La significativa pronuncia della corte EDU sullo stato parentale della persona transgender nell’atto di nascita del figlio (caso O.H. e G.H. c. Germania,4 aprile 2023).

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Autora: Rosita Lifrieri, Dottoressa in giurisprudenza, Sapienza Università di Roma.

1. Lo scorso 4 aprile 2023 la Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata sulla questione riguardante la dicitura da inserire nell’atto di nascita del figlio nato da una donna transgender, la quale ha partorito il bambino dopo aver ottenuto la rettificazione di sesso ed essere stata riconosciuta come uomo, anche in assenza di un intervento chirurgico. Il ricorrente ha chiesto di essere indicato come padre del bambino, precisando che lo spazio previsto per la registrazione del nome della madre doveva rimanere vuoto, che il minore non ha un secondo genitore legale e che è stato concepito utilizzando sperma donato.

In primo grado le autorità amministrative tedesche hanno ordinato all’ufficio dello stato civile di registrare il primo ricorrente (il Sig. G.H.) come madre del secondo ricorrente e per meglio dire il figlio (il Sig. O.H.).

In linea di continuità si è posta la Corte d’Appello di Berlino e successivamente anche la Corte di giustizia federale tedesca la quale ha esaminato la questione se l’attribuzione ai genitori di uno status giuridico estraneo alle loro funzioni procreative può ledere i diritti fondamentali del figlio.

Precisamente il fondamento della decisione di registrare la donna transgender come madre del bambino è stato rinvenuto dai giudici tedeschi nelle disposizioni del codice civile tedesco e nella disciplina prevista dalla legge relativa al nome e al sesso delle persone transessuali.

L’art. 1591 del codice civile tedesco stabilisce espressamente che la donna che ha partorito un bambino ne è la madre. Segue l’art. 1592 secondo cui il padre di un bambino è l’uomo che, al momento della nascita, era sposato con la madre del bambino stesso, che ha riconosciuto la paternità o la cui paternità è stata accertata giudizialmente.

L’art.11 della legge TSG prevede che la decisione di riconoscere una persona transessuale come appartenente all’altro sesso non incide sul rapporto giuridico che intercorre tra tale persona e i suoi figli. Questa norma si applica anche alle situazioni in cui il figlio biologico di una persona transgender è nato dopo la scelta del genitore di cambiare sesso. Lo scopo dell’art. 11 della legge TSG non è quello di pregiudicare il riconoscimento dell’identità di genere di un genitore transgender, o in generale il diritto all’autodeterminazione, ma esso mira a garantire che tutti i bambini siano sempre legati giuridicamente ad una madre e ad un padre secondo le funzioni procreative di questi ultimi.

Così dal quadro normativo delineato si evince che il legislatore tedesco intende collegare giuridicamente i figli ai genitori biologici perché proprio come ha precisato, nel caso in esame, la Corte di giustizia federale tedesca maternità e paternità sono categorie giuridiche distinte e non intercambiabili.

Per tutte queste ragioni la Corte EDU ha confermato la scelta delle autorità interne di indicare il ruolo del genitore in base al sesso biologico e non a quello in cui egli si identifica in quanto le scelte riguardanti l’identità sessuale dei genitori non devono interferire con il diritto del figlio alla stabilità in ordine alle figure genitoriali.

La Corte EDU ha incentrato la motivazione della sua pronuncia sul fatto che l’attribuzione del ruolo di madre deve essere riconosciuto solo a chi partorisce il figlio. L’essere madre è legato alla funzione procreativa: la madre è la persona che da alla luce il bambino. Nel caso di specie, quindi, lo stato genitoriale della donna transgender che ha partorito il bambino, dopo esser stata riconosciuta come uomo, è quello di madre.

Inoltre la Corte ha chiarito che non risulta esservi nessuna violazione degli artt. 8 e 14

Cedu in quanto le autorità tedesche hanno effettuato un corretto bilanciamento degli interessi coinvolti ossia: il diritto all’autodeterminazione, il diritto del minore a conoscere i suoi genitori da un lato; gli interessi pubblici e quindi la coerenza dell’ordinamento giuridico, la completezza dei registri di stato civile che hanno un particolare valore probatorio dall’altro.

Pertanto non risultata fondata la tesi del ricorrente secondo cui la decisione delle autorità pubbliche di attribuirgli il genere femminile, nell’atto di nascita del figlio, costituisce un’ingerenza nell’esercizio del suo diritto al rispetto della vita privata e familiare.

La Corte di Strasburgo ha poi specificato che lo scopo dell’art.8 Cedu non è solo quello di tutelare la persona da ingerenze arbitrarie delle autorità pubbliche, ma esso impone degli obblighi positivi agli Stati membri inerenti all’effettivo rispetto della vita privata e familiare.

Un principio, questo, che si ricorda è stato enunciato per la prima volta nella causa Marckx c. Belgio (ricorso n.683/74) : il rispetto della vita familiare, garantito dall’art. 8 par. 1 della Convenzione, non si limita al dovere dello Stato di astenersi da determinate ingerenze dei pubblici poteri che possono costituire un ostacolo allo sviluppo di ciò che consideriamo appartenere alla vita familiare, ma implica anche che lo Stato ha l’obbligo di prescrivere, nel proprio ordinamento giuridico interno, norme che consentono agli interessati di condurre una vita familiare normale. L’attuazione di molti diritti fondamentali, come i diritti familiari, richiede un’azione positiva da parte dello Stato sotto forma di adozione delle norme sostanziali, organizzative e procedurali necessarie a tal fine.

In particolare, nell’adempiere tali obblighi, gli Stati membri godono di un certo margine di discrezionalità, il quale però risulta essere ristretto in tema di filiazione e di identità di genere.

Inoltre la Corte di Strasburgo ha spiegato di aver stabilito una serie di elementi rilevanti (ad esempio: l’importanza degli interessi dei ricorrenti, i valori fondamentali o aspetti essenziali della vita privata di questi ultimi, nonché l’impatto sugli interessati di un conflitto tra realtà sociale e diritto) per valutare il contenuto di tali obblighi positivi.

Tutte queste considerazioni sono state ribadite dalla Corte EDU anche nel caso A.H. e Altri c. Germania del 4 aprile 2023, ricorso n. 7246/20. Un caso riguardante tre ricorrenti. La prima è un genitore transgender, nata maschio, la cui riqualificazione anagrafica è stata riconosciuta dal Tribunale distrettuale. La ricorrente ha lamentato che le autorità di stato civile hanno rifiutato di iscriverla, nel registro delle nascite, come madre della terza ricorrente in quanto non è stata lei a partorire, ma la seconda ricorrente. Quest’ultima ha dato alla luce la bambina che è stata concepita con lo sperma della prima ricorrente. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che la scelta dei mezzi volti a garantire il rispetto dell’art. 8 della Cedu, nell’ambito delle relazioni interpersonali, è una questione che rientra nel margine di apprezzamento degli Stati contraenti.

2. A fronte della decisione della Corte EDU, non può non precisarsi che oggigiorno non vi è consenso tra gli Stati europei sulla questione di come indicare, nei registri di stato civile relativi a un minore, la persona transgender avente lo status di genitore.

Questa mancanza di consenso determina l’inesistenza di un diritto internazionale che la Corte europea dei diritti dell’uomo può applicare e interpretare nella materia in oggetto e al contempo evidenzia come il cambiamento di genere combinato con la genitorialità solleva delicate questioni etiche.

Solo cinque Stati membri del Consiglio d’Europa hanno previsto l’iscrizione in tali registri del sesso riconosciuto: Belgio, Malta, Slovenia, Svezia e Irlanda.

Tutti gli altri Stati continuano a designare la persona che ha dato alla luce un bambino come madre di quel bambino in quanto ritengono che la parentela deve fondarsi sulla funzione procreativa biologica.

Si pensi ad esempio alla Francia e alla significativa pronuncia della Cour de Cassation, civile, Chambre civile 1,16 septembre 2020, n°18-50.080,19-11.251.

La Corte di Cassazione francese ha respinto la domanda presentata da un uomo (che è divenuto donna, pur conservando i suoi organi genitali maschili, e ha concepito un bambino con sua moglie) di essere dichiarato madre nell’atto di nascita del figlio.

La persona transgender, secondo la Corte di Cassazione francese, non deve essere privata del diritto a vedersi riconosciuto il legame di filiazione biologica con il figlio, ma può farlo solo ricorrendo alle modalità di accertamento della filiazione riservate al padre. In altre parole il ricorrente ha un legame biologico con il bambino ma come padre mentre la sua sposa è la madre biologica del minore.

Giova precisare che la Corte di Cassazione francese è giunta a questa conclusione nel rispetto delle disposizioni previste dal codice civile francese: ai sensi degli articoli 311 e 325 la filiazione è stabilita, nei confronti della madre, dalla designazione di quest’ultima nell’atto di nascita del figlio. L’articolo 320, dello stesso codice, finché non è stata impugnata in tribunale la filiazione, legalmente costituita, impedisce che si costituisca un’altra filiazione che la contraddica.

Tali disposizioni ostano a che si possano accertare due filiazioni materne nei confronti dello stesso figlio, esclusa l’adozione.

Ancora gli articoli 313 e 316, comma 1°, del codice civile francese, stabiliscono che la filiazione del figlio può essere accertata con il riconoscimento della paternità quando la presunzione di paternità viene meno per mancata designazione del marito come padre nel certificato di nascita del bambino.

Proseguendo, in Inghilterra, con sentenza del 29 aprile 2020, pronunciata nella causa McConnell c. il Registrar General for England and Wales ([2020] EWCA Civ 559), la Court of Appeal for England and Wales ha stabilito che un uomo transgender che ha dato alla luce un bambino, concepito con lo sperma di un donatore e nato dopo il suo cambio di sesso, deve essere registrato sul certificato di nascita del figlio come madre.

Il fatto che l’uomo trans è riconosciuto come appartenente al genere maschile, al momento della nascita del bambino, non incide sull’attribuzione dello status di madre perché tale modalità di inclusione dell’interessato nell’atto di nascita è intesa a tutelare i diritti altrui, compresi quelli dei figli nati proprio da genitori transgender, e a mantenere un modo chiaro e coerente di registrare le nascite.

Nel testo della sentenza emerge chiaramente che l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente: ogni bambino deve avere una madre e deve essere in grado di scoprire chi è sua madre, perché questo costituisce il migliore interesse del minore.

Dunque per i giudici inglesi il sig. McConnell deve essere registrato come madre del minore (piuttosto che come padre, genitore o genitore gestante) e questa decisione non si pone in contrasto con quanto stabilito dall’art. 8 della Cedu, considerato l’ampio margine di discrezionalità concesso agli Stati contraenti in merito al riconoscimento giuridico delle identità trans. Ampio margine di apprezzamento che è radicato nella necessità di bilanciare gli interessi privati, pubblici e i diritti previsti dalla Convenzione stessa.

3. Dall’analisi del caso O.H. e G.H. c. Germania emerge chiaramente che per la Corte EDU l’interesse preminente da tutelare è quello del minore in conformità a quanto previsto dall’ 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del fanciullo secondo cui :“in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.

Gli Stati parti si impegnano ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei doveri dei suoi genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la sua responsabilità legale, ed a tal fine essi adottano tutti i provvedimenti legislativi ed amministrativi appropriati. Gli Stati parti vigilano affinché il funzionamento delle istituzioni, servizi ed istituti che hanno la responsabilità dei fanciulli e che provvedono alla loro protezione sia conforme alle norme stabilite dalle autorità competenti in particolare nell’ambito della sicurezza e della salute e per quanto riguarda il numero e la competenza del loro personale nonché l’esistenza di un adeguato controllo”.

Parimenti l’art. 24, 2° paragrafo, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea prevede che: “in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente”.

Casi complessi, come questo in esame, dimostrano che anche dinanzi ad un’evoluzione della società, ai cambiamenti culturali e sociali, l’interesse morale e materiale del minore deve essere la linea guida per la decisione dei giudici. Nello specifico, questi ultimi devono, caso per caso, esaminare le informazioni che dispongono al fine di prendere una decisione nell’interesse superiore del minore e se necessario, ottenere informazioni supplementari, in particolare da parte dei detentori della responsabilità genitoriale.

Come riportato dal Comitato delle Nazioni Unite per i diritti del fanciullo (nel commento generale n. 14 del 29 maggio 2013 sul diritto del minore a che il suo interesse superiore sia preso in considerazione preminente): “il concetto di interesse superiore del minore è complesso e il suo contenuto deve essere determinato caso per caso, secondo la particolare situazione del bambino o dei bambini interessati, secondo le circostanze, il contesto e le esigenze degli interessati. Per le decisioni relative a singoli casi, l’interesse superiore del minore deve essere valutato e determinato tenendo conto della situazione concreta del minore interessato”.

La valutazione dell’interesse superiore del minore deve consistere in un esercizio multidisciplinare condotto da specialisti ed esperti autorizzati e in possesso della formazione necessaria per operare nel settore minorile.

La valutazione del best interest of the child ha natura oggettiva: non può basarsi su comportamenti, opinioni e pareri soggettivi, ma deve avvenire nel rispetto di quanto previsto dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Il minore è soggetto di diritto, è titolare di una propria soggettività giuridica e i suoi diritti fondamentali devono trovare piena affermazione nelle relazioni familiari.

Sul punto deve essergli garantito, in primo luogo, il diritto di conoscere le proprie origini e di stabilire i dettagli della propria parentela.

Un bambino riesce a costruire la propria identità personale solo ricercando le proprie origini, le proprie radici e conoscendo le informazioni relative alla famiglia biologica.

A riguardo, la Corte europea dei diritti dell’uomo, il 31 agosto 2023, ricorso n. 47196-21, ha specificato che il mancato riconoscimento giuridico tra il genitore biologico e il figlio, costituisce una violazione dell’art. 8 della Cedu, ed è svantaggioso per il bambino in quanto lo pone in una situazione di incertezza giuridica in merito alla sua identità all’interno della società.

Si pensi anche al caso Mennesson c. Francia (ricorso n. 65192/11). I coniugi Menesson si sono trovati nell’impossibilità di assicurare il riconoscimento, secondo la legge francese, ai rapporti legali genitoriali, stabiliti negli Stati Uniti, con i figli nati da maternità surrogata, poiché l’ordinamento francese vieta tale la pratica. A seguito del ricorso, da loro presentato, dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, questa ha affermato che, considerato l’importanza delle origini biologiche nell’identità individuale di ogni persona, non rientra nel miglior interesse del minore il mancato riconoscimento del rapporto di filiazione.

Ancora nel caso Labassee c. Francia (ricorso n. 65941/11) i signori Labasse hanno lamentato la violazione del loro diritto alla vita familiare (articolo 8 Cedu), essendo stata loro negata dalla Francia la trascrizione del certificato americano con cui i coniugi sono stati riconosciuti genitori della piccola Juliette, cittadina degli USA, e nata tramite maternità surrogata. La Corte EDU ha ricordato che il rispetto della vita privata esige che ciascuno possa provare i dettagli della propria identità di essere umano, compresa la propria filiazione. Quando si tratta della filiazione è in gioco un aspetto essenziale dell’identità degli individui e che, allo stato del diritto positivo, la bambina si trova, a questo proposito, in una situazione di incertezza giuridica. In altri termini il rifiuto di dare qualsiasi effetto alla sentenza americana e di trascrivere lo stato da essa risultante, incide sull’identità della minore.

Infine nel caso O.H. e G.H. c. Germania, è stato precisato che il diritto del figlio a conoscere le proprie origini non può essere compromesso dalla mancata registrazione, nel suo atto di nascita, dei genitori secondo le rispettive funzioni procreative. Solo attraverso l’attribuzione ai genitori di uno status giuridico non estraneo alla loro funzione procreativa il bambino può accedere ad un adeguato sviluppo identitario, sociale, e stabilire una relazione affettiva significativa con i genitori stessi.

Tutelare il rapporto giuridico del figlio con i suoi genitori, secondo le rispettive funzioni riproduttive, significa consentire al minore di legarsi in modo stabile e immutabile a una madre e a un padre che non cambiano, anche nell’eventuale scenario in cui il genitore transgender successivamente dovesse chiedere l’annullamento della riclassificazione di genere.

4. Oggi i casi giurisprudenziali riguardanti la filiazione di persone transessuali sono pochi.

In Italia si ricorda il caso del Tribunale dei minorenni di Torino, del 20 luglio 1982.

Il giudice ha disposto l’allontanamento dal figlio di un genitore transessuale ricomparso nella vita del minore dopo anni di assenza e dopo aver assunto una nuova identità femminile. Ciò in quanto il cambiamento di sesso del genitore ha causato un profondo turbamento nel bambino, il quale non ha accettato la nuova identità sessuale della figura genitoriale.

Altra giurisprudenza come la sentenza del Tribunale di Fermo del 28 febbraio 1996 ha sottolineato l’importanza della serena presa di coscienza del cambiamento, sia da parte del minore sia da parte del genitore, al fine di garantire un’armonica prosecuzione del rapporto genitoriale. Nel caso di specie il giudice ha deciso la sospensione dei contatti tra genitore e figlia fino al raggiungimento della maturità psicologica di quest’ultima proprio per consentirle di accettare il cambiamento sessuale del padre senza traumi.

Si evince come di fronte alla presenza di un genitore transessuale, o meglio dinanzi al cambiamento di sesso di un genitore, vengono spesso sollevati timori in ordine al regolare sviluppo psicofisico del bambino. Questa posizione prudenziale rappresenta però una necessaria forma di tutela giuridica e psicologica nei confronti di soggetti socialmente deboli quali appunto i minori.

Non si può negare che la genitorialità transgender rappresenta una nuova forma parentale, la quale si è affermata conseguentemente al mutamento del concetto di famiglia, ma dinanzi a tali cambiamenti il giurista deve prendere atto che questa società ha bisogno di un diritto che risponde alla fondamentale richiesta di giustizia sociale.

Ecco allora che in questo tema, assai complesso, avente ad oggetto diritti fondamentali, i criteri guida per l’operatore giuridico devono essere: la coerenza dei principi e la gradualità quale valore chiamato in causa dalla mobilità del diritto di famiglia dinanzi ai cambiamenti sociali e culturali.

In questa prospettiva, la Corte europea dei diritti dell’uomo, nel fornire una tutela della famiglia rispondente alla realtà socioculturale e giuridica attuale, ritiene necessario un adeguato bilanciamento degli interessi dello Stato e quelli delle persone coinvolte, primo fra tutti il minore.

In altri termini l’assolutezza tende progressivamente a ridursi ogni volta che di fronte ad un diritto fondamentale si pone un altro valore parimenti fondamentale, essendo necessario un bilanciamento tra questi, nel rispetto dei canoni dell’interpretazione adeguatrice del diritto e della ragionevolezza. Quest’ultimo concetto può essere meglio compreso se si pensa alla disciplina italiana sulla rettificazione del sesso e all’importante sentenza della Corte Costituzionale, n. 161 del 24 maggio 1985, la quale ha chiarito che chi intende avviare un percorso di transizione di genere non è obbligato a sottoporsi ad intervento chirurgico perchè vi possono essere delle situazioni in cui l’adeguamento chirurgico non risulta possibile per ragioni di salute. Quindi l’obbligatorietà dell’operazione chirurgica viene meno a favore del bilanciamento tra due diritti fondamentali: il diritto alla salute e il diritto all’identità personale.

Nota: El presente trabajo se corresponde con la ponencia del mismo título, presentada por la autora en la Jornada Profesional de Derecho de Familia, celebrada los días 18 y 19 de mayo de 2023, organizada por la Universidad de Valencia (Grupo de Investigación Permanente “Persona y Familia”-GIUV 2013-1) y el Instituto de Derecho Iberoamericano, siendo financiada por el Proyecto de investigación AICO/2021/090 “La modernización del derecho de familia a través de la práctica jurisprudencial”, Conselleria d’Innovació, Universitats, Ciència i Societat Digital).

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