Le Sezioni Unite sull’ammissibilità e la rilevanza della c.d. “usura sopravvenuta”.
Con sentenza 19 ottobre 2017, n. 24675, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate sulla vexata questio relativa alla rilevanza dell’usura sopravvenuta, cioè l’ipotesi in cui il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario originariamente legittimo, superi nel corso dello svolgimento del rapporto il tasso soglia come determinato in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996.
Anteriormente alla legge 7 Marzo 1996, n. 108, il combinato disposto di cui agli artt. 644 c.p. e 1815 c.c., ancorava la nullità della clausola feneratizia all’approfittamento dell’altrui stato di bisogno, facendo salva la corresponsione degli interessi nella misura legale. La riforma del ‘96 ha innovato la disciplina in una duplice direzione, da un lato sganciando la valutazione di usurarietà dai presupposti propri della rescissione, dall’altro prevendendo, ferma la nullità della clausola usuraria, la conversione ex lege del negozio da oneroso in gratuito.
Il dibattito insorto circa l’applicabilità della novella alle fattispecie contrattuali antecedentemente perfezionatesi sembrava aver trovato soluzione con la legge di interpretazione autentica del 28 febbraio 2001, n. 24, la quale precisando che tanto ai sensi dell’art. 644 c.p. quanto ai fini dell’art. 1815 c.c. sono da considerarsi usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge al momento in cui sono promessi o convenuti, aveva di fatto ha escluso l’applicabilità dell’art 1815 c.c. all’usura sopravvenuta .
Nel tentativo di mitigare le conseguenze di una rigida applicazione del principio offerto dalla disciplina interpretativa (che avrebbe portato a ritenere esigibili interessi divenuti usurai) la giurisprudenza ha offerto soluzioni variegate, vuoi ponendo a carico del creditore un obbligo di rinegoziazione in modo da riallineare l’interesse convenuto al nuovo tasso soglia, vuoi direttamente assumendo che quest’ultimo sostituisse automaticamente quello concordato ex artt. 1419 e 1339 c.c. , vuoi predicando l’inesigibilità della misura eccedente il tasso soglia in virtú del principio di buona fede.
A dirimere il contrasto sono intervenute in argomento le Sezioni Unite con la sentenza che si segnala. Ad avviso dei giudici di legittimità il fatto che il tasso diventi usuraio in corso di rapporto non determina «la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo il fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto».
Dra. Carla Pernice, Università Parthenope di Napoli.
Acceder a la Sentencia
Con sentenza 19 ottobre 2017, n. 24675, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate sulla vexata questio relativa alla rilevanza dell’usura sopravvenuta, cioè l’ipotesi in cui il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario originariamente legittimo, superi nel corso dello svolgimento del rapporto il tasso soglia come determinato in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996.
Anteriormente alla legge 7 Marzo 1996, n. 108, il combinato disposto di cui agli artt. 644 c.p. e 1815 c.c., ancorava la nullità della clausola feneratizia all’approfittamento dell’altrui stato di bisogno, facendo salva la corresponsione degli interessi nella misura legale. La riforma del ‘96 ha innovato la disciplina in una duplice direzione, da un lato sganciando la valutazione di usurarietà dai presupposti propri della rescissione, dall’altro prevendendo, ferma la nullità della clausola usuraria, la conversione ex lege del negozio da oneroso in gratuito.
Il dibattito insorto circa l’applicabilità della novella alle fattispecie contrattuali antecedentemente perfezionatesi sembrava aver trovato soluzione con la legge di interpretazione autentica del 28 febbraio 2001, n. 24, la quale precisando che tanto ai sensi dell’art. 644 c.p. quanto ai fini dell’art. 1815 c.c. sono da considerarsi usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge al momento in cui sono promessi o convenuti, aveva di fatto ha escluso l’applicabilità dell’art 1815 c.c. all’usura sopravvenuta .
Nel tentativo di mitigare le conseguenze di una rigida applicazione del principio offerto dalla disciplina interpretativa (che avrebbe portato a ritenere esigibili interessi divenuti usurai) la giurisprudenza ha offerto soluzioni variegate, vuoi ponendo a carico del creditore un obbligo di rinegoziazione in modo da riallineare l’interesse convenuto al nuovo tasso soglia, vuoi direttamente assumendo che quest’ultimo sostituisse automaticamente quello concordato ex artt. 1419 e 1339 c.c. , vuoi predicando l’inesigibilità della misura eccedente il tasso soglia in virtú del principio di buona fede.
A dirimere il contrasto sono intervenute in argomento le Sezioni Unite con la sentenza che si segnala. Ad avviso dei giudici di legittimità il fatto che il tasso diventi usuraio in corso di rapporto non determina «la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo il fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto».
Dra. Carla Pernice, Università Parthenope di Napoli.
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