”.
Cass. S.U., 9 ottobre 2017, n. 23601 – “È nullo il patto con il quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato. Tale nullità – sancita per le locazioni in esame dall’art. 79 della l. n. 392 del 1978 e tradizionalmente intesa come volta a colpire le sole maggiorazioni del canone previste “in itinere” e diverse da quelle consentite “ex lege”, deve, invece, essere letta nel senso che il patto di maggiorazione del canone è nullo anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non soltanto funzionale, del rapporto. In questo caso, tuttavia, la nullità riguarda solo il patto aggiunto e non compromette l’originario accordo. Dunque, il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall’avvenuta registrazione”.
“Il contratto di locazione di immobili, sia ad uso abitativo che ad uso diverso, contenente “ab origine” l’indicazione del canone realmente pattuito (e, dunque, in assenza di qualsivoglia fenomeno simulatorio), ove non registrato nei termini di legge, è nullo ai sensi dell’art. 1, comma 346, della l. n. 311 del 2004. Si tratta di una figura di nullità non riferita ai vizi riguardanti l’iter formativo e costitutivo dell’atto negoziale, ma derivante da un difetto extragenetico attinente ad elementi estrinseci e successivi rispetto alla formazione del contratto. Tale contratto, tuttavia, in caso di tardiva registrazione consentita in base alle norme tributarie – le quali non qualificano come perentorio il termine di trenta giorni previsto per assolvere al pagamento dell’imposta di registro e, anzi, contemplano sia la registrazione d’ufficio, sia il cosiddetto “ravvedimento operoso”, riconoscendo l’attenuazione della sanzione prevista per la violazione delle norme tributarie nei casi e alle condizioni indicate dall’articolo 13 del Dlgs 18 dicembre 1997 n. 472 – può comunque produrre i suoi effetti con decorrenza “ex tunc”, atteso che il riconoscimento di una sanatoria “per adempimento” è coerente con l’introduzione nell’ordinamento di una nullità (funzionale) “per inadempimento” all’obbligo di registrazione”.
Breve commento:
Le sentenze si segnalano soprattutto per aver concorso ad affermare il principio secondo il quale le norme tributarie che impongano determinate condizioni per il regolare esercizio dell’attività negoziale hanno valore di norme imperative nell’ordinamento civile.
In passato, infatti, la giurisprudenza largamente prevalente negava che la norma fiscale avesse carattere imperativo in conseguenza della distinzione tra norme imperative e norme inderogabili, nonchè del peculiare carattere settoriale dell’interesse sotteso. Di qui, l’affermazione secondo la quale le norme tributarie, essendo poste a tutela di interessi pubblici di carattere settoriale e non ponendo, in linea di massima, divieti, pur essendo inderogabili, non possono qualificarsi imperative, presupponendo tale qualificazione che la norma abbia carattere proibitivo e sia posta a tutela di interessi generali che si collochino al vertice della gerarchia dei valori protetti dall’ordinamento giuridico (tra le altre, funditus, Cass. sez. 5, n. 11351 del 3 settembre 2001, n. 12128 del 28 settembre 2001, n. 5582 del 18 aprile 2002). Si riteneva, inoltre, esistente un principio di non interferenza fra le regole del diritto tributario e quelle attinenti alla validità civilistica degli atti, confermato dalla stessa normativa tributaria di contrasto all’elusione fiscale, la quale sancisce la mera inopponibilità all’amministrazione finanziaria dei fatti, degli atti e dei contratti che siano sprovvisti di “sostanza economica” e finalizzati, “pur nel rispetto formale delle norme fiscali” a realizzare “essenzialmente vantaggi fiscali indebiti” (così la L. n. 212 del 2000, art. 10 bis, aggiunto dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 1, che abroga e sostituisce il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 bis, a sua volta già inserito nel testo del D.P.R. n. 600 del 1973, dal D.Lgs. n. 358 del 1997, art. 7) e rafforzato dalla stessa L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, a mente del quale, “le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto”.
Nelle citate sentenze la Cassazione adotta la tesi contraria, in conformità indirizzo già espresso dalla Corte Costituzionale (ordinanza n. 420 del 2007), partendo dal presupposto che già “su di un piano etico/costituzionale deve impedirsi che dinanzi ad una Corte suprema di un Paese europeo una parte possa invocare tutela giurisdizionale adducendo apertamente impunemente la propria qualità porta di evasore fiscale”.
Il principio secondo il quale le norme tributaria sono imperative perché poste a tutela dell’interesse generale desumibile dall’art. 53 Cost., (a mente del quale “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”), determina la conseguente sanzione di nullità delle manifestazioni di autonomia negoziale con essa confliggenti. Tale sanzione, specie in tema di locazioni, si produce a prescindere dal fatto che sia espressamente accordata dalla norma tributaria (nullità testuale art. 1418 c.3 c.c.), trattandosi nelle altre ipotesi di nullità virtuale ai sensi dell’art. 1418 c. 1 c.c. come tale insanabile ai seni dell’art. 1423 c.c.
Questa impostazione porta a ritenere illeciti per diretta violazione del generale principio antielusione di cui all’art. 53 Cost. i contratti o le operazioni economiche che abbiano per la causa concreta o lo scopo ultimo soltanto quello di ottenere un risparmio fiscale, eludendo così in parte l’obbligo di contribuzione.
Stefano Sajeva, Magistrado.
Locazione di immobili urbani ad uso abitativo e non abitativo.
Fattispecie:
1. Nullità del contratto per omessa registrazione ai sensi della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 346: problemi giuridici- quale è il rapporto fra la disciplina tributaria e quella civilistica; la norma tributaria è norma inderogabile posta a presidio di interessi pubblici settoriali la cui violazione non vizia il contratto o è norma imperativa che tutela l’interesse generale di cui all’art. 53 Cost. e la sua violazione produce nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c.? –Nel secondo caso, quali conseguenze discendono della registrazione tardiva (anche in corso di causa) del contratto? Un effetto sanante (ex nunc o ex tunc) o il vizio è insanabile ai sensi dell’art. 1423 c.c.?
2. Nullità del contratto per inserimento di patti contrari alla legge ai sensi della L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1 se ad uso abitativo e della l. n. 392 del 1978, art. 79 se ad uso diverso: problemi giuridici- quale è il regime giuridico in caso di simulazione relativa di prezzo, ovvero quando le parti abbiano registrato un contratto di locazione con un certo canone con l’intenzione, attestata da un occulto accordo integrativo non registrato, di impegnarsi realmente per un canone più alto? La disciplina citata (L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1 se ad uso abitativo e della l. n. 392 del 1978, art. 79 se ad uso diverso) è espressione del principio di invariabilità del canone e dunque si applica soltanto ai patti di maggiorazione sopravvenuti in corso di rapporto o si applica invece anche a quelli coevi alla conclusione del contratto e parte integrante di un’operazione di simulazione posta in essere al fine di far conseguire al locatore un risparmio fiscale (elusione)? In questo secondo caso è nullo l’intero contratto o soltanto il patto occulto di maggiorazione del canone? E ancora, l’eventuale registrazione successiva del cd. accordo dissimulato ha efficacia sanante o il vizio è insanabile ai sensi dell’art. 1423 c.c.?
Massime:
Cass. S.U., 17 settembre 2015, n. 18213 – “In tema di locazione immobiliare ad uso abitativo, la nullità prevista dall’art. 13, comma 1, della l. n. 431 del 1998 sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e resta dovuto il canone apparente; il patto occulto, in quanto nullo, non è sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale inidoneo ad influire sulla validità civilistica”.
Cass. S.U., 9 ottobre 2017, n. 23601 – “È nullo il patto con il quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato. Tale nullità – sancita per le locazioni in esame dall’art. 79 della l. n. 392 del 1978 e tradizionalmente intesa come volta a colpire le sole maggiorazioni del canone previste “in itinere” e diverse da quelle consentite “ex lege”, deve, invece, essere letta nel senso che il patto di maggiorazione del canone è nullo anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non soltanto funzionale, del rapporto. In questo caso, tuttavia, la nullità riguarda solo il patto aggiunto e non compromette l’originario accordo. Dunque, il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall’avvenuta registrazione”.
“Il contratto di locazione di immobili, sia ad uso abitativo che ad uso diverso, contenente “ab origine” l’indicazione del canone realmente pattuito (e, dunque, in assenza di qualsivoglia fenomeno simulatorio), ove non registrato nei termini di legge, è nullo ai sensi dell’art. 1, comma 346, della l. n. 311 del 2004. Si tratta di una figura di nullità non riferita ai vizi riguardanti l’iter formativo e costitutivo dell’atto negoziale, ma derivante da un difetto extragenetico attinente ad elementi estrinseci e successivi rispetto alla formazione del contratto. Tale contratto, tuttavia, in caso di tardiva registrazione consentita in base alle norme tributarie – le quali non qualificano come perentorio il termine di trenta giorni previsto per assolvere al pagamento dell’imposta di registro e, anzi, contemplano sia la registrazione d’ufficio, sia il cosiddetto “ravvedimento operoso”, riconoscendo l’attenuazione della sanzione prevista per la violazione delle norme tributarie nei casi e alle condizioni indicate dall’articolo 13 del Dlgs 18 dicembre 1997 n. 472 – può comunque produrre i suoi effetti con decorrenza “ex tunc”, atteso che il riconoscimento di una sanatoria “per adempimento” è coerente con l’introduzione nell’ordinamento di una nullità (funzionale) “per inadempimento” all’obbligo di registrazione”.
Breve commento:
Le sentenze si segnalano soprattutto per aver concorso ad affermare il principio secondo il quale le norme tributarie che impongano determinate condizioni per il regolare esercizio dell’attività negoziale hanno valore di norme imperative nell’ordinamento civile.
In passato, infatti, la giurisprudenza largamente prevalente negava che la norma fiscale avesse carattere imperativo in conseguenza della distinzione tra norme imperative e norme inderogabili, nonchè del peculiare carattere settoriale dell’interesse sotteso. Di qui, l’affermazione secondo la quale le norme tributarie, essendo poste a tutela di interessi pubblici di carattere settoriale e non ponendo, in linea di massima, divieti, pur essendo inderogabili, non possono qualificarsi imperative, presupponendo tale qualificazione che la norma abbia carattere proibitivo e sia posta a tutela di interessi generali che si collochino al vertice della gerarchia dei valori protetti dall’ordinamento giuridico (tra le altre, funditus, Cass. sez. 5, n. 11351 del 3 settembre 2001, n. 12128 del 28 settembre 2001, n. 5582 del 18 aprile 2002). Si riteneva, inoltre, esistente un principio di non interferenza fra le regole del diritto tributario e quelle attinenti alla validità civilistica degli atti, confermato dalla stessa normativa tributaria di contrasto all’elusione fiscale, la quale sancisce la mera inopponibilità all’amministrazione finanziaria dei fatti, degli atti e dei contratti che siano sprovvisti di “sostanza economica” e finalizzati, “pur nel rispetto formale delle norme fiscali” a realizzare “essenzialmente vantaggi fiscali indebiti” (così la L. n. 212 del 2000, art. 10 bis, aggiunto dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 1, che abroga e sostituisce il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 bis, a sua volta già inserito nel testo del D.P.R. n. 600 del 1973, dal D.Lgs. n. 358 del 1997, art. 7) e rafforzato dalla stessa L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, a mente del quale, “le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto”.
Nelle citate sentenze la Cassazione adotta la tesi contraria, in conformità indirizzo già espresso dalla Corte Costituzionale (ordinanza n. 420 del 2007), partendo dal presupposto che già “su di un piano etico/costituzionale deve impedirsi che dinanzi ad una Corte suprema di un Paese europeo una parte possa invocare tutela giurisdizionale adducendo apertamente impunemente la propria qualità porta di evasore fiscale”.
Il principio secondo il quale le norme tributaria sono imperative perché poste a tutela dell’interesse generale desumibile dall’art. 53 Cost., (a mente del quale “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”), determina la conseguente sanzione di nullità delle manifestazioni di autonomia negoziale con essa confliggenti. Tale sanzione, specie in tema di locazioni, si produce a prescindere dal fatto che sia espressamente accordata dalla norma tributaria (nullità testuale art. 1418 c.3 c.c.), trattandosi nelle altre ipotesi di nullità virtuale ai sensi dell’art. 1418 c. 1 c.c. come tale insanabile ai seni dell’art. 1423 c.c.
Questa impostazione porta a ritenere illeciti per diretta violazione del generale principio antielusione di cui all’art. 53 Cost. i contratti o le operazioni economiche che abbiano per la causa concreta o lo scopo ultimo soltanto quello di ottenere un risparmio fiscale, eludendo così in parte l’obbligo di contribuzione.
Stefano Sajeva, Magistrado.