In attesa di sapere se il disegno di legge recante norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità (c.d. d.d.l. Pillon) – dal 10 settembre al vaglio della Commissione Giustizia del Senato – rimodulerà i rapporti tra genitori e figli nella fase patologica del rapporto, le Sezioni Unite della Cassazione, dopo la nota pronuncia sui criteri determinativi dell’assegno di divorzio (Cass. 11 luglio 2018 n. 18287), sono nuovamente intervenute per far chiarezza sulla spettanza della pensione di reversibilità nel caso di percezione, da parte dell’ex coniuge, dell’assegno divorzile in un’unica soluzione.
In virtù dell’art. 9, comma 3, della legge n. 898 del 1970 (come sostituito dall’art. 13 della legge n. 74/1987 ed interpretato dall’art. 5 della legge di interpretazione autentica n. 263 del 2005), al coniuge nei confronti del quale sia stata pronunciata la sentenza di scioglimento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili e che sia titolare dell’assegno di cui all’art. 5 della medesima legge – ove per titolarità deve intendersi l’avvenuto riconoscimento dell’assegno da parte del tribunale – spetta il concorso sulla pensione di reversibilità, tenuto conto della durata del rapporto.
La disposizione, tuttavia, non chiarisce se la prestazione previdenziale in discorso, richieda la titolarità attuale e la concreta fruizione dell’assegno divorzile ovvero se sia sufficiente una titolarità astratta del diritto in precedenza già soddisfatto con la corresponsione dell’assegno in un’unica soluzione.
A far chiarezza sul punto, come accennato, sono intervenute le Sezioni Unite.
Secondo il Supremo Collegio – con la pronuncia che qui si segnala – posto che con tale norma “la finalità del legislatore è quella di sovvenire a una situazione di ‘deficit’ economico derivante dalla morte dell’avente diritto alla pensione, (…) l’indice per riconoscere l’operatività in concreto di tale finalità è quello della attualità della contribuzione economica venuta a mancare; attualità che si presume per il coniuge superstite e che non può essere attestata che dalla titolarità dell’assegno, intesa come fruizione attuale di una somma periodicamente versata all’ex coniuge come contributo al suo mantenimento”.
Pertanto, atteso che l’espressione “titolarità nell’ambito giuridico presuppone sempre la concreta e attuale fruibilità ed esercitabilità del diritto di cui si è titolari”, le Sezioni Unite, sulla scia della giurisprudenza laburistica, hanno concluso ritenendo che la corresponsione dell’assegno ‘una tantum’ preclude la possibilità per il coniuge beneficiario di proporre qualsiasi successiva domanda di contenuto economico, giacché, essendo stato definitivamente soddisfatto il diritto all’assegno divorzile, non esiste alla morte dell’ex coniuge una situazione di contribuzione economica periodica e attuale che viene a mancare.
Per tale ragione, “difettando il requisito funzionale del trattamento di reversibilità, che è dato dal presupposto solidaristico finalizzato alla continuazione del sostegno economico”, la Cassazione ha stabilito che per “titolarità” deve intendersi quella “attuale e concretamente fruibile dell’assegno divorzile, al momento della morte dell’ex coniuge”, e non già quella “astratta del diritto all’assegno divorzile che è stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in un‘unica soluzione”.
Giuseppe Garofalo, Doctorando en Derecho, LUMSA.
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