Materia:
Tutela dei diritti autodeterminati-
Fattispecie:
Frazionabilità della tutela di un unico diritto di credito e di più diritti di credito diversi ma derivanti da un medesimo rapporto di durata.
Precedenti- Cassazione, Sezioni unite, sentenza n. 23726 del 2007:
“Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale”.
Questione giuridica:
Tale principio è applicabile (anche) nelle ipotesi in cui siano avanzate diverse pretese creditorie derivanti da un medesimo rapporto di lavoro? Una volta cessato il rapporto di lavoro, il lavoratore deve avanzare in un unico contesto giudiziale tutte le pretese creditorie che sono maturate nel corso del suddetto rapporto o che trovano titolo nella cessazione del medesimo e, pertanto, il frazionamento di esse in giudizi diversi costituisce abuso sanzionabile con l’improponibilità della domanda ?
Cassazione civile, Sez. un., 16 febbraio 2017, n. 4090:
“Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi. Se tuttavia i suddetti diritti di credito, oltre a far capo a un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque “fondati” sul medesimo fatto costitutivo – sì da non poter essere accertati separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale , le relative domande possono essere proposte in separati giudizi solo se risulta in capo al creditore agente un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. Ove la necessità di siffatto interesse (e la relativa mancanza) non siano state dedotte dal convenuto, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ai sensi dell’art. 183 c.p.c., e, se del caso, riservare la decisione assegnando alle parti termine per memorie ai sensi dell’art. 101 c.p.c., comma 2”.
Argomentazione:
Il collegio non condivide l’equiparazione del fascio di rapporti obbligatori retributivi e risarcitori – derivanti dal rapporto di lavoro al “rapporto unico” considerato dalla citata sentenza delle Sezioni unite, nè la sussistenza dei presupposti per imporre al creditore di agire in un unico contesto in relazione a crediti diversi connessi solo in virtù di una complessiva relazione negoziale o legale, e dubita a fortiori che dalla proposizione in differenti giudizi di una pluralità di domande concernenti diversi crediti, pur riferibili ad un medesimo rapporto di lavoro ormai cessato, possa farsi derivare l’improponibilità delle domande successive alla prima. Le sezioni unite del 2007 che hanno discusso di (in)frazionabilità del credito si sono riferite sempre ad un singolo credito, non ad una pluralità di crediti facenti capo ad un unico rapporto complesso. Si rileva, peraltro, che la mancanza di una specifica norma che autorizzi a ritenere comminabile la grave sanzione della improponibilità della domanda per il creditore che abbia in precedenza agito per il recupero di diverso credito, sia pure riguardante lo stesso rapporto di durata, e, soprattutto, la presenza nell’ordinamento di numerose norme che autorizzano, invece, l’ipotesi contraria, rafforzano la fondatezza ermeneutica della soluzione.
Per altro verso, una generale previsione di improponibilità della domanda relativa ad un credito dopo la proposizione da parte dello stesso creditore di domanda riguardante altro e diverso credito, ancorchè relativo ad un unico rapporto complesso, risulterebbe ingiustamente gravatoria della posizione del creditore, il quale sarebbe costretto ad avanzare tutte le pretese creditorie derivanti da un medesimo rapporto in uno stesso processo (quindi in uno stesso momento, dinanzi al medesimo giudice e secondo la medesima disciplina processuale): l’onere di agire contestualmente per crediti distinti, che potrebbero essere maturati in tempi diversi, avere diversa natura (ad esempio – come frequentemente accade in relazione ad un rapporto di lavoro – retributiva e risarcitoria), essere basati su presupposti in fatto e in diritto diversi e soggetti a diversi regimi in tema di prescrizione o di onere probatorio, oggettivamente complica e ritarda di molto la possibilità di soddisfazione del creditore, traducendosi quasi sempre non in un alleggerimento bensì – in un allungamento dei tempi del processo, dovendo l’istruttoria svilupparsi contemporaneamente in relazione a numerosi fatti, ontologicamente diversi ed eventualmente tra loro distanti nel tempo.
Se, poi, si ha riguardo in prospettiva non solo ai crediti derivanti dai rapporti di lavoro, ma a tutti i crediti riferibili a rapporti di durata, anche tra imprese (consulenza, assicurazione, locazione, finanziamento, leasing), l’idea che essi debbano essere tutti veicolati – pena la perdita della possibilità di farli valere in giudizio – in un unico processo monstre (meno “spedito” dei processi adeguati per i singoli, differenti crediti) risulta incompatibile con un sistema inteso a garantire l’agile soddisfazione del credito, quindi a favorire la circolazione del danaro e ad incentivare gli scambi e gli investimenti.
Tali considerazioni, tuttavia vanno coordinate con la disciplina processuale accordata alle domande connesse e, in particolare, a quelle inscrivibili nel medesimo “ambito” oggettivo di un ipotizzabile giudicato, le quali pur potendo essere proposte separatamente soggiacciono, tuttavia, a un meccanismo di “preclusione” dopo il passaggio in cosa giudicata della sentenza che chiude uno dei giudizi, e comunque a uno specifico rimedio impugnatorio per la sentenza contraria a precedente giudicato tra le stesse parti, con una disciplina dettata dall’esigenza di evitare, ove possibile, la “duplicazione” di attività istruttoria e decisoria, il rischio di giudicati contrastanti, la dispersione dinanzi a giudici diversi della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale. Occorre, in altri termini, rilevare che la trattazione dinanzi a giudici diversi, in contrasto con il principio di economia processuale, di una medesima vicenda “esistenziale”, sia pure connotata da aspetti in parte dissimili, incide negativamente sulla “giustizia” sostanziale della decisione (che può essere meglio assicurata veicolando nello stesso processo tutti i diversi aspetti e le possibili ricadute della stessa vicenda, evitando di fornire al giudice la conoscenza parziale di una realtà artificiosamente frammentata), sulla durata ragionevole dei processi (in relazione alla possibile duplicazione di attività istruttoria e decisionale) nonchè, infine, sulla stabilità dei rapporti (in relazione al rischio di giudicati contrastanti).
Si è consolidato pertanto in giurisprudenza una tesi che afferma la necessità di favorire, ove possibile, una decisione intesa al definitivo consolidamento della situazione sostanziale direttamente o indirettamente dedotta in giudizio, “evitando di trasformare il processo in un meccanismo potenzialmente destinato ad attivarsi all’infinito”.
La necessità di coordinare tali contrapposti interessi porta a concludere che, se è vero che sono proponibili separatamente le domande relative a singoli crediti distinti, pur riferibili al medesimo rapporto di durata, tuttavia, le questioni relative a tali crediti che risultino inscrivibili nel medesimo ambito di altro processo precedentemente instaurato, così da potersi ritenere già in esso deducibili o rilevabili – nonchè, in ogni caso, le pretese creditorie fondate sul medesimo fatto costitutivo – possono proporsi separatamente, solo se l’attore risulti titolare di un oggettivo interesse al frazionamento. L’attore, quindi, deve farsi carico di un esercizio consapevole e responsabile del diritto di azione che la Costituzione gli garantisce,. Ciò comporta sul piano della dialettica processuale, che al creditore procedente debba essere consentito di provare ed argomentare ogni qual volta il convenuto evidenzi la necessità di siffatto interesse e ne denunci la mancanza. Ove il convenuto nulla abbia allegato o dedotto in proposito, il giudice che rilevi ex actis la necessità di un interesse oggettivamente valutabile al “frazionamento” e ne metta in dubbio l’esistenza, dovrà indicare la questione ex art. 183 c.p.c., e, se del caso, riservare la decisione ed assegnare alle parti termine per memorie ex art. 101 c.p.c.
Stefano Sajeva, Magistrado.
Tutela dei diritti autodeterminati-
Fattispecie:
Frazionabilità della tutela di un unico diritto di credito e di più diritti di credito diversi ma derivanti da un medesimo rapporto di durata.
Precedenti- Cassazione, Sezioni unite, sentenza n. 23726 del 2007:
“Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale”.
Questione giuridica:
Tale principio è applicabile (anche) nelle ipotesi in cui siano avanzate diverse pretese creditorie derivanti da un medesimo rapporto di lavoro? Una volta cessato il rapporto di lavoro, il lavoratore deve avanzare in un unico contesto giudiziale tutte le pretese creditorie che sono maturate nel corso del suddetto rapporto o che trovano titolo nella cessazione del medesimo e, pertanto, il frazionamento di esse in giudizi diversi costituisce abuso sanzionabile con l’improponibilità della domanda ?
Cassazione civile, Sez. un., 16 febbraio 2017, n. 4090:
“Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi. Se tuttavia i suddetti diritti di credito, oltre a far capo a un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque “fondati” sul medesimo fatto costitutivo – sì da non poter essere accertati separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale , le relative domande possono essere proposte in separati giudizi solo se risulta in capo al creditore agente un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. Ove la necessità di siffatto interesse (e la relativa mancanza) non siano state dedotte dal convenuto, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ai sensi dell’art. 183 c.p.c., e, se del caso, riservare la decisione assegnando alle parti termine per memorie ai sensi dell’art. 101 c.p.c., comma 2”.
Argomentazione:
Il collegio non condivide l’equiparazione del fascio di rapporti obbligatori retributivi e risarcitori – derivanti dal rapporto di lavoro al “rapporto unico” considerato dalla citata sentenza delle Sezioni unite, nè la sussistenza dei presupposti per imporre al creditore di agire in un unico contesto in relazione a crediti diversi connessi solo in virtù di una complessiva relazione negoziale o legale, e dubita a fortiori che dalla proposizione in differenti giudizi di una pluralità di domande concernenti diversi crediti, pur riferibili ad un medesimo rapporto di lavoro ormai cessato, possa farsi derivare l’improponibilità delle domande successive alla prima. Le sezioni unite del 2007 che hanno discusso di (in)frazionabilità del credito si sono riferite sempre ad un singolo credito, non ad una pluralità di crediti facenti capo ad un unico rapporto complesso. Si rileva, peraltro, che la mancanza di una specifica norma che autorizzi a ritenere comminabile la grave sanzione della improponibilità della domanda per il creditore che abbia in precedenza agito per il recupero di diverso credito, sia pure riguardante lo stesso rapporto di durata, e, soprattutto, la presenza nell’ordinamento di numerose norme che autorizzano, invece, l’ipotesi contraria, rafforzano la fondatezza ermeneutica della soluzione.
Per altro verso, una generale previsione di improponibilità della domanda relativa ad un credito dopo la proposizione da parte dello stesso creditore di domanda riguardante altro e diverso credito, ancorchè relativo ad un unico rapporto complesso, risulterebbe ingiustamente gravatoria della posizione del creditore, il quale sarebbe costretto ad avanzare tutte le pretese creditorie derivanti da un medesimo rapporto in uno stesso processo (quindi in uno stesso momento, dinanzi al medesimo giudice e secondo la medesima disciplina processuale): l’onere di agire contestualmente per crediti distinti, che potrebbero essere maturati in tempi diversi, avere diversa natura (ad esempio – come frequentemente accade in relazione ad un rapporto di lavoro – retributiva e risarcitoria), essere basati su presupposti in fatto e in diritto diversi e soggetti a diversi regimi in tema di prescrizione o di onere probatorio, oggettivamente complica e ritarda di molto la possibilità di soddisfazione del creditore, traducendosi quasi sempre non in un alleggerimento bensì – in un allungamento dei tempi del processo, dovendo l’istruttoria svilupparsi contemporaneamente in relazione a numerosi fatti, ontologicamente diversi ed eventualmente tra loro distanti nel tempo.
Se, poi, si ha riguardo in prospettiva non solo ai crediti derivanti dai rapporti di lavoro, ma a tutti i crediti riferibili a rapporti di durata, anche tra imprese (consulenza, assicurazione, locazione, finanziamento, leasing), l’idea che essi debbano essere tutti veicolati – pena la perdita della possibilità di farli valere in giudizio – in un unico processo monstre (meno “spedito” dei processi adeguati per i singoli, differenti crediti) risulta incompatibile con un sistema inteso a garantire l’agile soddisfazione del credito, quindi a favorire la circolazione del danaro e ad incentivare gli scambi e gli investimenti.
Tali considerazioni, tuttavia vanno coordinate con la disciplina processuale accordata alle domande connesse e, in particolare, a quelle inscrivibili nel medesimo “ambito” oggettivo di un ipotizzabile giudicato, le quali pur potendo essere proposte separatamente soggiacciono, tuttavia, a un meccanismo di “preclusione” dopo il passaggio in cosa giudicata della sentenza che chiude uno dei giudizi, e comunque a uno specifico rimedio impugnatorio per la sentenza contraria a precedente giudicato tra le stesse parti, con una disciplina dettata dall’esigenza di evitare, ove possibile, la “duplicazione” di attività istruttoria e decisoria, il rischio di giudicati contrastanti, la dispersione dinanzi a giudici diversi della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale. Occorre, in altri termini, rilevare che la trattazione dinanzi a giudici diversi, in contrasto con il principio di economia processuale, di una medesima vicenda “esistenziale”, sia pure connotata da aspetti in parte dissimili, incide negativamente sulla “giustizia” sostanziale della decisione (che può essere meglio assicurata veicolando nello stesso processo tutti i diversi aspetti e le possibili ricadute della stessa vicenda, evitando di fornire al giudice la conoscenza parziale di una realtà artificiosamente frammentata), sulla durata ragionevole dei processi (in relazione alla possibile duplicazione di attività istruttoria e decisionale) nonchè, infine, sulla stabilità dei rapporti (in relazione al rischio di giudicati contrastanti).
Si è consolidato pertanto in giurisprudenza una tesi che afferma la necessità di favorire, ove possibile, una decisione intesa al definitivo consolidamento della situazione sostanziale direttamente o indirettamente dedotta in giudizio, “evitando di trasformare il processo in un meccanismo potenzialmente destinato ad attivarsi all’infinito”.
La necessità di coordinare tali contrapposti interessi porta a concludere che, se è vero che sono proponibili separatamente le domande relative a singoli crediti distinti, pur riferibili al medesimo rapporto di durata, tuttavia, le questioni relative a tali crediti che risultino inscrivibili nel medesimo ambito di altro processo precedentemente instaurato, così da potersi ritenere già in esso deducibili o rilevabili – nonchè, in ogni caso, le pretese creditorie fondate sul medesimo fatto costitutivo – possono proporsi separatamente, solo se l’attore risulti titolare di un oggettivo interesse al frazionamento. L’attore, quindi, deve farsi carico di un esercizio consapevole e responsabile del diritto di azione che la Costituzione gli garantisce,. Ciò comporta sul piano della dialettica processuale, che al creditore procedente debba essere consentito di provare ed argomentare ogni qual volta il convenuto evidenzi la necessità di siffatto interesse e ne denunci la mancanza. Ove il convenuto nulla abbia allegato o dedotto in proposito, il giudice che rilevi ex actis la necessità di un interesse oggettivamente valutabile al “frazionamento” e ne metta in dubbio l’esistenza, dovrà indicare la questione ex art. 183 c.p.c., e, se del caso, riservare la decisione ed assegnare alle parti termine per memorie ex art. 101 c.p.c.
Stefano Sajeva, Magistrado.