Obbligazioni e contratti al tempo dell’emergenza: l’esperienza italiana (art. 3, comma 6-bis, d.l. n. 6/2020)

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Autor: Alberto Maria Benedetti, Professore ordinario nell’Università di Genova – Italia Consigliere – Consiglio Superiore della Magistratura. Correo electrónico: alberto.benedetti@unige.it

1. Nello “stato di guerra” il diritto civile, come dimostra l’esperienza storica, cerca di adattare le proprie regole alla situazione straordinaria, soprattutto in materia di obbligazioni e contratti (sono note le leggi speciali emanate durante la prima guerra mondiale: in Francia, ad esempio, la loi Faillot del 21 gennaio 1918); inevitabilmente, le situazioni straordinarie chiamano disposizioni eccezionali, anche in situazioni in cui il diritto civile ha, in sé, gli strumenti per reagire all’imprevisto.

Oggi, in Italia, si può affermare con certezza l’esistenza di uno “stato di emergenza” (dichiarato con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, per la durata di sei mesi), in ragione del quale molti diritti costituzionali di rango fondamentale trovano, a voler essere benevoli, una sorta di riarticolazione transitoria, in un bilanciamento con l’interesse collettivo alla prevenzione dell’epidemia.

In questo clima, è naturale domandarsi se le condizioni in cui stiamo vivendo possano avere, e se sì in che limiti, effetti sulle regole operative dei contratti e della responsabilità contrattuale (la rivista www.giustiziacivile.com ha ospitato diversi contributi di civilisti italiani su questi temi); come, appunto, accadrebbe (ed è accaduto in passato) nello “stato di guerra”.

Da una parte, le declamazioni solidaristiche – una costante negli ultimi decenni- trovano un terreno in cui, seriamente, il contratto può e deve fare solidarietà; dall’altra, la riduzione, se non il totale venir meno, del contatto (anche fisico) tra le persone pone problemi che investono tutti i “rapporti” giuridici, nella misura in cui l’essenza stessa della nozione di “rapporto” implica un’interazione tra (almeno) due soggetti: dallo scambio di due dichiarazioni di volontà, alla cooperazione per il conseguimento di interessi comuni e individuali; dall’osservanza di doveri verso gli “altri” alla cura degli interessi di una persona debole etc..

“Rapporto” è infatti “relazione tra i titolari di una situazione attiva e di una corrispondente situazione passiva” (ROPPO, V.: Diritto privato, Torino, 2018, p. 57); senza possibilità di azione e interazione (anche in una dimensione fisica), l’intero assetto del diritto delle obbligazioni (e non solo di esso) entra in sofferenza, specie se si rifletta sulla dimensione dell’obbligo del soggetto passivo dell’obbligazione (“dovere di tenere un certo comportamento”: DI MAJO, A.: Obbligazioni e tutele, Torino, 2019, p. 7), sempre rivolto verso qualcuno (sulla “destinatarietà” dell’obbligazione: IRTI, N.: Introduzione allo studio del diritto privato, Padova, 1990, p. 49).

Se, però, l’emergenza impedisce, anzi vieta, azioni, comportamenti e attività aventi una dimensione relazionale, il rapporto obbligatorio non può non risentirne e il legislatore dell’emergenza, saggiamente, se n’è accorto.

2. In Italia, l’art. 91 d.l. n. 18/2020, dedicato alla responsabilità del debitore, reca la seguente rubrica: “Disposizioni in materia ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento (…)”; nel contenuto, la disposizione introduce un comma 6-bis all’art. 3 del d.l. n. 6/2020: “Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti” (su questo può vedersi anche BENEDETTI, A.M.: “Il rapporto obbligatorio al tempo dell’isolamento: brevi note sul Decreto cura Italia”, in Contratti, 2020, pp. 213 ss.).

Nel d.l. n. 6/2020 le misure di contenimento possono incidere sull’adempimento di innumerevoli specie di obbligazioni e delle prestazioni che ne formano oggetto, basti pensare alla disposta sospensione delle attività commerciali e alle altre misure che, più semplicemente, impediscono gli spostamenti se non per determinate ragioni legislativamente identificate.

Se la dimensione relazionale entra in una sorta di sospensione emergenziale, il comma 6-bis dell’art. 3 del d.l. n. 6/2020 (d’ora in poi: comma 6-bis), volendo valorizzare il senso della sua rubrica, è dedicato alla disciplina degli inadempimenti emergenziali, e, cioè, di quegli illeciti contrattuali dovuti non già a dolo o colpa del debitore, ma alla necessità per il debitore di osservare una misura di contenimento che gli impedisce di eseguire la prestazione, dando corso al programma negozialmente concordato.

Se, cioè, è la misura di contenimento che spezza il rapporto obbligatorio, sopprimendone la dimensione relazionale che ne è il cuore, l’inadempimento che ne deriva è, per così dire, di natura esclusivamente formale, ma non dà luogo a quegli effetti sostanziali (in punto responsabilità) che discenderebbero in una situazione di normalità.

Questa disposizione può prestarsi a diverse considerazioni:

i) l’inadempimento deve derivare dal “rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto”: se dipende da altre ragioni (ad esempio da cautele specifiche adottate dal debitore di sua iniziativa, anche nell’esercizio della sua autonomia imprenditoriale o da sue letture “originali” del senso delle misure) la disposizione non trova applicazione e il debitore è normalmente responsabile ex art. 1218 c.c.;

ii) l’osservanza delle misure di contenimento deve essere “valutata ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore”; questo dovrebbe significare che non vi è automatismo tra “osservanza delle misure di contenimento” ed “esclusione” della responsabilità del debitore, ma che, piuttosto, il giudice deve valutare, secondo le circostanze, se la misura di contenimento sia stata o no causa esclusiva dell’inadempimento; perché – anche in omaggio alla rubrica della disposizione, che si esprime in termini di inadempimenti “derivanti” dall’attuazione delle misure di contenimento – se non lo è stata, la responsabilità del debitore segue le regole ordinarie.

Questo può verificarsi, ad esempio, quando il debitore avrebbe potuto, secondo ordinaria diligenza da valutare anche in ragione della natura professionale della prestazione, adempiere nonostante il rispetto della misura di contenimento, per esempio adottando un sistema di comunicazione a distanza o altri strumenti tecnici in grado di superare (ma non eludere o aggirare!) l’effetto impeditivo della misura, tenendo conto, ovviamente, delle caratteristiche e della natura della prestazione da eseguire; essendo certamente pacifico che, anche nel regime speciale del comma 6-bis, alcune prestazioni, per la loro natura, possono essere normalmente eseguite senza porre in essere comportamenti lesivi della misure di contenimento (per esempio le obbligazioni pecuniarie, per le quali è sufficiente l’accesso alla rete internet), mentre altre (per es. alcune prestazioni di fare o dare) sono più ostacolate dall’allentamento della libertà di movimento e di interazione con gli altri; o, ancora, quando il debitore si trovava già in uno stato di inadempimento (perché, ad esempio, già diffidato dal creditore o già destinatario di un’eccezione di inadempimento), sulla quale le misure di contenimento non hanno realmente inciso, se non consolidando una situazione preesistente;

iii) il comma 6-bis prevede che “il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c della responsabilità del debitore (…)”; ora, non pare che il richiamo alle due disposizioni debba essere letto come generico in quanto da riferirsi al “sistema” della responsabilità contrattuale in quanto tale, con lo strumento del richiamo alle sue due disposizioni-cardine (gli artt. 1218 e 1223 c.c., appunto). Sembra preferibile, piuttosto, un’interpretazione che valorizzi l’espressa menzione anche dell’art. 1223 c.c. (disposizione che, appunto, introduce il sistema delle regole dedicate ai danni derivanti dall’inadempimento). Al giudice (alla cui “valutazione” il comma 6-bis espressamente fa riferimento) è consentita una scelta così articolata: o ritiene che il rispetto delle misure escluda in radice la responsabilità del debitore o valuta che esso, pur non escludendo in radice la responsabilità del debitore, possa incidere sul quantum dei danni da risarcire al creditore, nel senso di escluderne dal risarcimento una parte più o meno significativa; in questo caso, il comma 6-bis funziona come una causa di riduzione del danno, similmente, anche se ovviamente con presupposti del tutto differenti e con un’applicazione limitata al periodo emergenziale, a quelle di cui all’art. 1227 c.c.;

iv) il comma 6-bis consente di valutare il rispetto delle misure di contenimento “anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”. Se il giudice ha ritenuto che l’inadempimento del debitore derivi dal rispetto delle misure di contenimento dell’epidemia, tutte le clausole contrattuali legate alla situazione di inadempimento imputabile del creditore non possono essere applicate; la disposizione elenca (clausole che dispongono) “decadenze o penali”, ma, onde evitare effetti irragionevoli, se non assurdi, la regola va estesa anche alle altre clausole comunque connesse all’inadempimento del debitore (per es. una clausola risolutiva espressa, salvo che risulti la volontà delle parti di non legarne gli effetti a un inadempimento imputabile) o al ritardo nell’adempimento (e, dunque, tutte le clausole sugli interessi moratori o, anche, gli interessi da ritardato pagamento disciplinati dal d.lgs. n. 231/2002, così come modificato dal d.lgs. n. 192/2012); sono temporaneamente inutilizzabili anche altri rimedi (mora del debitore, diffida ad adempiere), nella misura in cui presuppongono un inadempimento imputabile;

v) se il debitore, per l’osservanza delle misure contenitive, non è incorso in un inadempimento “imputabile” (ma, anzi, è coperto da un causa di giustificazione legislativamente tipizzata), va da sé che il contratto non può essere giudizialmente risolto in forza di un inadempimento, che, pur se esistente, rileva solo come mero fatto, essendo privo di illiceità per l’operare della causa di giustificazione di cui al comma 6-bis; a maggior ragione, ovviamente, il creditore non può agire per l’adempimento ex art. 1453 c.c., salva la possibile operatività della risoluzione ex art. 1463 c.c.;

vi) il creditore – privo di azione nei confronti del debitore protetto dal comma 6-bis – può avvalersi dell’exceptio inadimpleti contractus per sospendere la controprestazione? La risposta deve essere positiva; sia perché, notoriamente, l’eccezione di inadempimento può essere attivata anche nei confronti di inadempimenti incolpevoli, perché derivanti, ad esempio, da impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore (per le necessarie integrazioni giurisprudenziali: BENEDETTI, A.M.: Le autodifese contrattuali, Milano, 2011, p. 54); sia perché, se si ritenesse il contrario, il creditore finirebbe gravato di tutte le conseguenze economiche dello stato emergenziale, dovendo eseguire nei confronti di chi si trova nell’impossibilità (fattuale e giuridica) di farlo; il rapporto contrattuale, allora, entra in una fase di sospensione legale perdurante per l’intero stato emergenziale, cessato il quale il debitore può, eseguendo la propria prestazione, riattivarne la regolare esecuzione;

vii) il comma 6-bis, disciplinando un causa straordinaria di giustificazione dell’inadempimento, introduce contestualmente una causa legale di sospensione dell’adempimento ovviamente estranea, quanto ai presupposti, al contesto proprio dell’exceptio inadimpleti contractus ex art. 1460 c.c.; nel senso che il debitore può dichiarare al creditore di sospendere il proprio adempimento in vista dell’osservanza della misure di contenimento, e per tutta la durata di queste.

viii) il comma 6-bis alleggerisce l’onere della prova del debitore; nel senso che la disposizione eccezionale accerta in via legislativa una causa di forza maggiore [qui fusa, per così dire, col (e nel) factum principis], esonerandolo dal dover dimostrare il carattere imprevedibile e straordinario degli eventi (forza maggiore, caso fortuito) che, nel regime non emergenziale, toccherebbe a lui provare;

ix) il comma 6-bis non richiama l’art. 1256 c.c., specie nella figura dell’impossibilità temporanea regolata dal 2° comma; nei casi in cui il debitore non può adempiere per effetto dell’osservanza delle misure emergenziale, detta norma potrebbe trovare applicazione fino a determinare l’estinzione dell’obbligazione del debitore [“se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”], in caso di prolungata protrazione delle misure di contenimento.

3. Volendo abbozzare qualche conclusione: il legislatore dello stato d’eccezione ha voluto evitare che i debitori si trovino a subire gli effetti di impedimenti non imputabili alla loro sfera di rischio, prevenendo azioni e richieste dei creditori insoddisfatti attraverso una disposizione (il comma 6-bis) che, saggiamente evitando automatismi eccessivi, va ricondotta alla ratio di favorire l’adattamento all’emergenza del rapporto obbligatorio; certamente mancano disposizioni dedicate alla difficoltà ad adempiere legata non già all’osservanza delle misure di contenimento, ma alla crisi finanziaria che colpisce, per il calo o l’azzeramento dei consumi, soprattutto chi esercita un’attività economica e commerciale; per costoro, l’inadempimento di un’obbligazione pecuniaria rimane ingiustificato e imputabile, salvo a voler ragionare in termini di “inadempimento necessitato” (argomento certamente affascinante, in situazioni come quella odierna, ma sostenibile, con qualche speranza di successo, solo in un contesto giudiziale, non certo utile a gestire i problemi immediati di gestione di un rapporto contrattuale).

Il diritto civile dell’emergenza, dunque, deve essere orientato con la bussola del principio di solidarietà; se il legislatore non provvede con diposizioni speciali, o se lo fa in modo non sufficiente, oggi l’interprete ha a disposizione tutti gli strumenti ermeneutici per adattare le regole tradizionali allo stato emergenziale, al fine di favorire l’attuazione, a tutti i livelli, di quella reciproca solidarietà tra gli esseri umani che è fondamento, costituzionale ed etico, delle nostre società; si tratta, per concludere, di una delicata operazione di bilanciamento che non deve trascurare le esigenze di sopravvivenza dell’economia, la cui importanza è vitale per la “dignità” della vita di tutti noi.

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