Autoras: Lucia Ruggeri, Ordinario di diritto privato, Università di Camerino. Correo electrónico: lucia.ruggeri@unicam.it; e Manuela Giobbi, Dottore di Ricerca. Correo electrónico: mangiobbi@gmail.com
1. Il prolungato lockdown causato dalla pandemia da Covid incrementa una diffusa vulnerabilità economica confermando quanto la storia insegna: lo stretto legame tra “pestilenze” e crisi economiche. Nel codice civile lo stato di bisogno trova espressa rilevanza in previsioni sporadiche, nelle convivenze (l. n. 76 del 2016, art. 1, comma 50 ss.), nei rapporti di filiazione (art. 279 c.c.), nelle relazioni familiari (art. 433 c.c.), nelle contrattazioni inique (artt. 644, 1448 c.c.); la Costituzione guida, però, l’interprete a rilevarne l’importanza oltre gli espressi richiami dato che la lotta all’indigenza costituisce uno dei sostrati della solidarietà costituzionale (art. 2).
L’incertezza sull’andamento della pandemia è causa di richieste che mirano a eliminare impegni contrattuali o, comunque, a modificarne il contenuto. Il rimedio rescissorio, pensato per persone che erano in stato di bisogno al momento della stipulazione del contratto non riesce, pertanto, ad essere utilizzato per proteggere i contraenti da una debolezza sopravvenuta o che comunque temano sopraggiunga. Il problema che si pone non è di preservare il mantenimento di un accordo in ossequio al principio “pacta sunt servanda”, ma di rimodulare il contratto sulla base del mutato scenario economico. Il codice italiano, se interpretato alla lettera, potrebbe addirittura precludere la revisione, che invece trova spazio in un’ermeneutica condotta “secondo Costituzione”: si pensi al diritto di rifiutare l’adempimento parziale (CLARIZIA, O.: Sopravvenienze non patrimoniali e inesigibilità nelle obbligazioni, Napoli, 2012, pp. 158 ss.) o al problema della rilevanza di un interesse del debitore a rivedere il contenuto dell’accordo (PAGLIANTINI, S.: “Il debito da eccezione a regola”, in Pers. merc., 2014, p. 104). Si oscilla tra inesigibilità, conseguenza di un’incolpevolezza, e forza maggiore di tipo sociale che potrebbe giustificare l’istituto dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione permanente o temporanea (GRISI, G.: “L’inadempimento di necessità”, in Le obbligazioni e i contratti nel tempo della crisi economica. Italia e Spagna a confronto (a cura di G. GRISI), Napoli, 2014, pp. 23 ss.).
In questa prospettiva il legislatore emergenziale ricorre espressamente all’impossibilità sopravvenuta per i contratti di trasporto e di viaggio (art. 28, d.l. n. 9 del 2020) e prevede misure di contenimento della pandemia per esonerare da responsabilità il debitore inadempiente (art. 91 del d.l. n. 18 del 2020). Manca uno strumento generale di riequilibrio che allevii la diffusa vulnerabilità economica e protegga la dignità delle persone non adeguatamente garantite dal rigido mantenimento della volontà originaria o dai tradizionali meccanismi di responsabilità.
2. La vulnerabilità economica, chiave di lettura della contrattazione post-disastro, ricorre non solo quando c’è una situazione di bisogno, ma anche quando vi sia un’aspettativa di deterioramento delle condizioni reddituali e, più in generale, della qualità della vita propria o familiare. Il carattere complesso e dinamico della vulnerabilità, rende possibile utilizzare strumenti di protezione già collaudati in mercati dominati da previsioni e aspettative. Come nel mercato finanziario la nozione di “cliente” supera le categorie di consumatore e di professionista, così nel contesto pandemico il contraente è debole sulla base di una valutazione sostanziale e non formale. Occorre, pertanto, verificare in concreto quale sia la parte debole: ad esempio, nel caso in cui l’inquilino sia il rampollo di una ricca famiglia e il locatore sia una pensionata, che riesce a vivere dignitosamente soltanto grazie all’apporto mensile del canone, non v’è dubbio che l’emergenza Covid sia un fattore più pericoloso per il proprietario anziché per l’inquilino.
Il rimedio risolutorio, in questa ipotesi, innesca situazioni di povertà e determina esigenze assistenziali cui gli Stati debbono provvedere sulla scorta dell’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali che individua nella lotta alla povertà uno dei pilastri delle politiche dell’Unione, in ciò allineandosi ad obiettivi mondiali espressi nell’Agenda ONU 2030. Anche per questa ragione, laddove possibile, la continuità dei rapporti costituisce un obiettivo importante perseguibile con strumenti di rinegoziazione, ma anche con interventi di sostegno pubblico: si pensi ai bonus che la legislazione emergenziale prevede per supportare rapporti di collaborazione domestica al fine di garantire assistenza a questa fascia debole di lavoratori.
Il rimedio risolutorio potrebbe risultare eccessivo nell’ipotesi in cui le parti, seppur in difficoltà economica, abbiano aspettative di miglioramento della situazione e desiderino poter continuare il rapporto, quando, ad esempio, un canone è divenuto eccessivamente oneroso perché non controbilanciato da un’utilità, quale la fruizione di un’abitazione o di un locale ove esercitare un’attività di impresa. In queste ipotesi una buona soluzione potrebbe essere quella della riduzione del canone, ma il codice subordina questo strumento alla proposizione di un’azione risolutoria e all’offerta di equità del convenuto (art. 1467 c.c.).
Neppure il ricorso alla presupposizione potrebbe giovare alla parte debole perché anche in questo caso, qualora si ravvisasse un venir meno delle condizioni poste implicitamente alla base del contratto, la conseguenza sarebbe pur sempre la cessazione del rapporto. La pandemia richiederebbe una rinegoziazione diffusa di una molteplice gamma di accordi contrattuali sprovvisti di clausole di hardship e operanti in un contesto nazionale privo di un espresso obbligo legislativo di rinegoziare (GAMBINO, F.: “Rinegoziazione (dir. civ.)”, in Enc. giur. Treccani, XV, 2007, p. 10). La rinegoziazione, codificata in altri ordinamenti (§ 313 del BGB, art. 1195 code civil francese), è prevista in un recente progetto di riforma del codice civile italiano (DDL 2019 – S. 1151). Il progetto prevede che in caso di mancato accordo o di rifiuto della negoziazione, la parte interessata possa ricorrere al giudice che, sostituendosi alle parti, potrà determinare un nuovo contenuto economico del contratto.
Questa disposizione potrebbe superare l’attuale dibattito sulla risarcibilità dell’interesse positivo per mancato adempimento dell’obbligo di rinegoziare, (sulla natura dell’obbligo, GENTILI, A.: “La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto”, in Contr. impr., 2003, p. 720). La rinegoziazione nello scenario post-Covid è strumento di solidarietà funzionale al superamento del bisogno economico già sperimentata in ambito bancario con riguardo ai mutui (d.l. n. 93 del 2008) ai tempi della recessione del 2008. In una prospettiva europea e internazionale, in attesa di un’espressa previsione normativa, la buona fede (SACCO, R., DE NOVA, G.: Il contratto, Torino, 2004, pp. 722 ss.) può dare fondamento ad un obbligo di rinegoziare funzionale al principio europeo di solidarietà a sua volta improntato alla tutela della dignità di ogni uomo, alla sua inclusione e piena partecipazione alla vita del Paese così come previsto dall’art. 3 della Carta Costituzionale.
L’autonomia contrattuale, nell’ordinamento italiano, in una lettura costituzionalmente orientata, non può mai porsi in contrasto con la “sicurezza”, la “dignità” della persona e l’utilità sociale, valutata nella sua meritevolezza anche con il parametro della proporzionalità (PERLINGIERI, P.: “Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti”, in Rass. dir. civ., 2001, p. 334).
3. La bilateralità del bisogno, frequente quando la crisi colpisce simultaneamente e massivamente, rende necessaria una valutazione del contratto anche alla luce dell’utilità sociale quale parametro conformativo dell’autonomia privata. La rinegoziazione è strumento ottimale di intervento per ipotesi di bisogno unilaterale, laddove il giudizio di convenienza porti entrambe le parti alla non continuazione del rapporto o alla lite sull’eventuale rimedio risolutorio, in queste circostanze occorre domandarsi quali strumenti possano essere attivati per realizzare quella utilità sociale nel caso di specie ravvisabile nella rivitalizzazione economica e in strumenti di sostegno.
In queste ipotesi potrebbe farsi ricorso a procedure di esdebitazione, introdotte in Italia nel 2012, per gestire il sovraindebitamento di privati cittadini e imprenditori non sottoponibili a fallimento (LLAMAS POMBO, E., MEZZASOMA, L., RANA, U., RIZZO, F.: Il sovraindebitamento del consumatore tra diritto interno e ordinamenti stranieri, 2018). Quando entrambi i contraenti siano economicamente deboli gli strumenti codicistici fondati su posizioni asimmetriche risultano non utilizzabili soddisfacentemente: si pensi alle nullità di protezione, al recesso, alle risoluzioni. Nei contratti sinallagmatici post-Covid la protezione deve essere approntata in modo tale da contemperare la situazione economica vulnerabile di entrambe le parti a prescindere dalla loro posizione o qualificazione formale (professionista/consumatore; debitore/creditore). Nei contratti sinallagmatici, in cui la crisi colpisca entrambe le parti, ciascuno è debitore e all’un tempo creditore determinandosi la necessità di proteggere non soltanto colui che deve pagare in denaro, ma anche colui che deve ricevere una determinata prestazione diversa dal denaro. Si pensi all’importanza di ricevere materie prime: colui che deve effettuare la fornitura potrebbe trovare eccessivamente oneroso eseguirla in ragione del costo lievitato e colui che la deve ricevere potrebbe trovarsi in una posizione meritevole di protezione, dovendo a sua volta produrre il bene che genera quella liquidità necessaria alla copertura dei costi che deve sostenere (pagamento dei salari, di altri fornitori, di mutui ecc.).
Il meccanismo sinallagmatico, in questa prospettiva, non riesce ad esprimere appieno la situazione: soltanto valutando l’operazione economica in cui quel contratto è inserito e i negozi ad esso collegati, si potrà addivenire ad una revisione del contratto che possa essere considerata equa e soprattutto in grado di dare una continuità all’attività o ad organizzare e gestire al meglio una chiusura. Nella visione europea, con riferimento alla crisi delle imprese, il tema della continuità delle attività è, del resto, esplicitamente legato al mantenimento dell’occupazione prevedendo il pieno coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori nella procedura di allerta (art. 3, par. 3 dir. 1023/2019) che segnala e anticipa la crisi. La possibilità di rivalutare le condizioni economiche onde prevenire una situazione di indebitamento oppure per mitigarne le conseguenze costituisce un’esigenza che conduce all’adozione di strumenti che fanno leva su terzi qualificati che gestiscono la crisi (Organismi di Composizione della Crisi – l. n. 3 del 2012) o l’allerta (Organismi di Composizione della Crisi di Impresa-OCRI-Codice della crisi di impresa). Soluzioni che ben potrebbero essere riviste e adottate in via generale per diventare utilizzabili ogniqualvolta le parti ne abbiano bisogno: non solo, quindi, per l’attuale emergenza pandemica, ma anche per altre emergenze originate da altre cause (disastri naturali quali inondazioni, sismi) oppure ancora calamità provocate da attività umane (disastro nucleare, attentati terroristici con effetti catastrofici ecc.).
Si potrebbe ipotizzare il passaggio da una previsione normativa ad hoc per ogni emergenza che determini conseguenze economiche a strumenti già definiti e pronti ad essere operativi ogni qualvolta le parti ne avessero bisogno. In questa prospettiva la rinegoziazione non è un problema di salvaguardia della volontà liberamente espressa dalle parti, ma di mantenimento dell’attività economica in modo tale che sia preservata con essa la dignità delle persone coinvolte, siano esse i dipendenti dell’impresa, lo stesso contraente professionista, il consumatore con un’implementazione effettiva della solidarietà costituzionale in chiave europea. Per rendere effettiva la rinegoziazione occorrerebbe, però, favorire procedure extragiudiziali, quali ad esempio un arbitrato o una forma di mediazione, sostenute dallo Stato, che consentano alle parti di giungere ad un accordo in tempi brevi accompagnate da astreintes per la mancata adesione alla procedura o di benefici per la partecipazione renderebbero effettivo il percorso. Prendendo a modello (MACARIO, F.: “Regole e prassi della rinegoziazione al tempo della crisi”, in Giust. civ., 2014, pp. 839 ss.) la regolamentazione delle hardship contenuta nei Principi Unidroit (art. 6.2.3) e in significative proposte legislative (Codice Lando; Code Européen des Contrats), si potrebbe anche prevedere che nel caso di mancato accordo, entro un lasso di tempo ragionevole, ciascuna parte possa fare ricorso oltre che al giudice, in prima battuta, ad un arbitro o altro ente terzo che possa coadiuvare le parti a trovare l’accordo.
La previsione di strumenti di rinegoziazione si inserirebbe in un percorso complesso, ma lineare connotato da una crescente possibilità di modulare l’autonomia negoziale, ma anche la responsabilità sulla base delle concrete esigenze del debitore e del creditore (patrimoni destinati, elusione del divieto del patto commissorio, uso del patto marciano). La revisione del contratto a seguito di eventi calamitosi non previsti dalle parti perché improbabili potrebbe, altresì, essere affiancata da idonei strumenti assicurativi che fungerebbero da “paracadute” in situazioni emergenziali: la via dell’assicurazione però richiede investimenti e accantonamenti di liquidità difficilmente ipotizzabili senza misure legislative “premiali” o di “sostegno” (si pensi alla difficoltà di introdurre in Italia un’assicurazione sul sisma, nonostante il diffuso e mediamente elevato rischio sismico). La pandemia, in conclusione, risulta il crocevia in cui l’autonomia, quale strumento di gestione del rischio sopravvenuto, si incontra con strumenti di sostegno dello Stato, riaprendo le porte a quello Stato sociale di diritto disegnato dalla Costituzione italiana.
4. La legislazione c.d. emergenziale, adottata per fronteggiare il Covid-19, impone un bilanciamento tra libertà personali, salute e interesse collettivo al contenimento del contagio (BENEDETTI, A.M. e NATOLI, R.: “Coronavirus, emergenza sanitaria e diritto dei contratti: spunti per un dibattito”, in Dir. banc., 2020, pp. 2 ss.). In particolare, appare necessario rimodulare la protezione di utenti economicamente vulnerabili in un settore fondamentale quale quello dell’energia. L’art. 28 della dir. 944/2019/UE dispone che gli Stati membri dovrebbero definire il divieto di interruzione della fornitura di energia nei periodi di crisi e prevedere adeguate misure di assistenza sociale, affinché possa essere garantito il necessario approvvigionamento o il sostegno per il miglioramento dell’efficienza energetica.
L’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA), sulla base della decretazione d’emergenza, all’interno del potere regolamentare dei mercati e del riequilibrio delle asimmetrie contrattuali, ha individuato, per le condizioni di disagio economico dei consumatori e delle imprese, speciali garanzie per la fornitura del servizio e per l’accesso ai bonus sociali. Le disposizioni dell’Autorità costituiscono misure temporanee di sospensione che intervengono sui termini di incasso e di pagamento, sulle procedure di gestione della morosità, sugli inadempimenti e sulle conseguenti interruzioni della fornitura di energia. Per alcune tipologie di contratti relativi ai clienti finali, che si trovano in situazioni di disagio “più grave dell’ordinario”, è stata prevista la rateizzazione dei pagamenti delle fatture riferibili al periodo di vigenza di contenimento del contagio (Segnalazione ARERA, 136/2020/COM, in www.arera.it). La meritevolezza del beneficio delle misure di sostegno sembra quindi essere riconducibile alla condizione di vulnerabilità in cui si trova una persona che destina all’acquisto di energia somme molto elevate e che, nonostante l’attuazione di un ragionevole bilanciamento tra reddito e costo, non può usufruire dei servizi essenziali. Soggetti vulnerabili che, laddove non riescono a rispettare i pagamenti, si espongono all’eventuale interruzione della fornitura e anche alle conseguenze dell’inadempimento. Al fine di contenere gli effetti negativi della crisi economica, la disciplina di emergenza (art. 54 ter, d.l. n. 18 del 2020) ha introdotto la sospensione delle procedure esecutive per i pignoramenti immobiliari relativi all’abitazione principale del debitore. Si tratta comunque di procedure che non rappresentano una deroga al pagamento delle fatture ricevute, ma di una disciplina temporanea che sembra di fatto indirizzata al rinvio degli effetti del disagio economico dei clienti vulnerabili.
La normativa dell’Authority produce i suoi effetti sul contratto e sull’esercizio dei diritti che ne conseguono, come l’inadempimento o la risoluzione. Le disposizioni regolamentari vanno sostanzialmente a incidere, in via conformativa e correttiva, sul contenuto contrattuale in attuazione di valori di tipo solidaristico (ANGELONE, M.: Autorità indipendenti e eteroregolamentazione del contratto, Napoli, 2012, pp. 96 ss.; PENNASILICO, M.: “Sviluppo sostenibile, legalità costituzionale e analisi «ecologica» del contratto”, in Pers. merc., 2015, pp. 39 ss.). Nelle deliberazioni dell’Autorità si precisa che si tratta di misure che in generale alterano “l’ordinato svolgersi dei rapporti contrattuali” e che sono destinate ad aggravarsi in ragione della durata delle misure straordinarie (Segnalazione ARERA, 136/2020/COM, cit.).
Tali provvedimenti, dunque, pur necessari a far fronte alle criticità della pandemia, non potranno essere mantenuti nel tempo, anche in virtù del fatto che gli oneri derivanti dalla concessione delle misure di sostegno inevitabilmente ricadono su tutti gli altri utenti. La stessa Authority evidenzia che le forme di tutela previste nei provvedimenti d’urgenza dovrebbero essere superate con l’introduzione di nuovi strumenti di attenuazione della criticità, che possano far fronte alle reali difficoltà energetiche che la crisi ha sensibilmente acuito.
La complessità della problematica trova sostanziale affermazione nella mancanza di una nozione europea condivisa di cliente vulnerabile e di povertà energetica. Una definizione è offerta dalla Francia, che per povertà energetica intende «una situazione in cui è particolarmente difficile per una persona disporre, nel suo alloggio, dell’approvvigionamento energetico necessario a soddisfare i bisogni elementari, a causa dell’inadeguatezza delle sue risorse o delle condizioni abitative» (Loi Grenelle del 2010). La determinazione delle principali cause della vulnerabilità energetica ha reso possibile l’attuazione di un programma per il rinnovo dei sistemi di riscaldamento e di isolamento delle abitazioni degli utenti a basso reddito. In Italia, invece, per l’individuazione della condizione di povertà energetica, si attua un generico riferimento ad alcuni indicatori di reddito (es. ISEE).
Nella dir. 944/2019/UE la povertà energetica, pur costituendo uno degli obiettivi da raggiungere, non è specificamente definita. L’art. 29 indica solamente, peraltro mediante riferimento all’art. 3, par. 3, lett. d), reg. (UE) 1999/2018, che la condizione di povertà energetica deve essere individuata tenendo conto dei servizi energetici domestici necessari per garantire un tenore di vita di base all’interno del rispettivo contesto nazionale.
La disciplina europea affida agli Stati membri la scelta e quindi l’adozione degli interventi idonei a proteggere i clienti in condizioni di povertà energetica nel contesto del mercato interno dell’energia. Del resto, essendo differenti le circostanze sociali, non può che spettare ad ogni Stato membro lo sviluppo degli appropriati schemi di riduzione del fenomeno, tenendo conto delle esigenze connesse all’occupazione, al reddito e alla tutela della salute, in ragione anche del disposto dell’art. 9 TFUE. In ogni caso, l’ordinamento interno, nell’ambito del recepimento della normativa europea, dovrebbe intervenire sulla vulnerabilità e sulla povertà energetica cercando di conciliare le misure di efficienza economica con quelle di solidarietà, affinché possano tradursi in un investimento che prenda in considerazione i valori e si traduca nel rispetto della persona (PERLINGIERI, P.: Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, 3a ed., Napoli, 2006, p. 453 ss.).
5. I fattori alla base della povertà energetica sono generalmente riconducibili al basso reddito familiare, agli elevati prezzi dell’energia e all’inadeguato livello di efficienza energetica degli edifici. Se l’energia viene considerata come un bene essenziale, la cui accessibilità contribuisce alla piena partecipazione di ogni soggetto alla società (art. 3 Cost.), nell’attuale condizione di crisi, la riduzione o la sospensione dei costi energetici, attuata attraverso la disciplina regolamentare dell’Authority, ha certamente rappresentato una necessità prioritaria. Tuttavia, il benessere delle persone non può essere tutelato solamente in via provvisoria, tra gli interessi economici e la regolazione del mercato, ma necessita di essere garantito da una normativa che tenga presente soprattutto la fase post-emergenziale.
L’attenuazione dei disagi economici, che non consentono ai soggetti in condizione di povertà energetica neppure l’ordinario funzionamento degli elettrodomestici, dovrebbe essere assicurata attraverso mezzi ulteriori e diversi dagli interventi della disciplina di emergenza. Gli scarsi consumi dei soggetti vulnerabili, generalmente non costituiscono un incentivo alla contrattazione o alla comparazione delle offerte, ma vanno a riflettersi negativamente nel mercato concorrenziale, con probabile elevamento dei prezzi di fornitura a svantaggio dei clienti finali.
Il cons. 24, dir. 2002/2018/UE, evidenzia che per ridurre la povertà energetica dei locatari in maniera sostenibile, è opportuno che l’efficienza venga considerata in termini di costi e di accessibilità economica e che sia assicurato un sostegno finanziario adeguato. Ad esempio, l’introduzione dell’obbligo di miglioramento dell’efficienza energetica negli edifici, come condizione contrattuale della locazione, andrebbe a incidere sulla domanda di energia in maniera più efficace della temporanea gestione delle tariffe o del divieto di interruzione della fornitura. Alcune misure di contrasto alla povertà potrebbero inoltre essere quelle relative alla conversione degli edifici a energia “quasi zero” o all’introduzione di una normativa interna che recepisca e incentivi la creazione di comunità energetiche, che attualmente dimostrano di possedere il potenziale utile per favorire la diffusione delle nuove tecnologie e sviluppare modalità condivise di consumo.
La difficoltà economica costituisce una debolezza che si riflette nelle diverse fasi del rapporto contrattuale e quindi sia nell’accesso al servizio, sia nella fase dell’esecuzione per l’eventuale mutamento delle condizioni economiche dell’utente (BENEDETTI, A.M.: “Socialità e Contratto nell’erogazione dell’energia elettrica”, in AA.VV.: Annuario dell’energia (a cura di G. NAPOLITANO, A. ZOPPINI), Bologna, 2015, p. 123).
Se si riscontra una sostanziale unanimità sull’individuazione delle cause che incrementano il fenomeno della povertà energetica, la regolamentazione adottata in seguito alla crisi del Covid-19, non appare destinata a contrastare efficacemente il fenomeno. Le tariffe agevolate, i bonus e gli sconti sulle bollette elettriche ricadono inevitabilmente anche sui clienti che non sono beneficiari delle agevolazioni previste nella normativa d’urgenza (DE FOCATIIS, F.: “Povertà energetica e cliente vulnerabile tra ragioni di Stato e di mercato”, in AA.VV: Esperienze regolatorie europee a confronto nel settore dell’energia (a cura di A. TRAVI, M. DE FOCATIIS, E. BRUTI LIBERATI), Milano, 2017, pp.110 ss.). Appare quindi necessario prevedere misure di sostegno che abbiano un effetto sul lungo termine.
Significativa risulta la previsione di cui all’art. 5, par. 3, dir. 944/2019/UE, che derogando ai criteri dettati nei par. 1 e 2, dispone che gli Stati membri possono attuare interventi pubblici nella fissazione dei prezzi dell’energia nei confronti dei clienti vulnerabili o in condizioni di povertà energetica. Infatti, nel par. 1 la normativa stabilisce la facoltà per i fornitori di determinare il prezzo della fornitura elettrica e per gli Stati membri di adottare provvedimenti che assicurano una effettiva concorrenza, mentre, nel par. 2 dispone la protezione dei clienti vulnerabili o in povertà energetica, da parte degli Stati membri, mediante politiche sociali o sistemi diversi dagli interventi pubblici di fissazione delle tariffe.
La vulnerabilità e la povertà energetica giustificano un regime di deroga alla effettiva concorrenza tra i fornitori. In ragione del contrasto al disagio economico, la normativa indirizza gli Stati membri verso un differente modus operandi della fissazione dei prezzi. In tal modo il legislatore europeo, avvertendo l’esigenza del contraente debole di avere maggiore protezione, cerca di dare uno specifico contenuto alla disciplina della concorrenza affinché possa risultare idonea a tutelare una pluralità di interessi, sia quelli del mercato, sia quelli della persona, senza contrasto con l’utilità sociale o con la dignità umana (LONGOBUCCO, F.: “Mercato e contratto: i diritti dei consumatori lesi da comportamenti anticoncorrenziali”, in AA. VV.: L’«interpretazione secondo Costituzione» nella giurisprudenza. Crestomazia di decisioni giuridiche (a cura di G. PERLINGIERI, G. CARAPEZZA FIGLIA) Napoli, 2012, pp. 424 ss.; CAPOBIANCO, E.: “Globalizzazione, mercato, contratto”, in Pers. merc., 2017, 3, pp. 136 ss.). In tal senso, si realizza un bilanciamento analogo a quello contenuto nell’art. 41 Cost. (PERLINGIERI, P.: Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., pp. 491 ss.).
Nel sistema ordinamentale viene introdotta la consapevolezza della vulnerabilità e della povertà energetica degli utenti. La legislazione emergenziale potrebbe allora rappresentare un’occasione per individuare i fattori che originano le crisi economiche e per introdurre modelli innovativi di contrasto alla povertà. Del resto, è necessario tenere conto dell’evoluzione del sistema e individuare il metodo con il quale disciplinare le criticità di uno specifico settore di mercato. La contrattazione associativa, per la creazione di comunità energetiche e la condivisione dell’energia, potrebbe aumentare l’efficienza energetica dei consumatori e contribuire a combattere la vulnerabilità mediante la riduzione di consumi e tariffe. Sostenere la realizzazione di comunità energetiche, come aggregazione di individui che condividono un vincolo reciproco nel rispetto della solidarietà e del riequilibrio sociale ed economico, (DI MARZIO, F.: “Comunità. Affrontiamo la nostra prova”, in Giust. civ., 2020, 3, pp. 3 ss.), così come prevedere il finanziamento di social housing, potrebbe ridurre il disagio economico e conseguentemente assicurare la protezione e lo sviluppo della persona umana.
Le energy communities rappresentano un importante nuovo attore nell’ambito dei sistemi energetici decentralizzati, in quanto forniscono un efficace supporto nell’accesso ai servizi energetici degli utenti vulnerabili (CEER, Regulatory Aspects of Self-Consumption and Energy Communities, in www.ceer.eu). Si tratta di strumenti che possono contribuire al raggiungimento della equità sociale e trovano fondamento nel più ampio dovere di solidarietà a carico dei partecipanti, oltre che nella sussidiarietà, che consente lo svolgimento di attività di interesse generale attraverso l’ampliamento dell’autonomia negoziale (PENNASILICO, M.: “Sviluppo sostenibile e “contratto ecologico”: un altro modo di soddisfare i bisogni”, in Rass dir. civ., 2016, pp. 1293 ss.; PERLINGIERI, P.: “La sussidiarietà nel diritto privato”, in Rass. dir. civ., 2016, pp. 687 ss.). Le misure di policy che promuovono la riduzione del fabbisogno energetico delle persone meno abbienti, attraverso interventi di efficientamento energetico, di social housing o di comunità energetiche, rappresentano l’adesione ad una concezione funzionale del diritto (PERLINGIERI, P.: “Persona, ambiente e sviluppo”, in AA.VV.: Contratto e ambiente.
L’analisi “ecologica” del diritto contrattuale (a cura di M. PENNASILICO), Napoli, 2016, pp. 327 ss.) che cerca di individuare una risposta ragionevole alle esigenze create dalla crisi anche per il tempo futuro.
Nota: I paragrafi 1, 2 y 3 sono attribuibili a Lucia Ruggeri, e i paragrafi 4 e 5 a Manuela Giobbi.