Coronavirus ed esonero da responsabilità per inadempimento di obbligazione ex art. 1218 c.c.: impossibilità sopravvenuta oppure inesigibilità della prestazione?

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Autora: Oriana Clarizia, Associato di diritto privato, Univ. ‘Federico II’-Napoli. Correo electrónico: oriana.clarizia@unina.it

1. Gli scenari disvelati dal diffondersi del contagio epidemiologico da Covid 19 alimentano il timore che nulla sarà come prima, nemmeno noi stessi. Al contempo, l’impegno di garantire un senso di continuità con il passato vince ogni paura e riconduce nel novero di una diversa normalità i cambiamenti che sembrano minacciare le nostre vite. (mette in luce le tensioni e la discontinuità del presente DI RAIMO, R.: “Le discontinuità che seguono i traumi: pensando al credito (e al debito), mentre la notte è ancora fonda”, in www.giustiziacivile.com).

Sul piano strettamente giuridico, i timori individuali e collettivi causano sentimenti di incertezza che, sovente, paralizzano la circolazione giuridica oppure ne frenano la consueta evoluzione. Oggi più che mai il giurista, nel fronteggiare nuove problematiche, è costretto a confrontarsi con le categorie e gli apparati normativi ai quali da sempre ha affidato, nella molteplicità e diversità delle fattispecie giuridiche, il ruolo di strumenti di guida e di aiuto.

L’obiettivo è verificare che l’attuale contesto applicativo non privi tali paradigmi dell’ausilio cui sono preordinati e non li traduca in sovrastrutture non adeguate alle peculiarità del presente.

Entro i confini della materia giuridica patrimoniale, la crisi economica e la fase emergenziale di questi giorni sollecitano l’attenzione sull’influenza del diffondersi del contagio da Coronavirus sull’esecuzione dei rapporti obbligatori. Con particolare riferimento alla responsabilità del debitore da inadempimento di obbligazione, ex art. 1218 c.c., ci si chiede se l’epidemia Covid 19, nel determinare l’applicazione di un regime normativo che esclude la relativa imputabilità del debitore, configuri un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta (cfr. DE MAURO, A.: “Pandemia e contratto: spunti di riflessione in tema di impossibilità sopravvenuta della prestazione”, e ZACCHEO, M.: “Brevi riflessioni sulle sopravvenienze contrattuali alla luce della normativa sull’emergenza epidemiologica da Covid-19”, in www.giustiziacivile.com) oppure di inesigibilità della prestazione. Prima facie, le menzionate categorie sembrerebbero coincidere; ad un’analisi più attenta, identificano paradigmi di disciplina differenziati (sul tema, diffusamente, CLARIZIA, O.: Sopravvenienze non patrimoniali e inesigibilità nelle obbligazioni, Napoli, 2012. Il fenomeno identifica problematiche diverse rispetto a quelle sottese ai patti di inesigibilità, sui quali RECINTO, G.: I patti di inesigibilità del credito, Napoli, 2004, ed ivi bibliografia citata).

Il lavoro intende muovere dall’analisi di siffatti profili differenziatori al fine di mostrare che la risposta al quesito prospettato non si inscrive nella direzione in favore sempre dell’una oppure dell’altra categoria menzionata.

2. Di là dalla comune funzione di escludere la coercibilità dell’adempimento e la responsabilità del debitore, l’inesigibilità non confluisce entro il perimetro della categoria dell’impossibilità sopravvenuta né rappresenta una sua sottospecie, individuando, al contrario, una categoria che opera su un distinto piano valoriale ed applicativo.

L’impossibilità sopravvenuta, contraddistinta dai caratteri dell’assolutezza e dell’oggettività, costituisce – salvo quanto più avanti sarà precisato in relazione all’impossibilità temporanea – una fattispecie estintiva dell’obbligazione per il verificarsi di eventi, riconducibili al caso fortuito e alla forza maggiore, non imputabili alla sfera di controllo del debitore e – nell’accezione più rigorosa della teoria oggettiva (prospettata da OSTI, G.: “La cosí detta clausola “rebus sic stantibus” nel suo sviluppo storico”, in Riv. dir. civ., 1912, pp. 1 ss.; OSTI, G.: “Appunti per una teoria della «sopravvenienza» (La cosí detta clausola “rebus sic stantibus” nel diritto contrattuale odierno)”, ivi, 1913, pp. 471 ss.; OSTI, G.: “Revisione critica della teoria sulla impossibilità”, in Riv. dir. civ., 1918, pp. 209 ss., ora in OSTI, G.: Scritti giuridici, Milano, 1973, pp. 111 ss.; ma v. anche OSTI, G.: “Impossibilità sopravveniente”, in Noviss. dig. it., VIII, Torino, 1962, pp. 287 ss., ora ivi, pp. 487 ss. Per una corretta comprensione del pensiero di tale autore, SEGRÈ, G.: “Sulla teoria dell’impossibilità della prestazione (Recensione a Osti, G.: “Revisione critica della teoria sull’impossibilità della prestazione”, in Riv. dir. civ., 1918, pp. 209-259, 313-360, 417-471)”, in Riv. dir. comm., 1919, I, p. 760; VISINTINI, G.: “Riflessioni sugli scritti di Giuseppe Osti. (L’impossibilità della prestazione e la sopravvenienza nel rapporto obbligatorio)”, in Riv. trim., 1971, pp. 213 ss.; D’AMICO, G.: “La responsabilità contrattuale: attualità del pensiero di Giuseppe Osti”, in Riv. dir. civ., 2019, pp. 1 ss.) – tali da non consentire l’adempimento della prestazione non soltanto al particolare debitore ma a nessun altro nella sua condizione. Le circostanze ascrivibili all’impossibilità sopravvenuta appaiono eterogenee e non rendono l’esecuzione della prestazione necessariamente lesiva dei valori della persona del debitore, ben potendo costituire causa di alterazioni e sproporzioni rilevanti sul piano meramente economico. Tuttavia, alla rigidità che connota l’originaria costruzione della teoria oggettiva dell’impossibilità sopravvenuta, hanno fatto seguito posizioni diverse finalizzate a commisurare la diligenza richiesta al debitore e la responsabilità ex art. 1218 al concreto, specifico, rapporto obbligatorio (per approfondimenti cfr. CLARIZIA, O.: Sopravvenienze non patrimoniali e inesigibilità nelle obbligazioni, cit., pp. 43 ss. e 86 ss.).

In via autonoma rispetto all’impossibilità sopravvenuta, la figura dell’inesigibilità della prestazione – elaborata in Germania per indicare il sacrificio cui il debitore è tenuto e oltre il quale la prestazione diviene inesigibile (cfr. § 242 BGB), accolta, successivamente, nell’ordinamento italiano con declinazioni diverse – trova applicazione unicamente là dove l’interferenza è tra valutazioni patrimoniali ed esistenziali, consentendo di reagire, nella fase esecutiva del rapporto obbligatorio, a squilibri non economici ma dovuti ad alterazioni della sfera esistenziale del debitore. Attiene, dunque, all’area dell’inesigibilità con conseguente, legittimo, rifiuto del debitore di adempiere, il verificarsi di sopravvenienze non patrimoniali rilevanti sul piano ‘assiologico’, tali da rendere necessario il ripristino della prevalenza sui valori patrimoniali di quelli riguardanti la salute del debitore oppure la sua sfera esistenziale (esemplari, in questo senso, Corte cost. 3 febbraio 1994, n. 19; Cass. 30 agosto 2004, n. 17314).

Superate le impostazioni che individuavano nella buona fede – quale limite alla pretesa creditoria e allo sforzo esigibile – il fondamento dell’inesigibilità e il necessario strumento di concretizzazione dei principi costituzionali, di per sé privi di forza immediatamente precettiva (a titolo esemplificativo v. MENGONI, L.: “Obbligazioni di «risultato» e obbligazioni «di mezzi»”, in Riv. dir. comm., 1954, I, poi in MENGONI, L.: Scritti, II, Obbligazioni e negozio, Milano, 2011, spec. pp. 180 ss. e, per il rilievo della correttezza, CASTROVINCI, D.: “Il problema della inesigibilità della prestazione”, in Giust. civ., 1988, II, pp. 346 ss.) la non esigibilità della prestazione rintraccia la sua giustificazione nella ponderazione derivante dal bilanciamento dei contrapposti valori patrimoniali ed esistenziali, elevandosi a strumento di conformazione della disciplina del rapporto obbligatorio alla diretta applicazione dei principi costituzionali. Pertanto, restano estranee alle fattispecie liberatorie ascrivibili a tale categoria le sopravvenienze e gli avvenimenti che colpiscono semplicemente il patrimonio del debitore oppure che comportano ponderazioni concernenti valori esclusivamente patrimoniali (così, invece, per Corte cost. 1 aprile 1992, n. 149). La “contraddizione rivelata dal concetto di inesigibilità” (l’espressione è mutuata da ROMANO, G.: “Equilibrio e meritevolezza nel rapporto obbligatorio. (A proposito della inesigibilità della prestazione)”, in AAVV.: I rapporti civilistici nell’interpretazione della Corte costituzionale. Iniziativa economica e impresa, III, Atti del 2° Convegno Nazionale SISDiC, (Capri 18-19-20 aprile 2006), Napoli, 2007, p. 38) postula il configurarsi di un potere di esigere il credito che, giustificabile alla nascita, è paralizzato nel suo esercizio da sopravvenienze che impongono di procedere ad un nuovo bilanciamento, reso necessario dal coinvolgimento di valori non patrimoniali, diversi da quelli caratterizzanti il momento genetico.

Tale ricostruzione riconduce l’inesigibilità della prestazione nell’àmbito delle vicende non già estintive bensì modificative del rapporto obbligatorio. Sì che, se ben può accadere che la vicenda modificativa prodotta dall’inesigibilità sfoci nell’estinzione del rapporto obbligatorio quando il protrarsi delle circostanze comporti il venir meno dell’interesse del creditore alla prestazione, è altrettanto indubbio che l’inesigibilità consente di accedere a percorsi rimediali differenziati in ragione delle cause a suo fondamento e dell’intensità della loro incidenza.

Il che non giustifica – da ultimo – la sovrapposizione con la peculiare fattispecie dell’impossibilità temporanea: quest’ultima, infatti, non postula, come invece l’inesigibilità, l’astratta possibilità di eseguire la prestazione, risultando, al contempo, priva del requisito caratterizzante l’inesigibilità e comprendendo fattispecie – si pensi, a titolo esemplificativo, all’impossibilità di eseguire la prestazione per factum principis (Cass. 24 aprile 1982, n. 2548) oppure a causa di uno sciopero non imputabile al datore di lavoro che paralizza l’attività produttiva dell’azienda (Cass. 7 gennaio 1986, n. 61) – estranee alle valutazioni assiologiche dell’inesigibilità.

3. Chiariti i profili differenziatori tra l’impossibilità sopravvenuta e l’inesigibilità della prestazione, è opportuno vagliare se le soluzioni prospettabili in risposta alla paralisi dell’esecuzione delle obbligazioni precedentemente assunte possano costituire il risultato della rilettura delle categorie civilistiche alla luce dei principi costituzionali di solidarietà sociale e di tutela della salute individuale e collettiva (sul ruolo della solidarietà nell’attuale fase emergenziale MACARIO, F.: “Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di coronavirus”, e SCOGNAMIGLIO, C.: “L’emergenza Covid 19: quale ruolo per il giurista?”, entrambi in www.giustiziacivile.com; VETTORI, G.: “Persona e mercato al tempo della pandemia”, in Persona e mercato, 2020; MATTEI, U., QUARTA, A.: “Tre tipi di solidarietà. Oltre la crisi nel diritto dei contratti”, in www.giustiziacivile.com, ove si distingue la solidarietà difensiva da quella sociale e proattiva). Il punto, si vedrà, non è unanimamente condiviso: da più parti, infatti, si sottolinea la insufficienza di tali strumenti nel far fronte all’esigenza di far ripartire l’economia.

Il discorso sulla riconduzione del singolo rapporto obbligatorio entro il perimetro dell’impossibilità sopravvenuta oppure dell’inesigibilità è effettuato considerando, dapprima, le ipotesi nelle quali l’esecuzione della prestazione è impedita dai provvedimenti normativi d’urgenza che, nell’interesse generale, hanno disposto la sospensione di talune attività produttive o commerciali. Tali fattispecie sollecitano l’interrogativo circa la sorte dei contratti di durata in pendenza dei provvedimenti che hanno vietato lo svolgimento delle relative attività d’impresa.

A tal riguardo è agevole riscontrare il sopraggiungere di circostanze che integrano il cd. factum principis, ossia un impedimento giuridico che, nel costituire la causa della mancata prestazione, esclude l’imputabilità dell’inadempimento al debitore. Da ciò consegue l’applicazione delle norme dettate dagli artt. 1256, comma 2, 1463 ss. e 1460 c.c.: finché perdura l’impossibilità temporanea (e sempre che non si prolunghi fino a trasformarsi in una impossibilità definitiva: PERLINGIERI, P.: Dei modi di estinzione delle obbligazioni, sub artt. 1230-1259, in Comm. c.c. SCIALOJA e BRANCA, Bologna-Roma, 1975, p. 496), il debitore non è responsabile del ritardo né è tenuto all’onere della prova circa l’imprevedibilità e straordinarietà degli eventi [lo rileva BENEDETTI, A.M.: “il «rapporto» obbligatorio al tempo dell’isolamento: una causa (transitoria) di giustificazione?”, in www.dirittoegiustizia.it, secondo il quale il comma 6-bis “accerta in via legislativa una causa di forza maggiore (qui fusa, per così dire, col (e nel) factum principis)”). Ciò in conformità, altresì, all’art. 91, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 – che introduce il comma 6 bis all’art. 3, d.l. n. 6 del 2020 – secondo il quale “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”. Là dove sussista corrispettività tra la prestazione temporaneamente impossibile e la controprestazione, quest’ultima non è dovuta; nell’eventualità di una sua richiesta, il creditore potrà eccepire l’altrui inadempimento, ex art. 1460 c.c., affinché non sia unilateralmente gravato dal peso economico dell’inadempimento (BENEDETTI, A.M.: “Stato di emergenza, immunità del debitore e sospensione del contratto”, in www.giustiziacivile.com; sulle differenze tra eccezione di inadempimento e inesigibilità della prestazione, CLARIZIA O.: “L’inadempimento non imputabile. Tre modelli di confronto: inesigibilità della prestazione, impossibilità sopravvenuta, eccezione di inadempimento”, in PERLINGIERI, G., LAZZARELLI, F.: Autonomia negoziale e situazioni giuridiche soggettive, Secondo incontro di Studi ADP, 23-24 marzo 2017, Napoli, 2018, pp. 547 ss.). Cessato lo stato emergenziale, termina, altresí, la “fase di sospensione legale” dell’esecuzione del rapporto obbligatorio (l’espressione è mutuata da BENEDETTI, A.M.: “Il «rapporto» obbligatorio al tempo dell’isolamento: una causa (transitoria) di giustificazione?”, cit., § 2) e il debitore sarà nuovamente tenuto ad adempiere, ferma restando la persistenza dell’interesse del creditore.

Non è escluso, tuttavia, che il ritardo causato dalla temporanea impossibilità della prestazione affievolisca – senza eliminarlo del tutto – l’interesse della parte creditrice a ricevere la prestazione, oppure comporti un’alterazione dell’originario assetto economico tale da rendere la controprestazione economicamente sproporzionata rispetto alla prestazione ricevuta, nelle more diminuita della sua effettiva utilità per il creditore. A fronte di tali circostanze, è configurabile una riduzione del corrispettivo: ciò sia se si accoglie la prospettiva che equipara, in ipotesi di contratti di durata, l’impossibilità temporanea a quella parziale, con conseguente applicazione, alla prima, dell’art. 1464 c.c., testualmente dettato soltanto per la seconda (CABELLA PISU, L.: “La risoluzione per impossibilità sopravvenuta”, in Tratt. resp. contr. diretto da Visintini, vol. I, Inadempimento e rimedi, Padova, 2009, pp. 520 ss.; MORELLO, R.: “Gli effetti sui contratti dell’emergenza sanitaria determinata dalla diffusione del coronavirus e l’applicazione dei rimedi previsti dal Codice Civile”, in www.giustiziacivile.com, il quale, tuttavia, la esclude in ipotesi di impossibilità sopravvenuta temporanea nell’esecuzione di contratti di locazione), sia se si preferisca configurare un obbligo di rinegoziazione fondato sul dovere di buona fede (cfr. BENEDETTI, A.M., NATOLI, R.: “Coronavirus, emergenza sanitaria e diritto dei contratti: spunti per un dibattito”, in www.dirittobancario.it; sul tema, MACARIO, F.: “Rischio contrattuale e rapporti di durata nel nuovo diritto dei contratti: dalla presupposizione all’obbligo di rinegoziare”, in Riv. dir. civ., 2002, I, pp. 63 ss.).

Resta aperto il dubbio se al debitore sia consentito agire per la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità della prestazione. Si pensi, a titolo esemplificativo, per quanto concerne la materia delle locazioni ad uso commerciale, ad un conduttore che abbia preso in locazione – a fronte dell’obbligo del pagamento del canone – un immobile per lo svolgimento di attività di impresa poi impedita dai provvedimenti restrittivi che si sono susseguiti nel tempo (cfr. SALANITRO, U.: “La gestione del rischio nella locazione commerciale al tempo del coronavirus”, in www.giustiziacivile.com; DIPARTIMENTO PRIVATO E GIUDIZIALE, STUDIO BONELLI EREDE: “Incidenza del Coronavirus su alcune tipologie contrattuali”, ivi, e CUFFARO, V.: “Le locazioni commerciali e gli effetti giuridici dell’epidemia”, ivi).

A tal riguardo la dottrina ha sottolineato l’esigenza, nella scelta della figura rimediale più adeguata, di non immobilizzare ulteriormente l’economia e di garantire il contemperamento delle istanze debitorie con quelle creditorie, posto che il locatore potrebbe incorrere in difficoltà economiche analoghe a quelle del conduttore-debitore: si pensi alle vicende nelle quali i proventi derivanti dal pagamento del canone locatizio costituiscano l’unica fonte di reddito per il locatore. Il dibattito risente del diverso peso che si è disposti a riconoscere all’incidenza dei principi costituzionali nella definizione del contenuto dell’impossibilità sopravvenuta e dell’eccessiva onerosità e all’efficacia che si attribuisce, su un piano di politica del diritto, alle conseguenti sospensioni e riduzioni che investono il rapporto obbligatorio: accanto ad orientamenti favorevoli all’applicazione di una regola generale che imponga, nei contratti di durata, la rinegoziazione delle condizioni contrattuali (CUFFARO, V.: “Le locazioni commerciali e gli effetti giuridici dell’epidemia, cit.) si registrano posizioni, altrettanto autorevoli, che da un lato mettono in guardia contro i pericoli derivanti da un generale obbligo di rinegoziazione (GUERRINI, L.: “Coronavirus, legislazione emergenziale e contratto: una fotografia”, in www.giustiziacivile.com), dall’altro individuano nel ricorso all’eccessiva onerosità e all’impossibilità sopravvenuta un riferimento “teoricamente improprio […] in molti casi ingiusto, e sempre pragmaticamente controproducente”, trattandosi di dover far fronte a vizi e problematiche non già del contratto bensí del mercato (si rinvia alle ampie argomentazioni di GENTILI, A.: “Una proposta sui contratti d’impresa al tempo del coronavirus”, in www.giustiziacivile.com, § 5; analogamente, MORELLO, R.: “Gli effetti sui contratti dell’emergenza sanitaria determinata dalla diffusione del coronavirus, cit.). In tale proposta ricostruttiva si auspica l’impiego, non già delle predette categorie codicistiche quanto, piuttosto, degli strumenti forniti dal diritto della crisi di impresa (GENTILI, A.: “Una proposta sui contratti”, cit., §§ 6 ss.) oppure, in aggiunta alle prime e al fine di scongiurare il rischio di intromissioni giudiziarie nella sostituzione del contenuto contrattuale, il ricorso a procedure di (ri)negoziazione assistita oppure a nuove forme alternative di risoluzione delle controversie, sí da individuare nel ricorso al giudice un esito meramente eventuale (BELLISARIO, E.: “Covid e alcune risposte immunitarie del diritto privato”, consultabile su www.giustiziacivile.com).

Nel volgere lo sguardo alla giurisprudenza, le prime risposte in materia di differimento della prestazione per l’emergenza Covid-19 si registrano in materia di esecuzione dei contratti di locazione ad uso commerciale (Trib. Venezia 14 aprile 2020) e di proposte di modifiche a piani di ristrutturazione dei debiti prima della relativa omologazione (Trib. Napoli 3 aprile 2020).

La vicenda dalla quale deriva la prima sentenza riguarda la richiesta di un venditore al dettaglio di risoluzione, con effetto immediato, del contratto di locazione, in quanto dall’obbligo di chiusura al pubblico del proprio esercizio commerciale sarebbe conseguita l’assenza di incassi, sí da integrare una causa di sopravvenuta eccessiva onerosità ex art. 1467 c.c. Il creditore, reputando dovuto il preavviso di sei mesi, agisce per escutere la fideiussione rilasciata dall’istituto bancario a garanzia delle obbligazioni del conduttore. A seguito del ricorso della parte ricorrente, l’autorità decidente, con provvedimento interlocutorio, reputa urgente la questione e accoglie, inaudita altera parte, la domanda attorea, ordinando alla banca di non pagare quanto richiesto dalla locatrice. Si concede, altresì, il termine per il deposito di memorie sull’istanza di parte attrice. Nell’incertezza generale del momento, non stupisce che il giudice motivi la propria decisione con l’auspicio di un imminente intervento normativo che sappia fornire adeguata tutela ai contrapposti interessi delle parti protagoniste delle vicende contrattuali.

La seconda delle citate sentenze ha ad oggetto, invece, una proposta di modifica di un piano di ristrutturazione di debiti prima della relativa omologazione. Tale richiesta si fonda sulle difficoltà economiche causate dall’emergenza Coronavirus in quanto, stante la connessa riduzione della retribuzione, il lavoratore non è in grado di far fronte alle obbligazioni derivanti dall’omologa. Il giudice, dopo aver escluso la congruità a tale vicenda dell’art. 13, comma 4 ter, l. n. 3/2012, il quale presuppone modifiche a piani già omologati, accoglie la modifica del piano in ordine alla decorrenza del termine per l’adempimento degli obblighi assunti. Tra le norme a fondamento della propria decisione si richiama, in aggiunta a talune disposizioni della normativa speciale, “l’art. 91 del decreto Cura Italia, il quale, sebbene relativo «a vicende contrattuali e non a vicende caratterizzate da profili procedurali in senso ampio come il caso del piano del consumatore […]”, secondo il giudice “può essere considerata norma di carattere generale per la interpretazione delle conseguenze dell’attuazione delle misure di contenimento del Coronavirus e quindi anche strumento nelle mani del giudice per valutare la presente istanza di differimento del termine da cui iniziare a far decorrere l’adempimento delle obbligazioni».

Analogamente per le norme sulla buona fede, correttezza ed equità, considerate «ulteriori fonti immanenti ogni rapporto obbligatorio”.

A fronte dei diversi scenari rimediali prospettati, pur ammettendo che le misure restrittive di per sé non impediscano il pagamento di debiti pecuniari a titolo di corrispettivo per la locazione oppure per le forniture, non si ha difficoltà nel rintracciare nel diffondersi dell’epidemia da Coronavirus – non già una mera difficoltà soggettiva del singolo debitore nell’esecuzione della prestazione bensí – il sopraggiungere di una circostanza che, in maniera oggettiva, può alterare le condizioni del mercato e il valore delle prestazioni.

Pertanto, in assenza di rimedi testualmente previsti per tali ipotesi, non si rinvengono ostacoli ad un ripristino dell’equilibrio economico del contratto per il tramite di un impiego non abusivo ma attentamente vagliato – fermo restando il ricorrere dei relativi presupposti – dell’eccezione di inadempimento, della rinegoziazione – ancor meglio se di fonte negoziale – oppure, purché risulti provata l’effettiva sproporzione tra le prestazioni, della risoluzione per eccessiva onerosità, nell’auspicio che costituisca la strada per indurre la controparte alla riconduzione ad equità del contratto.

Perplessità, invece, si mostrano nei riguardi di un eventuale utilizzo della categoria della causa in concreto per giustificare la risoluzione del contratto per sopravvenuta inutilizzabilità della prestazione non imputabile al creditore (Cass. 29 marzo 2019, n. 8766; Cass. 10 luglio 2018, n. 18047; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26959; sia pure con motivazioni diverse, cfr. FERRANTE, E.: “Causa concreta ed impossibilità della prestazione nei contratti di scambio”, in Contr. impr., 2009, pp. 151 ss.; TRIMARCHI, M.: “L’impossibilità sopravvenuta di utilizzazione della prestazione”, in Obbl. e contr., 2010, pp. 6 ss. In diversa prospettiva si muovono le riflessioni di PAGLIANTINI, S.: “La c.d. risoluzione per causa irrealizzabile”, in Riv. not., 2010, pp. 1211 ss. Sui pericoli insiti nell’utilizzo giurisprudenziale della causa ridotta a mera formula verbale, FEDERICO, A.: “L’uso giurisprudenziale della causa concreta”, in PERLINGIERI, G., CLARIZIA, O., LEPORE, A., FACHECHI, A.: La giurisprudenza del foro napoletano e gli orientamenti nazionali ed europei in materia di obbligazioni e di contratti, Napoli, 2015, pp. 46 ss.).

Se lo scopo perseguito è favorire il ripristino dell’equilibrio economico tra le prestazioni e garantire un’equa ripartizione dei rischi (sul punto, cfr. le riflessioni di MAFFEIS, D.: “Problemi dei contratti nell’emergenza epidemiologica da Covid-19”, in www.giustiziacivile.com), la risoluzione del contratto, l’eccezione di inadempimento e la rinegoziazione si rivelano utili strumenti, senza che sia necessario fondare simili esiti sulla causa del contratto.

Ai fini della nostra indagine, basata sulla distinzione tra impossibilità sopravvenuta e inesigibilità, le conseguenze riconducibili all’incidenza del factum principis sui contratti di durata rappresentano uno strumento di gestione di sopravvenienze che influenzano l’equilibrio economico del contratto. A tali profili resta estranea la categoria dell’inesigibilità della prestazione, dettata a tutela di equilibri nei quali sussiste commistione tra istanze patrimoniali ed esistenziali.

4. Al di fuori delle ipotesi che integrano il factum principis, il debitore di prestazioni non impedite da misure di contenimento è tenuto ad adempiere la prestazione, risultando altrimenti responsabile, ex art. 1218 c.c., per l’inadempimento. Se ciò, in linea generale, è corretto, è altresì indubbio che il regime normativo della responsabilità per inadempimento deve essere ricostruito alla luce del singolo rapporto obbligatorio in quanto potrebbe accadere che, pur non intervenendo un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta, l’inadempimento risulti non imputabile e funzionalmente collegato alla tutela di assetti valoriali che giustificano la non esigibilità della prestazione. Si pensi ad un debitore di prestazioni non rientranti tra quelle impedite dalle misure di contenimento e non eseguibili con mezzi di adempimento che ne consentirebbero l’esecuzione a distanza – agevole è il riferimento, in particolare, alle attività di assistenza alla vita familiare svolte da collaboratori quali colf, badanti o baby sitter (cfr. D.P.C.M 22 marzo 2020) – che non adempie in quanto, alla luce del proprio stato di salute – si immagini sia già affetto da patologie oncologiche gravi oppure sia immunodepresso – l’esecuzione della prestazione potrebbe esporlo maggiormente al contagio con rischi particolarmente nocivi per la propria salute; analogamente, si considerino vicende nelle quali, non potendo fruire di strutture socio-assistenziali, l’adempimento della prestazione è impedito dal prevalente dovere di assistenza quotidiana a familiari particolarmente deboli (ad esempio figli gravemente ammalati, oppure genitori con patologie quali l’Alzheimer) che necessitano di aiuto, oltre che della costante presenza di punti di riferimento affettivi. In simili contesti, il ricorso all’impossibilità sopravvenuta, specie se intesa fedelmente ai requisiti della assolutezza ed oggettività, non si rivela di ausilio nel gestire l’esecuzione del rapporto obbligatorio in quanto le circostanze predette non costituiscono, materialmente o giuridicamente, un’ipotesi di impossibilità oggettiva, sí da rifluire nell’alveo della mera difficoltà soggettiva all’adempimento.

Ad esito difforme conduce l’analisi di simili fattispecie alla luce della teoria dell’inesigibilità della prestazione secondo un’accezione che ne valorizzi – più che il collegamento con la diligenza ex art. 1176 c.c. oppure con la buona fede con funzione integratrice del regolamento contrattuale (così, invece, FRANCO, R.: “Emergenza. Diritto delle obbligazioni.

Umanità”, in www.giustiziacivile.com) – la sua funzione attuativa di contenuti intrinsecamente costituzionali: in relazione alle predette fattispecie, l’interesse del creditore alla prestazione cede di fronte alle superiori esigenze di tutela della salute del debitore oppure all’osservanza dei doveri di solidarietà familiare, quali limiti invalicabili all’obbligo di esecuzione della prestazione. Conformemente alla rilettura della figura dell’inesigibilità come vicenda modificativa dell’obbligazione consegue la possibilità di una rimodulazione delle reciproche prestazioni, con possibilità, ad esempio, di temporanea sospensione dell’attività lavorativa ed obbligo di successivo recupero delle ore una volta cessata l’emergenza. In tale cornice assiologica, l’estinzione del rapporto di lavoro dovrebbe rappresentare l’estrema ratio, sempre che – si ribadisce – le particolarità del fatto concreto giustifichino simili scelte in termini di tutela.

Inevitabilmente, la presenza di circostanze diverse da quella immaginate comporterebbe un diverso piano di valutazioni con ricorso a rimedi differenti: si pensi all’eventualità che le assenze del collaboratore domestico si rivelino ingiustificate. Negli esempi innanzi prospettati, invece, la sopravvenienza non patrimoniale segna il passaggio da un regime di coercibilità ad uno di incoercibilità del comportamento attuativo del debitore, senza tuttavia estinguere il rapporto obbligatorio: la prestazione, infatti, permane eseguibile, nonostante il pregiudizio che potrebbe derivarne per la sfera esistenziale del debitore e purché il protrarsi delle circostanze impeditive dell’esecuzione non dia luogo al venir meno dell’interesse del creditore alla prestazione. Sì che, là dove il debitore decida spontaneamente di adempiere, nonostante la sopravvenienza non patrimoniale, il creditore conserva il potere – non di esigere bensí – di ricevere e trattenere quanto adempiuto.

Ne consegue che la non imputabilità dell’inadempimento al debitore va vagliata alla stregua della singola prestazione dedotta in obbligazione e si declina in funzione di variabili – quali la natura della prestazione dedotta in obbligazione, gli interessi coinvolti, la considerazione riconosciuta al Coronavirus nell’àmbito delle misure di contenimento, le specificità della fattispecie – che contraddistinguono l’equilibrio fondativo del programma negoziale come meramente economico oppure assiologico. Sì che, là dove l’epidemia da contagio incida sull’esecuzione di contratti di durata e costituisca la causa di provvedimenti normativi limitativi delle relative attività di impresa, il problema si risolve nella gestione di sopravvenienze che incidono sull’equilibrio economico del contratto: agevole è la riconduzione agli impedimenti che integrano il factum principis al fine di segnare l’esonero da responsabilità ex art. 1218 c.c. Di là da tali ipotesi, il mancato adempimento di prestazioni non rientranti nei divieti sanciti dalle misure di contenimento governative non sempre – diversamente rispetto a quanto prima facie potrebbe apparire – è causa di responsabilità patrimoniale ex art. 1218 c.c.: così non è, infatti, quando l’epidemia costituisce una sopravvenienza che, in relazione alle concrete circostanze di quella fattispecie, incide sull’esecuzione della prestazione, astrattamente possibile e giuridicamente non vietata, comportando una lesione di valori costituzionali gerarchicamente superiori, quali la tutela della salute del debitore oppure della solidarietà familiare.

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