Autor: Marco Rizzuti, Ricercatore di Diritto Privato, Università degli studi di Firenze. E-mail: marco.rizzuti@unifi.it
Resumen: Il saggio prende spunto dai recenti sviluppi che hanno visto il superamento di alcuni postulati connessi alla cosiddetta imitatio naturae nelle adozioni, ad esempio con riferimento al genere dei soggetti coinvolti, per valutare come un’evoluzione comparabile potrebbe riguardare anche il profilo attinente al numero dei genitori.
Palabras clave: adozioni; poligenitorialità; ordine pubblico; famiglie di fatto.
Abstract: The paper takes into consideration how the recent developments of adoptions law overcame the principle of “imitatio naturae” with regard to the parents’ gender, in order to evaluate if and how a similar development could impact on the parents’ number.
Key words: adoptions; poly-parenting; public policy; de facto families.
Sumario:
I. Adozioni e “imitatio naturae”.
II. Le ipotesi della poligenitorialità.
III. Poligenitorialità e ordine pubblico.
IV. Prospettive di giuridificazione dei rapporti poligenitoriali di fatto.
Referencia: Actualidad Jurídica Iberoamericana Nº 13, agosto 2020, ISSN: 2386-4567, pp. 646-681.
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I. ADOZIONI E IMITATIO NATURAE.
Molti dei dibattuti sviluppi che hanno interessato il diritto delle adozioni attengono, com’è ben noto, al problema del significato e del valore da attribuire alla cosiddetta imitatio naturae. Anche in questo caso, però, il richiamo ad una naturalità del rapporto familiare, qualunque cosa si voglia intendere con tale espressione, non si configura come una categoria ontologica al di fuori della storia ma si trasforma con il divenire di questa.
Nel passato della tradizione romanistica il parametro della imitatio naturae tendeva ad escludere che le donne potessero adottare, giacché non avendo costoro “in natura” la potestà sui loro figli non avrebbe avuto alcun senso consentire che l’acquisissero su quelli altrui. I diritti positivi non mancarono tuttavia di introdurre deroghe a tale assunto, e può essere interessante considerare come i giuristi anche con riferimento ad esse argomentassero per valutare l’ancor più spinosa questione se, ulteriormente derogando al canone dell’imitatio, pure gli eunuchi, cioè il tertium genus hominum, potessero o meno adottare.
In tempi molto più vicini a noi si è quindi vivacemente dibattuto, e si dibatte tuttora, se il valore insito nell’imitatio naturae sia d’ostacolo al riconoscimento di adozioni omogenitoriali. Invero, a livello europeo è ormai pacifico che l’omosessualità di una persona non possa di per sé considerarsi ostativa alla tutela dei suoi rapporti con i figli né pregiudizievole per i loro interessi, ed anche che l’orientamento sessuale non possa da solo assurgere a criterio per distinguere fra coppie con riferimento alla possibilità di accedere ad istituti adozionali. Resta tuttavia legittima una distinzione basata su tale parametro ai fini dell’accesso al matrimonio, cui si correla quello all’adozione con efficacia piena, oppure a diverse modalità di giuridificazione della vita familiare, cui possono anche correlarsi, a tutela dei best interests dei minori coinvolti, distinte forme di adozione più limitate nei presupposti e nell’efficacia. Se dunque, per lo meno da un punto di vista occidentale, un’esclusione assoluta e “per natura” delle persone omosessuali non è meno anacronistica di quella delle donne, tuttavia il riconoscimento di adozioni omogenitoriali straniere con efficacia piena in ordinamenti come quello italiano, che ammettono solo meccanismi adozionali più limitati, può rappresentare ancora oggi una questione aperta.
Da un diverso punto di vista, vale la pena ricordare che per secoli è apparsa fuori discussione la piena naturalità dell’adozione di un singolo da parte di un altro singolo, giacché anzi essenzialmente solo in questo consisteva l’adozione romanistica, a conferma di come in tale tradizione culturale il riferimento alla natura avesse alla fine ben poco di biologistico, mentre oggi si tende comunemente a ritenere che tanto l’imitatio naturae quanto la tutela dei best interests of the child impongano il riferimento alla coppia, magari anche omosessuale, anziché al genitore single. Ciò non toglie però che, si tratti di residui storici o di recenti elaborazioni pretorie, forme di adozione da parte di persone singole, ancorché con effetti non pieni, trovino tuttora significativi spazi di rilevanza.
II. LE IPOTESI DELLA POLIGENITORIALITÀ.
Un ulteriore approccio alla questione può essere però rappresentato dalla considerazione della situazione per così dire inversa rispetto a quella appena menzionata: come si pone rispetto al canone dell’imitatio naturae l’ipotesi della costituzione tramite procedimenti adozionali di rapporti genitoriali con più di due soggetti?
Il tema della poligenitorialità presenta certamente dei profili di novità al confronto con le vexatae quaestiones dell’adozione omogenitoriale o di quella da parte di un genitore singolo, ma sarebbe d’altra parte errato ritenere che forme di genitorialità collettiva non abbiano a loro volta un significativo retroterra storico. Si è anzi potuto sostenere che la genitorialità riferita ad un gruppo sia più antica di quella binaria, e che una siffatta configurazione del rapporto familiare avrebbe rappresentato la normalità in determinati contesti, in cui, non essendosi affermata la monogamia, o almeno la poliginia e comunque un qualche meccanismo di controllo sulle condotte procreative, la tracciabilità del riferimento della discendenza ad una specifica coppia sarebbe stata di fatto impossibile. Ma, anche al di fuori di tale schema, la ricerca antropologica offre un panorama variegato e complesso delle possibili ulteriori forme di genitorialità condivisa. E, d’altra parte, venendo al mondo moderno, prassi e proposte miranti a collettivizzare la genitorialità si sono affacciate specie nelle fasi rivoluzionarie, all’insegna di una frontale contestazione proprio dei vincoli e degli assetti della famiglia “tradizionale”.
Nell’odierno contesto ordinamentale l’ipotesi deve essere presa in considerazione anzitutto alla luce di come questi ultimi assetti siano profondamente mutati da svariati punti di vista.
Ai nostri fini lo snodo fondamentale è quello della trasformazione del rapporto genitoriale da una configurazione in termini di autorità da esercitare sul figlio, per cui si pone anzitutto un problema di concentrazione e, per così dire, di governabilità, in quanto occorre chiaramente identificare il titolare del potere o comunque, nel caso in cui l’attribuzione sia in qualche modo ripartita, il decisore di ultima istanza, ad una affatto diversa configurazione in termini di responsabilità per l’adempimento di obbligazioni di fonte legale in favore del figlio creditore, il quale, come del resto ogni creditore, potrebbe avere tutto l’interesse a contare su di una allargata pluralità di condebitori in solido. È in questa logica che ci sembra vada intesa anche la recente emersione di vari meccanismi di tutela dell’interesse del minore al mantenimento di rapporti con figure ulteriori rispetto ai due genitori legali e che, pure in caso di piena adeguatezza di costoro, ad essi si affiancano, senza implicare valenze sostitutive, nell’adempimento di prestazioni in favore del minore.
Fra questi rapporti che possiamo indicare come para-genitoriali vanno infatti considerati quello con i parenti, ed in particolare gli ascendenti, di entrambi i rami familiari, oggetto di specifici interventi legislativi, nonché quello con il genitore sociale, coniuge o convivente di quello legale e/o biologico, nell’ipotesi delle cosiddette famiglie ricomposte, su cui è intervenuta anche la giustizia costituzionale. Avvicinandoci alla materia adottiva, nel medesimo ordine di idee si vanno a collocare il diritto del minore adottato a conservare i rapporti significativi precedenti all’adozione, e quello dello stesso soggetto, una volta divenuto maggiorenne, ad accedere alle informazioni relative alle proprie origini. Peraltro, la nostra giurisprudenza, dovendosi confrontare con gli istituti propri di altre culture giuridiche con cui ci pongono in contatto i fenomeni migratori, ha avuto frequenti occasioni per riconoscere la non contrarietà all’ordine pubblico e la possibile rilevanza della kafala nordafricana, che implica l’affidamento delle funzioni di cura di un minore in maniera tale da supportare il rapporto con i genitori d’origine senza però mai eliderlo, in conformità con principi che sono propri del diritto islamico, ma anche di altri sistemi giuridici tradizionali.
Beninteso, nelle variegate ipotesi sinora passate in rassegna, i genitori tecnicamente continuano ad essere al massimo due mentre le ulteriori figure si affiancano semmai a titolo diverso, o, nel caso della conoscenza delle origini, nemmeno instaurano una vera relazione col figlio, ma vi sono anche casi in cui invece il diritto delle adozioni consente proprio un moltiplicarsi dei rapporti stricto sensu genitoriali. Occorre infatti tenere presente che, ove si ricorra all’adozione in casi particolari al fine di giuridificare ulteriormente il rapporto genitoriale sociale col figlio del coniuge o del convivente, ciò non presuppone che l’altro genitore sia deceduto o irreperibile o inadeguato, ma risulta anzi prevista e regolata l’ipotesi che egli/ella esprima il suo assenso nell’ambito di un procedimento che, com’è noto, porta alla costituzione di un nuovo rapporto genitoriale, con efficacia non piena, ma non anche alla soppressione di quelli preesistenti. E, se in tali vicende la moltiplicazione delle figure genitoriali legali si può considerare quasi un effetto collaterale rispetto allo scopo principale dell’operazione, si è però ormai affermata anche un’ulteriore costruzione pretoria che, ancora una volta facendo leva sull’elasticità dell’adozione in casi particolari, la utilizza proprio allo scopo di conseguire una siffatta moltiplicazione.
Intendiamo naturalmente riferirci alla cosiddetta adozione “aperta” o “mite”, soluzione elaborata da una giurisprudenza inizialmente eterodossa e poi affermatasi come imprescindibile strumento di conformazione del sistema interno alle istanze di protezione del diritto alla vita privata e familiare promananti dal livello europeo. Così, a fronte di situazioni di “semiabbandono permanente”, in cui cioè la famiglia d’origine risulta insufficiente ma ha comunque un ruolo attivo e positivo, anche se non vi sono ragionevoli probabilità di miglioramento e non è perciò possibile procedere all’affido temporaneo, si perviene comunque al risultato di non cancellare né fattualmente né giuridicamente il rapporto genitoriale originario ma di affiancare ad esso un rapporto adozionale.
Ulteriori ipotesi di ricorso ad una pluralizzazione dei rapporti genitoriali si possono ravvisare nelle recenti esperienze di altri ordinamenti, in cui a tale strumento si è fatto ricorso per risolvere alcuni, antichi e nuovi, ardui dilemmi giuridici. Da una parte, si è parlato di multigenitorialità per configurare il riconoscimento di una simultanea rilevanza giuridica sia per il rapporto con il padre biologico, tardivamente scoperto, sia per quello con il padre socioaffettivo, cioè con il marito della madre che abbia di fatto cresciuto il figlio come proprio. Dall’altra parte, sono le possibili applicazioni delle biotecnologie riproduttive ad aver aperto nuove prospettive e posto nuovi problemi.
Infatti, a fronte dell’oggettiva frammentazione del contributo di plurimi soggetti al procedimento procreativo, e con gli sviluppi più recenti persino alla stessa determinazione del corredo genetico del nato, in alcuni contesti è sorta anche l’esigenza di configurare giuridicamente rapporti familiari che di tutti i soggetti in parola tengano conto, senza relegarne alcuni nella posizione estraniata e disumanizzante del datore/datrice di gameti, o mitocondri, ovvero della gestante surrogata. Nella prassi ordinante dei privati interessati si sono così sviluppati accordi, variamente valutati in sede giurisprudenziale e dottrinale, ma quantomeno in alcuni ordinamenti canadesi e statunitensi già riconosciuti al livello legislativo, per effetto dei quali sono più di due soggetti ad assumere la qualità di genitori: ad esempio, una coppia omosessuale femminile ed un genitore genetico, configurato come vero padre e non mero datore di gameti, ovvero una coppia omosessuale maschile ed una gestante, configurata come vera madre e non mera surrogata.
In ulteriori ipotesi la pluralità, almeno sociale, delle relazioni genitoriali può presentarsi come la conseguenza della procreazione, naturale o artificiale in tal caso poco rileva, di un figlio nell’ambito di un rapporto familiare non di coppia, bensì poligamico o poliamoroso.
Se, infatti, nel caso della tradizionale poliginia, ben nota con riferimento all’ambito islamico ma ricorrente anche in altre culture africane ed asiatiche, la filiazione giuridica tende a configurarsi come bigenitoriale, ciò non è però scontato nei casi più peculiari di poliandria, tuttora attestati presso certe popolazioni indigene, o nell’ambito delle convivenze poliamorose rispetto alle quali si inizia a prospettare in alcuni ordinamenti occidentali un percorso di riconoscimento giuridico.
Tutte queste ipotesi non presentano soltanto un interesse comparatistico ma potrebbero porre questioni concrete all’attenzione dei nostri interpreti. Alla luce dei precedenti rappresentati dalle dibattute problematiche connesse alla circolazione globale dei modelli familiari, non è certo improbabile che presto o tardi occorrerà affrontare il tema dell’eventuale contrarietà all’ordine pubblico di rapporti familiari poligenitoriali costituitisi all’estero, ma anche quello dell’eventuale rilevanza di analoghe situazioni che si vengano a configurare in linea di fatto nella prassi interna. E, rispetto ad entrambe le valutazioni, un ruolo fondamentale potrà essere svolto proprio dalla considerazione degli sviluppi su cui ci siamo precedentemente intrattenuti.
III. POLIGENITORIALITÀ E ORDINE PUBBLICO.
Quanto alla valutazione in punto di conformità all’ordine pubblico internazionalprivatistico, occorre anzitutto ricordare che non si tratta di vagliare in astratto gli istituti stranieri ma in concreto i loro effetti fatti valere in una determinata ipotesi, e che la clausola generale cui si fa riferimento è utile proprio in quanto valvola respiratoria che non predetermina il contenuto di quei principi con cui tali effetti non dovranno mai collidere, per cui il giudizio in questione non si presta a generalizzazioni semplificatorie ma rimane immancabilmente casistico, il che però non ci esime dalla necessità di individuare delle linee guida interpretative e argomentative.
Lo specifico profilo di nostro interesse è stato posto all’ordine del giorno in Italia da uno sfortunato disegno di legge con il quale si mirava, fra l’altro, a frapporre una ben più impermeabile barriera normativa alle possibilità di riconoscimento internazionalprivatistico dei rapporti omogenitoriali o poligenitoriali. In effetti, se consideriamo le summenzionate ipotesi concretamente prospettatesi a livello di diritto positivo canadese, i due profili appaiono strettamente connessi, il che ci consente peraltro di ipotizzare una soluzione senza dover partire da zero, ma ragionando alla luce del dibattito che ha riguardato il rapporto fra procreazione assistita omogenitoriale e ordine pubblico.
Allo stato attuale dell’evoluzione giurisprudenziale italiana parrebbe, infatti, che l’ordine pubblico non osti al riconoscimento di un atto di nascita straniero da cui constino due co-madri, in seguito al ricorso all’estero da parte di una coppia lesbica alla fecondazione eterologa, ed osti invece alla, solo apparentemente speculare, possibilità di riconoscere come co-padri entrambi i componenti di una coppia gay che abbia fatto ricorso all’estero alla maternità surrogata. Nel primo caso, infatti, si ha a che fare con un’ipotesi non ammessa dalla legge ordinaria italiana, e sulla quale non esiste invero un consenso europeo, ma comunque nemmeno contrastante con principi fondamentali, laddove nel secondo a determinare un siffatto contrasto sarebbe il disvalore insito nella maternità surrogata, lesiva della dignità della gestante, e suscettibile di determinare una reificante cessione del figlio. Pertanto, la tutela dei best interests del nato andrebbe qui limitata al riconoscimento, pacifico, della genitorialità del padre genetico ed alla possibilità di una successiva adozione in casi particolari da parte dell’altro componente della coppia maschile, che non potrà certamente essere genitore genetico del medesimo nato, almeno allo stato attuale dello sviluppo tecnologico. Il problema sta, insomma, nella tecnica procreativa utilizzata e non nell’esito omogenitoriale, che, lo abbiamo già ricordato, è già ammesso a livello interno ed anzi finisce così per ripresentarsi proprio come ammissibile sviluppo finale della medesima vicenda. I due orientamenti ritrovano da questo punto di vista, nonostante la differente concezione di ordine pubblico cui le sentenze di riferimento dichiarano di aderire, una loro coerenza giuridica, alla luce della quale possiamo incidentalmente anche osservare quanto poco convincente appaia il richiamo argomentativo alla decisione sulla maternità surrogata per risolvere in senso negativo l’altra questione pendente, cui accennavamo all’inizio, circa il riconoscimento delle adozioni omogenitoriali straniere con efficacia piena.
A questo punto, diviene dunque per noi essenziale chiedersi se e come tali valutazioni dovrebbero cambiare nelle corrispondenti varianti poligenitoriali. Da una parte, non riteniamo che, con riguardo alla coppia di donne, la valutazione debba da positiva diventare negativa solo perché è configurato come genitore anche il padre genetico. Si è infatti già avuto modo di osservare che l’ordinamento interno conosce situazioni in cui nell’interesse del figlio i rapporti genitoriali vengono moltiplicati, per cui non è il dato numerico a prospettarsi come di ordine pubblico, e, sempre subordinatamente ad una valutazione in concreto della situazione del singolo nucleo familiare, anche in tale ipotesi la soluzione potrebbe risultare per il minore preferibile rispetto alla cancellazione di ogni rilievo per la figura maschile. Dall’altra parte, con riguardo alla coppia di uomini, analoghe considerazioni ci inducono a ritenere che la valutazione di contrasto con l’ordine pubblico potrebbe venir meno laddove alla maternità surrogata si sostituisca per l’appunto il ricordato meccanismo poligenitoriale in cui la donna è anch’essa configurata come genitrice. Non saremmo infatti più di fronte ad una inaccettabile disposizione del figlio reificato, né ad una lesione della dignità della gestante, bensì, anche in tale ipotesi, ad una moltiplicazione dei rapporti genitoriali suscettibile di essere, se del caso, valutata in concreto come conforme all’interesse del minore. Oltretutto un assetto del genere si presterebbe pure ad eliminare quell’impressione di discriminazione nella discriminazione che sorge dal confronto fra le valutazioni delle vicende omogenitoriali non poligenitoriali, che finiscono per escludere le coppie gay almeno sino alla futuribile invenzione dell’ectogenesi, mentre l’ipotesi poligenitoriale qui discussa risulta già concretamente, e all’estero legalmente, percorribile.
Peraltro, se risulta convincente quanto sinora argomentato per il caso due volte problematico in cui abbiamo sia poligenitorialità sia omogenitorialità, allora un’analoga valutazione di non necessario contrasto con l’ordine pubblico ci parrebbe predicabile pure laddove sia una coppia eterosessuale ad aver coinvolto all’estero un terzo, o ulteriore, genitore in vicende comparabili con quelle ora ricordate, ed eventualmente pure a fronte di un rapporto più ampio di quello di coppia.
IV. PROSPETTIVE DI GIURIDIFICAZIONE DEI RAPPORTI POLIGENITORIALI DI FATTO.
L’ipotesi menzionata per ultima si presta, però, meglio ad essere discussa in una diversa prospettiva, e cioè non tanto sul piano dell’ordine pubblico internazionalprivatistico, dal momento che non ci confrontiamo con una determinata disciplina straniera in punto di filiazione, quanto piuttosto su quello della rilevanza di situazioni fattuali, emergenti in una prassi che ben potrà essere, a seconda dei casi, transnazionale o anche meramente interna.
Invero, la fattispecie di una relazione affettiva e di convivenza tra più di due persone, che potrebbe essere il riflesso fattuale di un coniugio poligamico non riconoscibile oppure di un’opzione per il poliamore, non gode di uno specifico riconoscimento giuridico nel nostro ordinamento ma non è nemmeno mai qualificata come illecita. Non risulterà pertanto applicabile la disciplina generale delle convivenze legalmente riconosciute, ma non si potrà nemmeno escludere la giuridificazione di alcuni profili dei rapporti fra i soggetti in questione, ove ricorrano i presupposti per l’operatività di quegli istituti civilistici generali cui la giurisprudenza si richiamava con riguardo ai rapporti familiari meramente fattuali ben prima che tale disciplina venisse elaborata: dal risarcimento del danno ingiusto alle obbligazioni naturali, oltre alla stessa autonomia contrattuale degli interessati.
Ai nostri fini interessa, però, il diverso profilo dei rapporti di filiazione: è evidente come anche i rapporti in discorso possano portare alla procreazione, ed è altresì possibile che vi si trovi coinvolto un soggetto che era già divenuto genitore. Il primo problema sarà dunque quello della ipotizzabile pericolosità per la personalità del figlio di una crescita un siffatto contesto familiare, che potrebbe legittimare il suo affidamento all’eventuale altro genitore non coinvolto nel rapporto poliaffettivo oppure un intervento di autorità pubbliche che comunque provvedano ad allontanarlo e ricollocarlo con i generali strumenti del diritto minorile. Beninteso, potrà accadere che in concreto alcune di queste situazioni presentino situazioni di grave problematicità connesse ad ulteriori ragioni di disagio che potrebbero giustificare persino provvedimenti del genere, ma non riterremmo che in termini generali, alla luce delle già richiamate considerazioni in ordine alle ipotesi in cui la moltiplicazione dei rapporti genitoriali, o paragenitoriali, può risultare nell’interesse del minore, debba essere solo il numero dei conviventi a legittimare un così pesante intervento di compressione del diritto alla vita privata e familiare.
Se escludiamo una così drastica ipotesi di soluzione, allora, come già nel caso delle convivenze omosessuali, anche i rapporti fattuali instauratisi nell’ambito di tale differente realtà familiare si potranno prestare ad essere, se del caso, tutelati in quanto forme di genitorialità sociale, con un conseguente diritto del minore a conservarli pure nel caso di rottura, totale o parziale, del ménage. La comparazione fra le relazioni familiari same-sex e quelle poligamiche, da più parti più o meno provocatoriamente affacciata, non sempre convince appieno, ma, se ci concentriamo sui rapporti di genitorialità sociale che a tali contesti familiari si riconnettano, le analogie sono oggettivamente più forti, nel senso che si tratta in ogni caso di tutelare l’interesse del minore alla conservazione di rapporti significativi. E, ancora una volta in analogia con i ricordati sviluppi, si potrebbe pertanto ragionevolmente arrivare anche in questo ambito ad una giuridificazione di tali rapporti tramite il ricorso all’adozione in casi particolari, di cui abbiamo del resto già constatato l’idoneità a costituire, sempre nell’interesse del minore, rapporti di carattere poligenitoriale.