Pandemia, equilibrio delle posizioni contrattuali e giusto rimedio. Brevi annotazioni

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Autora: Erika Giorgini, Ordinario di diritto privato Università Politecnica delle Marche. Correo electrónico: erika.giorgini@univpm.it

1. Tra le plurime conseguenze che l’intero globo si trova ad affrontare a seguito della pandemia da Covid-19 sono di notevole importanza quelle relative alle inevitabili ripercussioni sull’esatta esecuzione delle prestazioni dedotte in obbligazione. In particolare, l’attuale situazione sanitaria integra senza dubbio sopravvenienze (per tutti MACARIO, F.: Le sopravvenienze, in Rimedi, 2, Trattato del contratto ROPPO, Milano, 2006, p. 498) che pongono all’interprete interrogativi in merito al destino dei rapporti contrattuali, anche quando, giova precisarlo sin da subito, siano fonte di obbligazioni pecuniarie (in tema ora GENTILI, A.: “Una proposta sui contratti d’impresa al tempo del coronavirus”, in Giustiziacivile.com).

La ricostruzione giuridica rimessa all’interprete si complica poi ulteriormente ove soltanto si ponga mente al fatto che nel contesto odierno sono coinvolti anche provvedimenti dell’autorità tesi a mitigare il contagio e che impediscono determinate condotte. All’operatore giuridico, a fronte dell’accadere del fatto naturale epidemia, unitamente ai successivi e conseguenti atti dell’autorità, si pone innanzi, infatti, la qualificazione del comportamento del debitore, qualora non dovesse tenere una condotta conforme a quanto dedotto in obbligazione e, cioè, in estrema sintesi se il mancato adempimento sia da intendersi legittimo o illegittimo.

Fornire una compiuta risposta a simile interrogativo richiederebbe scandagliare, alla luce della situazione attuale, l’intera disciplina del rapporto obbligatorio e del contratto quale sua fonte, attività ovviamente impraticabile in questa sede. Quel che si può sostenere sin da subito e, che costituisce la premessa del presente lavoro, è la consapevolezza che ogni regolamento contrattuale richiede una risposta diversa al mutato contesto. I tradizionali concetti di impossibilità, imputabilità, responsabilità patrimoniale e di sopravvenienza “quantitativa” e “qualitativa” possono avere latitudini variabili tanto da rendere il regolamento contrattuale conforme o no rispetto all’unitario e complesso sistema ordinamentale.

Proprio la conformità all’unitario e complesso sistema ordinamentale e, dunque, prima di tutto ai suoi principi identificativi, deve essere la via da seguire e, preme sottolinearlo con forza, non soltanto in momenti di emergenza. Stupisce, invero, come parte della letteratura formatasi a seguito della pandemia sembri avere improvvisamente (ri)scoperto la portata applicativa (diretta) dei principi (GUERRINI, L.: “Coronavirus, legislazione emergenziale, e contratto: una fotografia”, in Giustiziacivile.com; BENEDETTI, A.M.: “Il «rapporto» obbligatorio al tempo dell’isolamento: una causa (transitoria) di giustificazione?”, ivi).

L’eccezionalità dei tempi attuali impone probabilmente ponderazioni a livelli diversi dei principi costituzionali che tuttavia sono sempre in campo.

La suddetta eventuale non conformità potrebbe declinarsi in impossibilità sopravvenuta totale o parziale, in eccessiva onerosità sempre sopravvenuta ma anche in una sproporzione ingiustificata del quadro degli interessi regolati dalle parti. Sì che gli eventi dei giorni attuali, pur apparendo una sicura causa di impossibilità sopravvenuta, non possono e non devono necessariamente condurre all’applicabilità dei rimedi tipici dell’impossibilità come del pari attente riflessioni vanno svolte anche rispetto a quelle specie di obbligazioni che tradizionalmente non dovrebbero risentire della impossibilità quali quelle generiche e/o pecuniarie.

È stata, peraltro già ben sottolineata la necessità di rinunciare a una disciplina unitaria per accedere invece all’idea che non tutti i crediti sono uguali e che, soprattutto, non lo sono tutti i debitori (DI RAIMO, R.: “Le discontinuità che seguono i grandi traumi: pensando al credito (e al debito), mentre la notte è ancora fonda”, in Giustiziacivile.com).

2. Entrando nel merito, occorre in primo luogo tentare di definire, seppur per sommi capi, quando l’impossibilità da Codiv, una volta ritenuta rilevante per la fattispecie contrattuale in esame (v. infra), conduca ad impossibilità o a inesigibilità della prestazione. In una considerevole mole di casi (ancorché dunque non sempre), il fenomeno in parola non integra un mancato adempimento legittimo inquadrabile nell’alveo della discussa categoria della “inesigibilità”. A tal proposito, sono, infatti, da seguire le più recenti riflessioni sul tema che qualificano la richiesta creditoria di adempimento nei termini di inesigibile soltanto se sopravvenienze non patrimoniali impongano, nel rispetto dei principi costituzionali, che queste prevalgano sugli interessi patrimoniali sottesi all’esatto adempimento tanto da provocare una vicenda modificativa del rapporto obbligatorio non operante su eccezione del debitore e consistente nella sottrazione al creditore della pretesa di adempimento della prestazione principale (pressoché testualmente CLARIZIA, O.: Sopravvenienze non patrimoniali e inesigibilità nelle obbligazioni, Napoli, 2012, p. 23, alla quale si rinvia anche per gli ampi riferimenti bibliografici. Sulla prevalenza delle situazioni esistenziali v., in maniera immutata e da sempre, la posizione di PERLINGIERI, P.: La personalità umana nell’ordinamento civile, Camerino-Napoli, 1972).

Stante quanto sopra sussistono senza dubbio anche ipotesi in cui debba invece configurarsi l’inesigibilità della prestazione e, cioè, quando la esatta esecuzione comporti anche soltanto la messa in pericolo della salute propria, dei propri collaboratori e della collettività in generale. In tali fattispecie la preminenza gerarchica di tali valori, proprio in ragione dell’applicabilità diretta dei principi costituzionali (in densa sintesi, PERLINGIERI, P.: “Norme costituzionali e rapporti di diritto civile”, in Rass. dir. civ., 1980, p. 95 ss.), fa sì che non ci si trovi innanzi neppure ad ipotesi di bilanciamento tra principi posto che questo ne postula al suo fondamento eguale rango di quelli rilevanti nella fattispecie concreta (sul punto, sia consentito il rinvio a GIORGINI, E.: Ragionevolezza e autonomia negoziale, Napoli, 2010; GIORGINI, E.: “Ragionevolezza, proporzionalità e bilanciamento”, in PERLINGIERI G., D’AMBROSIO M. (a cura di), Fonti, metodo e interpretazione, Napoli, 2017, p. 81 ss.). Dalla compromissione dell’integrità psico-fisica e, dunque, del più ampio diritto alla salute consegue l’inesigibilità della prestazione.

Esempi concreti di simili ipotesi sono tutte quelle esecuzioni che implicano direttamente esporsi o esporre a situazioni di contagio di tal ché andrebbero tacciate di inesigibilità le prestazioni lavorative non svolte in sicurezza o tutte quelle prestazioni dedotte in obbligazione relative agli spettacoli da svolgersi in pubblico e ai viaggi. In quest’ottica, infatti, il legislatore dell’emergenza (v. artt. 88 e 88 bis d.l. 17 marzo 2020, n. 18 conv. in l. con modifiche 24 aprile 2020, n. 27) proprio per titoli di acquisto di biglietti per spettacoli, musei e altri luoghi della cultura, nonché per l’acquisto di titoli di viaggio, di soggiorno e di pacchetti turistici ha espressamente statuito che trattasi di impossibilità della prestazione (rectius inesigibilità) e ha indicato quale principale rimedio non quelli restitutori, ai quali la risoluzione da impossibilità sopravvenuta avrebbe dovuto tipicamente condurre, ma all’emissione di voucher in sostituzione della pregressa prestazione.

Non sfugge che la casistica da ultimo evocata richiama anche quegli orientamenti giurisprudenziali che indicano “l’impossibilità sopravvenuta del creditore di usufruire della prestazione quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell’obbligazione” (Cass., 20 dicembre 2007, n. 26959, in Vita not., 2008, p. 236; più di recente Cass., 29 marzo 2019, n. 8766, in Corr. Giur., 2019, 5, p. 717).

3. Diversamente, come si è già anticipato, non sempre l’esecuzione delle prestazioni dedotte in obbligazione, anche in momenti emergenziali, compromette a priori i principi sovraordinati: sia sufficiente immaginare il pagamento di forniture quali energia elettrica, gas, merce già consegnata o già ultimata e pronta per la spedizione, contratti di servizi già svolti e che possono essere svolti anche a distanza. Tra l’altro dal considerevole complesso di norme emergenziali si ricava che la spedizione di merce già pronta è quasi sempre sostanzialmente stata praticabile anche nei periodi di c.d. lockdown. Ancora. Alcune attività, contraddistinte con specifici codici ATECO, non sono state colpite dai provvedimenti di chiusura e, dunque, potrebbero a stretto rigore invocare le ipotesi di inesigibilità di cui al paragrafo precedente, ma non de plano quelle di impossibilità, ancorché anche queste attività possano aver subito significativi problemi di approvvigionamento o, comunque, avere relazioni commerciali con soggetti sottoposti ai provvedimenti autoritativi.

Sì che difficilmente potranno darsi risposte unitarie. Diverso dovrà essere il destino di una obbligazione di pagamento di fornitura di merce già consegnata nei mesi precedenti e che soltanto il termine di adempimento, magari a favore del debitore, scadeva durante l’emergenza rispetto all’obbligazione di consegna di merce con termine di adempimento all’inizio dell’emergenza e di cui è ragionevole presumere che la produzione sarebbe dovuta già avvenire, rispetto ancora a obbligazioni di pagamento per, ad esempio, attività professionali richieste proprio per fronteggiare l’emergenza. In queste innumerevoli ipotesi, tutte difformi, occorre un significativo apporto dell’interprete al fine di individuare il rimedio più adeguato anche in ragione della non irrilevante considerazione che spesso si tratta di negozi intercorrenti nell’ambito dell’attività d’impresa (GENTILI, A.: “Una proposta sui contratti d’impresa al tempo del coronavirus”, cit.).

L’estrema varietà di casistica riscontrabile induce ad osservare in prima analisi che la pandemia Covid 19 potrebbe più spesso dare luogo a situazioni attinenti all’eseguibilità della prestazione piuttosto che di totale inesigibilità o ancora più incisivamente di stretta impossibilità (per la distinzione dei concetti v. PERLINGIERI, P.: Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, sub artt. 1230-1259, in Comm. c.c. SCIALOJA e BRANCA, Bologna-Roma, 1975, p. 485).

Un utile ausilio alla corretta qualificazione potrebbe essere la comparazione con il sistema tedesco ove mentre l’inesigibilità di cui si è detto, andrebbe ricondotta nell’alveo del § 275 (3) BGB, le altre casistiche dovrebbe essere collocate ora nel § 275 (1 e 2), ora nel § 313 BGB con evidenti diversi riflessi sugli apparati rimediali possibili.

4. La ricerca del rimedio più giusto da applicare impone riflessioni ulteriori sulla imputabilità. Se non possono esservi dubbi in ordine alla non imputabilità al debitore né dell’evento pandemia (possibile causa di forza maggiore), né del pari dei provvedimenti anche di natura limitativa delle libertà individuali ed economiche (factum principis) occorre comunque valutare se il debitore ha utilizzato la diligenza necessaria, in ragione del singolo caso concreto, per impedire (e/o limitare) il mancato adempimento.

La considerazione ha dell’ovvio ma giova ribadirla la non imputabilità del fatto pandemico al debitore non si specchia in automatico sul diverso profilo della non imputabilità del mancato adempimento tanto da escluderne l’inadempimento. Per essere ancora più espliciti la non imputabilità al debitore dell’evento naturale non è sufficiente, nel vigente regime della responsabilità, ad inferire la non imputabilità e, dunque proprio l’assenza di responsabilità, del mancato adempimento.

Il giudizio da compiere si snoda allora su due diversi ma collegati piani. Occorre verificare se vi sia una diretta incidenza del complesso fenomeno in parola (pandemia e provvedimenti dell’autorità) sull’articolato atteggiarsi della relazione negoziale e, dunque, sul contenuto della prestazione alla luce del canone di diligenza che segna il limite della responsabilità (non si intende in alcun modo né evocare, né prendere parte al concetto, per certi versi ormai del tutto superato, tra concezione soggettive o oggettiva dell’impossibilità, ma imprescindibile sul tema della centralità della diligenza v. almeno GIORGIANNI, M.: Inadempimento (dir. priv.), XX, Milano, 1970).

Non può sfuggire che tale verifica – incentrata giustappunto sugli eventuali limiti alla pretesa creditoria – comporta ovviamente riflessioni diverse in ragione, come già sopra sottolineato, della natura degli interessi e dei principi coinvolti unitamente agli effetti ai quali sono protesi i rapporti negoziali in questione, siano essi reali o meramente obbligatori ponendo particolare attenzione ai contratti a prestazioni corrispettive siano essi ad esecuzione differita o di durata.

In particolare, analizzare gli effetti della pandemia nell’ambito dei contratti sinallagmatici risulta un utile banco di prova proteso a dimostrare che la ricerca del giusto rimedio, ora più che mai necessario, comporta anche svincolarsi dalle più strenue costruzioni dogmatiche in merito alle tradizionali visioni sull’in allora innovativo istituto della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta e sulle sue cause (MACARIO, F.: “Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di «coronavirus»”, in Giustiziacivile.com).

5. Ogni utile ragionamento, infatti in tema di sopravvenienza da Coronavirus deve necessariamente muovere dalla premessa secondo la quale il rischio della pandemia non può genericamente essere attribuibile ad alcuna delle parti, di conseguenza non può automaticamente gravare esclusivamente su una parte traslandone sic et simpliceter il danno (WELLER, M.P.: “Virulente Leistungsstörungen – Auswirkungen der Corona-Krise auf die Vertragsdurchführungp”, in Neue Juristische Wochenschrift, 2020, p. 1021 ss.). Diviene, pertanto, evidente una volta per tutte che la categoria dell’eccesiva onerosità per eventi straordinari e imprevedibili (una sorta di impossibilità “economica” sopravvenuta e non imputabile), tanto più se conduce alla risoluzione, non è di per sé sola idonea a dare risposte adeguate a situazioni, quale quella attuale, ove non è affatto certo che si possa rintracciare una parte svantaggiata a fronte di una avvantaggiata.

Esempio sin troppo banale, ma in grado di rappresentare efficacemente lo stato delle cose, è il contratto di locazione ad uso commerciale. Ben, infatti, potrebbe non esserci stato il pieno godimento del bene sia a causa delle imposte chiusure, sia nondimeno della comunque sovraordinata necessità di preservare la salute dei frequentatori dei locali, ma il rimedio risolutorio condurrebbe ad esiti contro-funzionali per entrambe le parti: il conduttore perderebbe la disponibilità del bene anche per il futuro (oltre ad averne usufruito, almeno a scopo di deposito, per il periodo di chiusura) e il locatore perderebbe il canone e, anche a voler ipotizzare la praticabilità, in quanto non abusiva, procedura di sfratto, sarebbe comunque complicato immaginare una riallocazione in tempi relativamente brevi del bene presso altri conduttori (CARANCI, A.: “Coronavirus e locazione ad uso commerciale: si può sospendere o ridurre unilateralmente il pagamento del canone?”, in Cedam pluris).

La stringente necessità, tuttavia, di tutelare il conduttore non potrebbe giustificare la ricaduta dell’intero rischio dell’evento pandemico in capo al proprietario. L’impossibilità di accedere a una simile impostazione sarebbe peraltro confermata da quelle disposizioni di emergenza che hanno proprio previsto l’intervento dello Stato con una concessione, per ora limitata al mese di marzo 2020, di un credito d’imposta pari al 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione (art. 65, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 conv. in l. con modifiche 24 aprile 2020, n. 27).

6. L’assenza di qualsivoglia automatismo – che necessariamente riverbera i suoi effetti sulla necessaria non tipicità dei rimedi e del quale lo stesso legislatore dell’emergenza ha dato ampia prova – è del resto corroborata dall’ulteriore disposizione normativa predisposta ad hoc secondo la quale «il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti” » (art. 91, d.l. n. 18 del 2020, conv., con modificazioni, in l. n. 27 del 2020 che ha aggiunto il comma 6 bis all’art. 3 d.l. n. 6 del 2020, conv., con modificazioni, in l. n. 13 del 2020).

Tale disposto normativo, nel ridurre significativamente il raggio di operatività dei criteri cardine della responsabilità contrattuale, ha senza dubbio prescritto un bilanciamento in concreto dei rispettivi interessi in gioco che tenga conto degli effetti delle misure di contenimento. Come si è già evidenziato queste ultime hanno avuto differente portata nelle varie tipologie di obbligazione, sì che graverà comunque sul debitore dover dimostrare quanto le misure di contenimento hanno inciso sul mancato adempimento (SPARANO, G.: “Effetti della pandemia sui contratti.

Tesi dell’unitarietà”, in Giustiziacivile.com), soprattutto quando l’obbligazione è generica non essendo sufficiente, in quest’ultimo caso, limitarsi ad addurre una sommaria mancanza di liquidità (Cass., 15 novembre 2013, n. 25777, in Cedam Pluris nella quale si legge che in materia di obbligazioni pecuniarie la mera impotenza economica non esonera da responsabilità il debitore).

L’esito del prescritto bilanciamento, necessariamente in concreto, potrebbe nondimeno condurre ad un giudizio di non proporzionalità, anche economico, tra le prestazioni che esonererebbe (totalmente o parzialmente), in tempi di pandemia, il debitore dalla responsabilità per inadempimento, salvo che il creditore non accetti o non proponga un diverso assetto degli interessi che riconduca giustappunto a proporzione, più che meramente ad equità, le prestazioni dedotte in obbligazione (sia consentito richiamare GIORGINI, E.: “Equità e bagaglio culturale”, in Rass. dir. civ., 2016, p. 867 ss., ove si rinvia anche per i riferimenti di tutta quella giurisprudenza che si carico degli interessi sottesi alle dinamiche contrattuali).

La ricerca della proporzione è quanto mai necessaria e non può e non deve stupire stante proprio l’impossibilità di far ricadere il rischio pandemico su di una soltanto delle parti (da rileggere, specialmente oggi, PERLINGIERI, P.: Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, AA.VV.: Equilibrio delle posizioni contrattuali ed autonomia privata (a cura di L. FERRONI), Napoli, 2002, p. 51, il quale afferma che “l’eguaglianza, la solidarietà, la ragionevolezza costituiscono da un lato il terreno culturale e normativo costituzionale dal quale trae origine il principio di proporzionalità, dall’altro impongono un atteggiamento negativo verso l’approfittamento dello stato di difficoltà, di bisogno e di necessità e, quindi, verso l’eccessivo squilibrio contrattuale”).

In quest’ottica, peraltro, pare che finalmente si muova anche il governo che ha proposto già circa un anno fa un disegno di legge per la revisione del codice civile nei termini proprio di “prevedere il diritto delle parti di contratti divenuti eccessivamente onerosi per cause eccezionali e imprevedibili di pretendere la loro rinegoziazione secondo buona fede o, in caso di mancato accordo, di chiedere in giudizio l’adeguamento delle condizioni contrattuali in modo che sia ripristinata la proporzione tra le prestazioni originariamente convenuta dalle parti” (art. 1, comma 1, l. i) Ddl n. 1151).

Un’ultima telegrafica annotazione deve essere dedicata alla ragionevolezza dei tempi nei quali può eventualmente essere ottenuta una statuizione da parte del giudice ordinario, vista anche la pressoché totale sospensione dei procedimenti giudiziali non urgenti. In momenti di assoluta carenza di liquidità, rendere incerti a lungo i pagamenti, non può che pregiudicare ulteriormente la tenuta del sistema economico. Sarebbe pertanto auspicabile che il giudizio prescritto dall’evocato comma 6 bis all’art. 3 d.l. n. 6 del 2020 possa essere devoluto ad arbitrati amministrati quali quelli istituiti presso le camere di commercio. In tal modo, sarebbe possibile ottenere lodi, secondo diritto, in tempi certi e a costi contenuti (propone commissioni tecniche di arbitratori per le controversie che nasceranno a seguito di rinegoziazione tra le parti IRTI, N.: “Il diritto pubblico e privato in un’epoca che fa eccezione”, in Sole24 ore, 5 maggio 2020).

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