Contractual business network e pandemia: a forward-looking agenda?

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Autora: Camilla Crea, Associato di Diritto Privato, Università degli Studi del Sannio. Correo electrónico: camilla.crea@unisannio.it

1. L’imprevedibilità di eventi futuri, ma anche dei comportamenti umani è una inevitabile componente della complessità della vita, nelle sue molteplici manifestazioni. L’emergenza, unita all’incertezza rischia di trasformare la complessità in caos. Un tale stato di cose favorisce alcuni e svantaggia altri; acuisce le differenze preesistenti o ne crea nuove (esternalità, positive o negative: sulla correlazione tra disuguaglianze di salute ed economiche, v. MACKENBACH, J.P.: Health Inequalities: Persistence and Change in European Welfare States, Oxford, 2019).

Nel proliferare di pandemic law, di regulation più o meno diversificate e giustificate dall’urgenza, locali/regionali, nazionali, sovranazionali che derogano peraltro ai regimi normativi generali, il giurista si interroga sull’armamentario concettuale del quale dispone per affrontare le criticità del momento.

In un simile scenario il primo passaggio obbligato è la individuazione dei problemi, spesso simili nelle varie esperienze giuridiche, che rafforzano l’esigenza di comparazione e dialogo. Molta della riflessione sulla incidenza del Covid-19 sul diritto dei contratti – sia pur nella prospettiva di una ‘dottrina dell’emergenza’ – si sta concentrando sugli effetti sui singoli contratti di durata (TWIGG-FLESNER, C.: “A comparative Perspective on Commercial Contracts and the Impact of COVID-19 – Change of Circumstances, Force Majeure, or what?”, in AA. VV.: Law in the Time of COVID-19 (a cura di K. PISTOR), Columbia Faculty Law, 2020, pp. 155-165), essenzialmente fondati sul meccanismo dello scambio quale prototipo delle transazioni di mercato. Il valore primario della salute collettiva giustifica restrizioni impensabili. Regole “eccezionali” che si fondano sul prioritario principio di tutela della salute degli individui, da contemperare con la sopravvivenza economica dei singoli paesi.

Il blocco o la limitazione di libertà collaudate quali la libertà di circolazione di beni, persone e capitali derivante dallo stato di necessità globale può concretizzare una sopravvenienza impeditiva o meno delle prestazioni che sovverte l’originario equilibrio economico del contratto rendendo l’adempimento impossibile (definitivamente o, più spesso, temporaneamente e/o parzialmente), o eccessivamente oneroso e sollevando dibattiti, un tempo à la page, quale l’alternativa tra rimedi manutentivi, tesi alla conservazione del contratto e rimedi, invece, ablativi (Macario, F.: “Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di ‘coronavirus’”, in giustiziacivile.com, 2020, p. 207 ss.; VERZONI, S.: “Gli effetti, sui contratti in corso, dell’emergenza sanitaria legata al COVID-19”, ivi, p. 213 ss.; HEINICH, J.: “ L’incidence de l’épidémie de coronavirus sur les contrats d’affaires : de la force majeure à l’imprévision”, in Recueil Dalloz, 2020, p. 611).

La funzione del contratto è alterata: l’evento incide sulla causa in concreto poiché gli effetti, ossia i diritti e gli obblighi originariamente pattuiti, non sono più quelli indicati nel programma negoziale. Non a caso, anche in area di common law si evoca lo scopo del contratto, la consideration e la promissory estoppel (le figure più vicine al concetto di causa della tradizione italiana ed alle ipotesi di squilibrio sopravvenuto: TWIGG-FLESNER, C.: “A comparative Perspective”, cit., p.155).

Di fronte allo shock pandemico – imprevedibile, quanto meno per contratti pendenti conclusi prima dello scorso dicembre, o comunque non previsto, e di certo fuori dal controllo delle parti contraenti, a prescindere da qualsiasi discorso sulla ‘razionalità limitata’ e sulla ontologica incompletezza dei contratti tanto cara alla letteratura americana – l’alternativa è tra disruption e forme di resilienza che consentano l’adattamento, la continuità sia pur a condizioni diverse e ancora da capire. A ciò si aggiunga il possibile incremento di condotte abusive (opportunistic behavior) legate alla emersione di nuovi bargaining power o alla sclerotizzazione di situazioni di dipendenza che sempre esistono nella contrattazione.

2. Il mercato è fatto di contratti; tutto ciò che condiziona singoli contratti, in maniera più o meno intensamente seriale, incide anche sul mercato di riferimento e viceversa. I contratti, tuttavia, specie quelli legati alla organizzazione dei sistemi di produzione e distribuzione di prodotti e/o servizi, dunque all’attività delle imprese, difficilmente sono isolati. Spesso, invece, sono tra loro collegati, o meglio “connessi” (v., tra i tanti, la raccolta di scritti di TEUBNER, G.: Networks as Connected Contracts, Oxford, 2011; AMSTUTZ, M. e TEUBNER, G.: Networks: Legal Issues of Multilateral Cooperation, Oxford, 2009; nonché, BROWNSWORD, B.: “Networks as Connected Contracts”, in 75 Modern Law Review, 3, 2012, pp. 559-460; da ultimo JENNEJOHN, M.: “The Private Order of Innovation Networks”, in 68 Stanford Law Review, 2016, pp. 281-366; per la riflessione italiana CREA, C.: Reti contrattuali e organizzazione dell’attività di impresa, Napoli, 2008; CAFAGGI, F.: Il contratto di rete. Commentario, Bologna, 2009).

Si tratta di “operazioni economiche complesse” che impongono un quid pluris nell’attività di interpretazione, legata alla presenza di un tutto, di un insieme che va oltre il singolo segmento contrattuale. Pensiamo alle supply chain e alle reti contrattuali di distribuzione: accordi inter-imprenditoriali bilaterali tra loro connessi, che strutturano nuove forme di organizzazione reticolare, tendenzialmente non gerarchiche (PORAT, A., SCOTT R.E.: “Can Restitution Save Fragile Spiderless Networks?”, in 8 Harvard Business Law Review, 1, 2018, pp. 1-51), dell’impresa, su scala non soltanto nazionale bensì europea o internazionale. Il fenomeno è caratterizzato dalla centralità della cooperazione e della fiducia, dalla presenza di un interesse comune, anche se non è un vero e proprio scopo comune tale da poter giustificare forme tipicamente associative.

Appare utile, in chiave problematica, provare a ragionare dunque sullo scenario aggravato dall’attuale economy lockdown, per cercare di capire possibili itinerari di governance della complessità (GRUNDMANN, S., MÖSLEIN, F., RIESENHUBER, K.: Contract Governance. Dimensions in Law and Interdisciplinary Research, Oxford, 2015).

Uno dei problemi più significativi alla base dei “connected contracts” tra imprese (quale definizione sufficiente generica da consentire una maggiore astrazione del ragionamento: TEUBNER, G.: Networks as Connected Contracts, cit., p. 87) è la privity of contract, la relatività del contratto, la sua efficacia esclusivamente inter partes, potendo i terzi essere soltanto beneficiari di effetti positivi. Questo limite cognitivo incide sulla gestione della responsabilità ‘interna’ alla rete (tra i vari nodi/imprese/soggetti), ed “esterna” ad essa (competitor, ma anche consumatori). La conseguenza di questo limite cognitivo della categoria contratto è la necessità di azionare rimedi non tanto provenienti dal diritto dei contratti – fatte salve ipotesi peculiari quali il contratto a favore di terzo o forme di collegamento negoziale particolarmente significative e diffuse nella prassi – quanto dalla disciplina della responsabilità extracontrattuale e/o dal diritto delle organizzazioni, ove possibile (modelli societari, tendenzialmente plurilaterali).

Altra questione sulla quale riflettere è il profilo funzionale: l’anomalia che caratterizza, in generale, le forme di collegamento negoziale è che la funzione del singolo segmento negoziale non può essere valutata isolatamente, ma soltanto alla luce della più ampia operazione economica. Tecnicamente: tanti contratti bilaterali e di scambio, almeno due; pluralità di soggetti; uno scopo negoziale che evoca, sia pur con notevoli criticità, un interesse comune perseguito dai vari nodi della rete, che va oltre lo scambio corrispettivo di prestazioni all’interno dell’accordo isolato, istaurando condotte di cooperazione e condivisione (di risorse, conoscenze, attività), o meglio “interdipendenze”, simmetriche o asimmetriche, virtuose (organizzazioni multilaterali informali).

La riflessione dottrinale e giurisprudenziale italiana sul collegamento negoziale (in particolare funzionale e volontario) trova la sua manifestazione più evidente nella circostanza che il vizio che inficia uno dei contratti incide anche sugli altri, a catena (i.e.: è noto il brocardo simul stabunt simul cadent). Significativa a riguardo la scelta del legislatore francese il quale, tenendo conto della giurisprudenza e della riflessione dottrinale interna, ha introdotto una norma ad hoc in sede di riforma del Code civil, sulla interdépendance contractuelle (o groupe des contrats) sancendo in maniera chiara, in deroga al principio di relativité, la caducité. Tale nuova sanzione, infatti, opera non soltanto sul contratto isolato – quando viene meno un elemento essenziale, necessario alla produzione degli effetti –, ma anche nell’ipotesi di “ensemble contractuel” indivisibile. La fattispecie complessa, composta da più segmenti negoziali, non può produrre effetti se viene a mancare uno della serie.

La disparition di un segmento determina la caducazione dei contratti connessi la cui esecuzione è divenuta impossibile e in quanto quel segmento era condizione determinante del consenso. L’indivisibilità può derivare sia da esplicite clausole contrattuali, tanto implicitamente da dati e circostanze oggettive, ma la centralità dell’autonomia privata e della volontà delle parti è rafforzata dalla precisazione che la caducazione non è opponibile al contraente se non era a conoscenza dell’ensemble quando ha prestato il suo consenso (art. 1186, commi 1 e 2). C’è un certo ed inevitabile margine di apprezzamento giudiziale, rafforzato anche dall’inserimento di una regola generale – nell’ambito del nuovo regime sull’interpretazione dei contratti (benché, come, noto, non vincolanti per il giudice francese) – che estende il criterio della coerenza sistematica, dalla singola clausola presente in un contratto isolato, al singolo contratto parte di una serie di contratti che “concorrono” ad una operazione comune (art. 1189).

Il fenomeno dell’ensemble contractuel ha storicamente trovato nel concetto di causa, poi di “economia del contratto”, un referente concettuale. Benché, come noto, la riforma ha espulso formalmente il concetto di causa, non si esita a ritenere che permangono nel sistema equivalenti funzionali tra i quali, in particolare, la nozione ampia di “contenuto del contratto”, a metà strada tra causa e oggetto e che ben potrebbe ricomprendere, in una prospettiva di valutazione unitaria del diritto dei contratti e delle obbligazioni, anche la indivisibilità della quale discorre la nuova disciplina sui contratti ‘interdipendenti’ (CHANTEPIE, G., LATINA, M.: La réforme du droit des obligations. Commentaire théorique et pratique dans l’ordre du Code civil, Paris, 2016, pp. 410-418 e pp. 423-425; FAUVARQUE-COSSON, B.: “L’interdépendance contractuelle dans une opération incluant une location financière. A propos de deux arrêts de chambre mixte de la Cour de cassation”, in 22 European Review of Private Law, 2014, pp. 253-260; sul concetto di divisibilità/indivisibilità nell’ordinamento italiano sempre attuali le considerazioni di CICALA, R.: Concetto di divisibilità e indivisibilità nell’obbligazione (1987), rist., Napoli, 2010]. Il tutto (l’insieme) incide, dunque, sulla valutazione anche delle prestazioni formalmente presenti all’interno di uno solo dei contratti. Si tratta di una deroga all’efficacia relativa del contratto (art. 1199, ex art. 1165 Code civil) orientata ad attivare rimedi ablativi, di termination del rapporto.

3. Il punto è, tuttavia, con riguardo a reti contrattuali e supply chain individuare o poter individuare delle tecniche di gestione del rischio che consentano la continuazione dei rapporti contrattuali connessi, venendo così in rilievo sia la rinegoziazione su base volontaria, sia il ruolo del giudice ai fini dell’adeguamento/revisione del contratto o, come in questo caso, dei contratti.

Perché e quando l’esigenza conservativa assume particolarmente rilievo? Anzitutto per i caratteri fisionomici dei contratti tra imprese parti del sistema reticolare: contratti di durata, nei quali il tempo assume un rilievo centrale; esigenza di cooperazione particolarmente accentuata (che non a caso ha portato ad una rivalutazione della buona fede, o meglio del principio su quale tale clausola generale trova fondamento: ossia la solidarietà, che a sua volta stigmatizza quella utilità sociale alla quale l’art. 41 della costituzione italiana condiziona il legittimo esercizio di ogni manifestazione di iniziativa economica). Ancora, per la presenza di investimenti specifici, dedicati, spesso non riconvertibili sul mercato (sunk cost) specie in un momento di crisi, e che possono rendere uno o più nodi della catena dipendenti dalla relazione contrattuale, poiché una alterazione delle prestazioni (l’an o il quantum di forniture, ad esempio) può avere ripercussione sulla stessa attività di impresa di uno o più nodi della rete, o, potenzialmente, della intera rete.

La pandemia ha inevitabilmente acutizzato tali esigenze conservative: l’esistenza di “valide alternative sul mercato” – concetto chiave all’interno della disciplina sulla subfornitura (cfr. art. 9, legge n. 192 del 1998) – potrebbero essere significativamente ridotte, se non azzerate, in considerazione dei limiti di circolazione, della chiusura o riduzione delle attività delle imprese.

La prima opzione che la prassi suggerisce è la gestione pattizia del rischio, tramite clausole di gestione delle sopravvenienze, che prevedano una rinegoziazione delle condizioni contrattuali (sempre che il regime legale sia derogabile dalle parti, e sempre che le legislazioni ad hoc emanate a seguito della pandemia lo consentano). L’autonomia privata dovrebbe aver previsto ex ante le condizioni ma anche le procedure di rinegoziazione, grazie ad un drafting contrattuale particolarmente dettagliato o comunque interpretabile e interpretato come inclusivo del rischio Covid-19; oppure, ex post rispetto all’evento, le parti spontaneamente addivengono ad una rinegoziazione.

Ecco che il limite cognitivo della relatività degli effetti del contratto riemerge con prepotenza. La clausola di rinegoziazione presente in un singolo contratto bilaterale vincola le parti ma non i terzi, ossia quei soggetti membri della rete contrattuale, unitariamente considerata, ma tecnicamente “esterni” rispetto al contratto contente la clausola di rinegoziazione. Là dove la rinegoziazione crei un vantaggio per il terzo (basti rievocare anche il fenomeno dei contratti con effettivi protettivi per i terzi), la questione desta particolari preoccupazioni.

Né il problema si pone là dove il terzo abbia prestato il suo consenso, tramite una esplicita clausola dalla quale si desuma un collegamento su base volontaria tra i vari contratti incisi, a cascata, dalla circostanza sopravvenuta. Ciò che potrebbe, invece, comunque accadere è che una rinegoziazione alla quale partecipino i vari nodi comunque acuisca gli squilibri all’interno della organizzazione reticolare, potendo uno dei soggetti in posizione di forza (preesistente o acquisita: si pensi a nuove forme di “rendita da posizione geografica” o legata a particolari settori dell’attività di impresa che beneficiano di nuovi regimi derogatori) approfittare del suo potere tentando di imporre a proprio vantaggio termini ingiusti o discriminatori.

Là dove, però, questi meccanismi di salvaguardia (vantaggio “per” o consenso “dei” terzi) non siano rilevabili espressamente o anche implicitamente, o non siano rispettati dai soggetti membri della rete (rischio di inadempimento al patto di rinegoziazione), oppure la clausola di rinegoziazione sia comunque limitata ad uno solo dei segmenti negoziali, occorre analizzare cosa l’interprete può fare.

Resta assai discusso, in mancanza di una norma ad hoc, la possibilità di ricostruire un obbligo legale a rinegoziare sulla scia dell’hardship dei Principi UNIDROIT, modificata, proprio di recente, in considerazione della emergenza pandemica (Iccwbo.org/content/uploads/sites/3/2020/03/icc-forcemajeure-hardship-clausesmarch 2020. pdf; TORSELLO, M., WINKLER, M.: “Coronavirus-Infected International Business Transactions: A Preliminary Diagnosis”, in European Journal of Risk Regulation, 2020, pp. 1-6).

Nell’ordinamento italiano non mancano opinioni simpatetiche, favorevoli a ricostruzioni sistematiche fondate su alcune norme della disciplina dei contratti, nonché sul riconoscimento della vis espansiva, integrativa e correttiva progressivamente attribuita non soltanto alla buona fede, quanto al principio di solidarietà sociale, in una prospettiva che riconosce forme di incidenza diretta dei principi costituzionali nei rapporti tra privati. Le opzioni ostili poggiano essenzialmente sulla valorizzazione dell’autonomia privata, sulla limitazione del potere discrezionale delle corti, tanto più che, in presenza di reti di contratti, alla evocata privity, si aggiungono anche i limiti soggettivi e oggettivi della estensione del giudicato.

Nell’esperienza francese, quanto meno in relazione a contratti successivi alla entrata in vigore della riforma, la teoria dell’imprévision accolta all’art. 1195 comunque prevede una rinegoziazione rifiutabile, e dunque facoltativa (amplius, TUCCARI, E.: Sopravvenienze e rimedi nei contratti di durata, Padova, 2018, pp. 324 ss.); inoltre, la dottrina che di recente si è occupata degli effetti del Covid-19 sui contratti in corso ha specificato che l’apprezzamento va circoscritto al singolo contratto, non potendo essere estesa alla chain des contrats, sempre in considerazione della relativité rafforzata dal ruolo centrale della libertà contrattuale (che è uno dei principi di base del nuovo regime contrattuale introdotto: CHANTEPIE, G., LATINA, M.: La réforme du droit des obligations, cit., pp. 79 ss., 92 ss. soprattutto in relazione ai nuovi artt. 1102 e 1104).

Eppure, in un momento storico come quello attuale, nel quale il valore collettivo della salute, e della sicurezza degli individui dovrebbe rappresentare un limite di sostenibilità per le azioni degli attori del mercato, specie in settori relativi a “beni e servizi essenziali” per la persona (filiera alimentare, sanitaria, farmaceutica in primis) – che non necessariamente coincidono con quelli considerati “strategici” per l’economia nazionale – occorre forse ripensare gli evocati limiti, riflettere su come giustificare anche un intervento del giudice che consenta un riequilibrio conservativo, un adeguamento/revisione proporzionato e ragionevole della allocazione dei rischi all’interno dei contratti tra imprese (e di reti di contratti), non lasciando alle logiche del mercato ed all’individualismo hobbesiano proprio dei comportamenti umani la libertà di scegliere a qualunque costo sociale.

Tutto ciò valorizzando il più possibile lo scopo unitario di operazioni negoziali complesse e valutando l’incidenza della funzione del tutto sui singoli segmenti negoziali e sulle prestazioni ivi contenute, nonché su eventuali condotte abusive per stabilirne gli effetti sull’intera rete e sul mercato di riferimento, se davvero essenziali e determinanti rispetto ai valori fondamentali di tutela della persona e della salute collettiva (per possibili interventi giudiziali tesi alla rinegoziazione giudiziale in sede di collegamento tra contratti tra imprese: CREA, C.: Connessioni tra contratti e obblighi di rinegoziare, Napoli, 2013). In tale direzione militano gli ELI Principles for the Covid-19 Crisis (Principle 13) che invitano gli stati membri alla ricerca di soluzioni ragionevoli ed effettive di gestione dei rischi di sopravvenienze impeditive e non impeditive della prestazione (force majeure o hardship); a garantire, di là dai regimi contrattuali differenziati esistenti, in conformità con il principio di buona fede, procedure di rinegoziazione anche se non previste dalle parti e persino in mancanza di previsioni normative; ad evitare che, in casi di disruption della relazione le conseguenze negative sopravvenute ricadano esclusivamente su una sola parte, specie se soggetto debole (consumatore, ma anche PMI).

La gerarchia di valori e la preferenza da assegnare alla salute ed alla persona nell’impianto costituzionale nazionale, a sua volta, giustifica forme di rinegoziazione e scelte equitative da parte dei giudici là dove incidano su mercati essenziali per la tutela della persona; giustifica un apprezzamento del contratto alla luce della rete e degli effetti che questa può avere sul settore di riferimento, poiché non tutti i mercati hanno un pari valore, benché non manchino inevitabili interferenze. Questo è il senso di una costituzione economica orientata e conformata dal solidarismo e personalismo [PERLINGIERI, P.: La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Camerino-Napoli, 1972, pp. 417; PERLINGIERI, P.: “Constitutional Norms and Civil Law Relationships (1980)”, in 1 The Italian Law Journal, 1, 2015, pp. 17-49].

4. La presenza di momenti di crisi non è nuova. La crisi ciclicamente si ripete esacerbando problemi e criticità emerse già in passato. Un eterno ritorno circolare, che però non è ripetizione, ma riproposizione del diverso e del molteplice, come direbbe Friedrich Nietzsche, un divenire tra continuità e discontinuità che è il flusso della vita e della stessa vita del diritto.

Tornando al tema delle reti tra contratti nella quale le supply chain possono, in termini di astrazione, essere ricomprese, sia pur senza negarne le specificità, ed al modello del collegamento negoziale, presente in alcuni ordinamenti giuridici, come modello elaborato da dottrina e giurisprudenza o addirittura positivizzato (Francia), un dato resta fermo: i limiti cognitivi della bilateralità del contratto non appaiono superabili, e non riescono a catturare quelle interdipendenze (o dipendenze) tra soggetti parti del sistema complesso (rete), né a promuovere davvero la cooperazione tra i vari nodi.

In una prospettiva non soltanto di gestione della crisi ma di governance fisiologica della complessità propria dei sistemi a rete, l’esperienza italiana potrebbe, in questo momento, ripensare a particolari strumenti di collaborazione quali i contratti di rete, nati non a caso in un periodo di forte crisi nazionale, per supportare la competitività in particolare delle PMI, in linea con le indicazioni della Commissione europea (Small Business Act for Europe). La disciplina sui contratti di rete, introdotta nel 2009 (art. 3, decreto legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito in legge n. 33 del 2009) e poi più volte modificata, valorizza fortemente l’autonoma privata ed organizzativa consentendo la costruzione di schemi contrattuali e/o organizzativi, non tipici, orientati ad incrementare forme di organizzazione cooperativa delle attività di impresa. Non si tratta di un tipo di contratto autosufficiente: è necessario il rinvio, con un approccio sistematico, al diritto domestico dei contratti (parte generale o singoli contratti: ad es. franchising, subfornitura, associazioni temporanee di imprese, vendita, appalto etc.) e soprattutto al diritto delle organizzazioni (società di persone o di capitali, e consorzi in primis) a seconda dei casi concreti. Ciò ostacola un legal transplant in altri sistemi giuridici. Le norme introdotte non comprendono i contractual network. Questa ultima ipotesi continua ad essere riferibile anche a schemi giuridici preesistenti alla nuova legge, tuttora operanti, e al concetto di collegamento negoziale (CREA, C.: “Vertragliche Unternehmensnetzwerke: Auslegungskriterien und axiologische Perspektive”, in 1 Kölner Schrift zum Wirtschaftsrecht, KSzW, 2015, pp. 99-108).

La scelta del legislatore italiano, dopo una prima virata contrattualistica, è stata orientata verso reti maggiormente strutturate in senso organizzativo, di recente ammettendo la creazione di una rete “soggetto giuridico”. Il contratto di rete è in ogni caso associativo (con comunione di scopo) e tendenzialmente, ma non necessariamente, multiparty, sin dal momento della stipulazione del contratto o successivamente (in presenza di clausole di adesione successiva). La struttura plurilaterale consente così di catturare le interdipendenze (o dipendenze) tra le varie attività delle imprese e le relative performances [per l’approfondimento dei vari aspetti, CUFFARO, V.: Il contratto di rete di imprese, Milano, 2016].

Lo scopo-fine comune, traslato da un linguaggio economico, è “l’accrescimento, individuale e collettivo della capacità innovativa e della competitività” dei membri e della rete nella sua unitarietà. Le imprese − di qualunque forma giuridica (individuale o collettiva) e operanti in qualsiasi settore (agricolo o industriale, ossia di produzione o di distribuzione) − rimanendo giuridicamente autonome, individuano un programma comune (scopo mezzo: i.e. l’attività della rete, i diritti e doveri dei partecipanti) coerente con comuni obiettivi strategici predeterminati. L’oggetto della rete è la collaborazione, e/o lo scambio di informazioni o di prestazioni di varia natura (industriale, commerciale, tecnica o tecnologica) e/o l’esercizio in comune di attività (come nei contratti associativi).

Il contratto individua un ordinamento, un programma di regole, la cui attuazione è rimessa a comportamenti successivi ed esecutivi delle parti o, in presenza di una struttura organizzativa più o meno corporativa, seleziona il riparto di competenze e di funzioni tra gli organi (o pseudo-organi) eventualmente presenti. Gli elementi di natura patrimoniale e organizzativa sono facoltativi: fondo patrimoniale comune e organo comune di governo dotato di poteri gestori, regolamentari ed esecutivi degli obiettivi strategici della rete i quali possono essere costruiti e modulati a seconda delle scelte operate dalle parti contraenti. La presenza di tali elementi, in ogni caso, consente alla rete di beneficiare della responsabilità limitata (similmente ai consorzi: artt. 2614 e 2615 c.c.).

La creazione di una rete-soggetto è opzionale; dipende dalla decisione delle parti (fermo restando il rispetto di alcuni requisiti di forma, contenuto, organizzazione, pubblicità). Tale soggettività non sembra divergere significativamente dalla personalità giuridica delle società di capitali, ma deroga all’obbligatorietà e tassatività dei meccanismi di iscrizione nel registro delle imprese. Il soggetto-rete significa centro completamente autonomo di imputazione di diritti e di doveri. Internamente ad esso, inoltre, la scarna disciplina lascia ampia libertà nel selezionare regole di organizzazione del riparto di competenze e di distribuzione di utili o perdite molto più flessibili rispetto ai modelli societari. Mentre le società sono ancorate ad un regime di tipicità, le reti – anche se soggettivizzate – rifuggono da una tale rigidità. L’interprete, secondo le specificità del contratto di rete, è tenuto a individuare la disciplina maggiormente adeguata, applicando in via diretta o analogica disposizioni contenute nel diritto delle società di capitali (quando la rete è strutturata in senso corporativo), o delle società di persone, associazioni o consorzi con attività esterna, nonché il mandato (quando, invece, la struttura organizzativa è maggiormente personalistica).

L’impianto normativo consente di realizzare una molteplicità di differenti aggregazioni di rete: profit o not for profit, aventi ad oggetto la collaborazione e/o lo scambio e/o l’esercizio in comune di attività. Oltre alle reti-soggetto, sono incluse: reti puramente contrattuali tendenzialmente prive di rilevanza verso terzi, di un fondo comune, di un organo comune (in tal caso la responsabilità verso terzi – ove presente – è illimitata e solidale); ancora, reti miste tra contratto e organizzazione (nel segno di una complementarietà tra i due sistemi concettuali) che, come precisato, sono dotate di un fondo comune, di un organo comune di governo che agisce, sulla base di un mandato collettivo, con rappresentanza dei singoli membri, e godono del beneficio della responsabilità limitata. Tale ultima ipotesi è espressione di una soggettività giuridica ‘minore’ e realizza così uno schema ibrido, potenzialmente plurilaterale il quale, anche a prescindere dalla acquisizione della piena soggettività, consente la separazione patrimoniale.

La multilateralità del contratto, la commistione tra contratto e organizzazione, la possibilità di beneficiare della responsabilità limitata supportano, potenzialmente, modalità di governance della collaborazione tra imprese che facilitano la condivisione di asset e conoscenze, e in generale di fattori produttivi tra cui i lavoratori dipendenti che, soprattutto in un momento di grave crisi, sono tra i soggetti più deboli da tutelare (MOCELLA, M.: Reti di imprese e rapporti di lavoro, Napoli, 2018), superando i limiti cognitivi derivanti dal contratto bilaterale, ma anche evitando, o quanto meno limitando i rischi di elusione di norme imperative (in particolare: tax law e labour law).

La normativa sui contratti di rete, per quanto complessa da esportare, può rappresentare un modo per supportare forme di collaborazione e innovazione competitiva, condividendo costi e benefici, specie per le piccole e medie imprese. Non è un caso che di recente, la Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (UNCITRAL) ha creato un gruppo di lavoro sui contractual network ed altre forme di cooperazione inter-imprenditoriale, valutando anche il modello italiano (MOSTAD-JENSEN, A.: “News from the United Nations Commission on International Trade Law (UNCITRAL): The Work of the Fifty-second Commission Session”, in 24 Uniform Law Review, 4, pp. 817–830].

Certo, la disciplina dei business contractual network tocca molteplici categorie del diritto privato (contratto, proprietà, antitrust, società) ma resta ancorata ai regimi e dunque alle soluzioni nazionali. La complessità e l’incertezza cresce esponenzialmente se trattasi di contratti internazionali e, correlativamente, di global value chain che sfuggono alle leggi domestiche, ed alla stessa volontà delle parti contraenti, ma incidono fortemente sugli equilibri economici mondiali (CAFAGGI, F., IAMICELI, P.: “Contracting in Global Supply Chains and Cooperative Remedies”, in Uniform Law Review, 2015, vol. 20, pp. 135-179; SALMINEN, J.: “Towards a Genealogy and Typology of Governance Through Contract Beyond Privity”, in European Review of Contract Law, vol. 16, 2020, pp. 25-43).

Questa è una delle sfide del giurista globale, l’agenda di un diritto privato “trasformativo”, consapevole che il diritto stabilizza e codifica diseguaglianze, e capace di ripensare gli istituti tradizionali coniugandoli con esigenze di giustizia sociale, sostenibilità e solidarietà (per il dibattito critico sul trasformative private law, cfr. il symposium con le riflessioni di BARTL ,M., HESSELINK, M., MAK, C., RUTGERS J.W. [http://private-law-theory.org/?page_id=22728, last visited 10 May 2020]; sul ruolo del diritto nella costruzione di ricchezze e diseguaglianze, la geniale riflessione di PISTOR, K.: The Code of Capital: How the Law Creates Wealth and Inequality, Princeton, 2019).

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