Autor: Giovanni Berti de Marinis. Ricercatore di tipo B di Diritto dell’economia, Università degli Studi di Perugia. Correo electrónico: giovanni.bertidemarinis@unipg.it.
Resumen: Il diffondersi della pandemia da COVID-19 ha posto a durissima prova il mercato e, quindi, le norme che lo disciplinano. Le misure di confinamento imposte al fine di evitare il propagarsi del contagio hanno messo in luce l’attuale inadeguatezza di alcune disposizioni che disciplinano i rapporti contrattuali evidenziando come una loro rigida applicazione in un contesto economico tanto peculiare causerebbe seri ed ingenti danni al mercato. Partendo da tali premesse, il lavoro analizza la potenziale procilcicità di alcune norme a tutela del contraente debole ponendo l’accento sulla necessità di stimolare un diritto dell’emergenza che si fondi su approcci normativi meno rigidi e maggiormente attenti alle multiformi esigenze dei mercati.
Palabras clave: Diritto dei contratti; mercato; concorrenza; pandemia; COVID-19; contraente debole; prociclicità delle norme; diritto dell’emergenza.
Abstract: The spread of the pandemic from COVID-19 has put a strain on the market and, therefore, the rules that govern it. The confinement measures imposed in order to avoid the spread of contagion have highlighted the current inadequacy of some provisions governing contractual relationships, highlighting how their strict application in such a peculiar economic context would cause serious and significant damage to the market.
Starting from these premises, the work analyzes the potential procyclicality of some rules to protect the weak contractor by placing the emphasis on the need to stimulate an emergency law that is based on less rigid regulatory approaches and more attentive to the multifarious needs of the markets.
Key words: Contract law; pandemic; COVID-19; weak contractor; market; competition; procyclicality of norms; emergency law.
Sumario:
I. Pandemia, mercato e potenziale impatto negativo delle disposizioni a tutela del contraente debole: individuazione del problema.
II. Il rapporto fra le disposizioni a tutela del contraente debole e struttura concorrenziale del mercato: il private enforcement quale strumento di disciplina del mercato.
III. Le diverse tipologie di norme a protezione del contraente debole ed i costi economici delle tutele contrattuali in un mercato concorrenziale.
IV. La pandemia nel mercato turistico: approccio nazionale “anticiclico” del diritto emergenziale nella disciplina del diritto di recesso dai pacchetti turistici nell’originaria formulazione dell’art. 88 bis del D.L. 17 marzo 2020, n. 18.
V. Segue: disposizioni domestiche e potenziale contrasto con la direttiva 2016/2302/ue: l’attuale portata dell’art. 88 bis del D.L. n. 18 del 2020.
VI. “Prociclicità” di alcune disposizioni a tutela del contraente debole, esigenza di salvaguardare la concorrenza nel mercato unico e necessità di un diritto emergenziale europeo dei contratti.
Referencia: Actualidad Jurídica Iberoamericana Nº 14, febrero 2021, ISSN: 2386-4567, pp. 488-513.
Revista indexada en SCOPUS, REDIB, ANVUR, LATINDEX, CIRC, MIAR.
I. PANDEMIA, MERCATO E POTENZIALE IMPATTO NEGATIVO DELLE DISPOSIZIONI A TUTELA DEL CONTRAENTE DEBOLE: INDIVIDUAZIONE DEL PROBLEMA.
Al di là delle evidenti e drammatiche conseguenze sanitarie determinate dal diffondersi del contagio da coronavirus, l’attenzione del giurista deve anche concentrarsi sulle ricadute che le misure adottate al fine di contenere il diffondersi della pandemia stanno avendo sulla dinamicità del mercato. Tali misure, iniziate con la delibera del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020, con la quale è avvenuta la “Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, hanno spinto il nostro Ordinamento ad adottare provvedimenti che hanno fortemente – pur se temporaneamente – limitato le libertà fondamentali degli individui. L’esigenza di proteggere il “bene” salute e di non portare al collasso i sistemi sanitari nazionali ha di fatto obbligato a subordinare le pur fondamentali esigenze del mercato alla tutela di interessi e valori ancor più elevati. Nella speranza che la normalità riprenda il sopravvento, sono però sotto gli occhi di tutti le ricadute negative che la quasi paralisi delle dinamiche concorrenziali del mercato ha avuto e continuerà ad avere per un lungo periodo di tempo.
Evidenti e persistenti sono, infatti, le sollecitazioni alle quali risultano esposte le imprese sottoposte ad una forzata inattività nell’immediato e, inoltre, a dover fare i conti con uno scenario futuro di mercato contraddistinto da elevatissimi margini di incertezza – sia economici che normativi – e, soprattutto, da inediti costi che le stesse dovranno giocoforza sostenere al fine di allinearsi alle nuove regole di sicurezza che verranno introdotte.
Tutto ciò ha generato un nuovo scenario di mercato che, in questa prima fase, ha compresso a tal punto la concorrenza da determinare di fatto un suo tendenziale azzeramento e, in una seconda fase, imporrà alle imprese di qualunque settore una riorganizzazione tale da rendere ipotizzabile l’impossibilità di tornare ad offrire i medesimi beni o servizi allo stesso prezzo. Una sofferenza che verrà percepita, in particolare, dalle piccole realtà economiche del tutto impreparate – strutturalmente e patrimonialmente – a tale inevitabile evento. Ciò potrebbe determinare la scomparsa di un folto numero di operatori economici con i quali verrebbe meno anche una ampia e variegata offerta di beni e servizi sulla quale si fonda, di fatto, il corretto articolarsi dei meccanismi concorrenziali.
Data questa situazione di fatto, il profilo che qui si intende brevemente sviluppare riguarda il ruolo che in tale scenario possono svolgere le disposizioni a tutela del contraente debole per una più corretta, equilibrata ed efficiente disciplina del mercato. Il dubbio di fondo che si tenterà di dirimere è se alcune di tali regole, dal sicuro impatto positivo se applicate in mercati dinamici, possano però generare più problemi di quanti ne risolvano se applicate in maniera rigida a mercati ai quali, pur se momentaneamente, venga preclusa quell’intraprendenza che è l’anima di ogni attività di impresa.
È evidente, infatti, che nella fase c.d. di lockdown abbiamo consumato senza poter produrre, siamo andati avanti sfruttando l’abbrivio di una macchina che, però, procedeva a motore spento. Tale dato non può essere trascurato nell’analizzare l’impatto che le disposizioni a protezione dei c.dd. contraenti deboli hanno sul mercato al fine di verificare quale dovrebbe essere l’atteggiamento che il legislatore – domestico ma soprattutto europeo data la matrice delle suddette disposizioni – dovrebbe assumere di fronte a crisi di questo genere.
II. IL RAPPORTO FRA LE DISPOSIZIONI A TUTELA DEL CONTRAENTE DEBOLE E STRUTTURA CONCORRENZIALE DEL MERCATO: IL PRIVATE ENFORCEMENT QUALE STRUMENTO DI DISCIPLINA DEL MERCATO.
Non sembra qui il caso di soffermarsi diffusamente sull’incalzante evoluzione diacronica che ha caratterizzato l’approccio normativo alla tutela dei contraenti deboli che, sfrondata della sua pur presente impronta paternalistica, assume con sempre più evidenza la posizione di complesso di disposizioni che contribuiscono in maniera decisa a regolare correttamente i processi concorrenziali. Con tali disposizioni si vuole cioè conferire una particolare conformazione a tutti quei rapporti giuridici – contrattuali, precontrattuali e postcontrattuali – che concludono il complesso ed articolato processo di produzione di beni e/o servizi all’interno delle moderne economie. Una volta che un determinato bene o servizio sia stato messo a disposizione del “consumatore”, lo stesso esce fuori dal circuito produttivo/distributivo per essere, per l’appunto, semplicemente consumato.
Nonostante tale considerazione, appare chiara la rilevanza economica – e, per l’effetto, la peculiare attenzione giuridica – riservata a tale fase dal momento che tutto il procedimento di produzione e distribuzione – a sua volta composto dall’acquisto di beni e/o servizi che vengono però integrati all’interno di un ciclo produttivo – viene attivato proprio in funzione di tale ultimo passaggio economico che giustifica lo sforzo realizzato a monte. Da qui deriva, come accennato, la volontà di riconoscere a tale rapporto un peculiare statuto giuridico che, bottom up, riesca ad influenzare positivamente l’intero percorso produttivo/distributivo rendendolo maggiormente efficiente e funzionalizzandolo, come si vedrà, all’offerta di beni o servizi che, nel rapporto qualità/prezzo, riescano ad intercettare le esigenze dei destinatari ultimi degli stessi. Tutto ciò, calato nel contesto di un mercato competitivamente concorrenziale, dovrebbe stimolare i professionisti a tenere condotte virtuose poiché è proprio tramite queste che i c.dd. contraenti forti potranno assumere una posizione centrale nel relativo mercato di riferimento.
In tale contesto, la tutela del contraente considerato debole – che dovrebbe avvenire tramite norme che determinino il riequilibrio di posizioni geneticamente disequilibrate – appare essere più che l’obiettivo finale, lo strumento attraverso il quale permettere al destinatario delle disposizioni di riacquisire centralità all’interno di un mercato che non si limita a subire passivamente. È dunque la funzione assegnata al contraente debole dalle moderne economie che giustifica e stimola l’adozione di misure giuridiche di riequilibrio al fine di imprimere una corretta disciplina al mercato dei beni e dei servizi di “consumo”.
La genetica debolezza nella quale viene a trovarsi il contraente svantaggiato – ed alla quale si è fatto sopra cenno – non determina infatti solo conseguenze negative sotto il profilo della disciplina del singolo rapporto ma, ampliando lo sguardo alla massa dei rapporti standard che compongono un determinato settore economico, incide in maniera estremamente seria anche sulla corretta conformazione del mercato di riferimento. La debolezza del consumatore risiede, infatti, nella sua incapacità di scegliere in maniera consapevole i beni ed i servizi dei quali ha effettivamente bisogno risultando sovente risucchiato nel gorgo di un consumismo irrazionale. Ciò è dovuto alla capacità dei professionisti di generare bisogni e di imporre condizioni negoziali eccessivamente gravose ad un consumatore che, di fatto, si trasforma in soggetto che si limita a subire passivamente il mercato.
In un quadro così descritto, la predisposizione di disposizioni di settore in grado di ribilanciare il rapporto contraente debole/professionista trasforma il primo da mero soggetto passivo ed inconsapevole delle scelte economiche che compie, a soggetto attivo che, attraverso le proprie decisioni ed esercitando i propri diritti nei confronti del professionista, contribuisce ad orientare il mercato favorendo tutti quei soggetti professionali che, in maniera virtuosa, offrono beni e servizi alle migliori condizioni ed al miglior rapporto qualità/prezzo. Se i professionisti si rapportano a consumatori consapevoli e protetti, sarà per loro impossibile – o quantomeno molto più difficile – porre in essere atteggiamenti economici volti all’approfittamento. Ciò li obbligherà a partecipare al mercato seguendo le regole della corretta concorrenza poiché il loro successo economico nel mercato dipenderà esclusivamente dalla loro capacità di offrire i propri prodotti in maniera da incrociare le esigenze del pubblico ed i suoi bisogni.
Tale ruolo assegnato alle disposizioni a tutela del contraente debole è stato riconosciuto in maniera estremamente agevole in relazione alle disposizioni di public enfocement contenute all’interno dei codici di settore stentando però ad essere ancora riscontrato fra le finalità ultime dell’ampio complesso di norme di private enfocement.
Si può oggi però affermare che tali distinti apparati di enforcement, che conservano ovviamente forti differenze, presentano però una comunione di finalità che, con estrema sintesi, potrebbero essere individuate nell’esigenza di stimolare, oltre alla tutela del soggetto debole, anche l’efficienza delle transazioni e la stabilità del mercato.
Se infatti appare fuori dubbio l’esigenza di una attenta regolamentazione pubblicistica dell’attività economica, dall’altro sembra sempre piú opportuno stimolare una lettura sinergica dei due apparati di enforcement. In questo senso, sia la disciplina sostanziale che sanzionatoria di matrice privatistica sarebbe in grado di supportare, in un virtuoso rapporto di reciproco sostegno, gli interventi di natura pubblicistica orientati alla corretta regolamentazione dei processi economici.
Il private enforcement, quindi, andrebbe maggiormente valorizzato nel moderno diritto dell’economia quale apparato di regole e sanzioni non più relegato esclusivamente alla disciplina di rapporti privati, ma portatore di potenziali riflessi sistemici comportando la nascita di un rapporto osmotico fra regole del contratto e regole del mercato.
III. LE DIVERSE TIPOLOGIE DI NORME A PROTEZIONE DEL CONTRAENTE DEBOLE ED I COSTI ECONOMICI DELLE TUTELE CONTRATTUALI IN UN MERCATO CONCORRENZIALE.
Tali considerazioni preliminari appaiono necessarie al fine, da un lato, di affermare la potenziale influenza delle regole del contratto sulla conformazione dei mercati nei quali quelle disposizioni si applicano e, dall’altro, la necessità di verificare la “qualità” di tali norme da cui dipende la loro capacità di essere strumenti in grado di garantire, anche nelle fibrillazioni di mercato, una corretta ed equilibrata risposta ordinamentale.
Se comune è la funzione ultima assolta da tale massa di disposizioni, bisogna però distinguere le ragioni concrete che, di volta in volta, muovono la penna del legislatore. Va detto, sotto tale profilo, che la grande maggioranza delle norme a tutela del c.d. contraente debole sono rivolte a prevenire potenziali approfittamenti da parte del soggetto forte o a sanzionare soprusi già perpetrari dai medesimi soggetti tentando di rimuoverne gli effetti nocivi per chi li ha subiti e, più in generale, per il mercato. Prevengono potenziali futuri abusi, ad esempio, tutte quelle disposizioni che sorvegliano la corretta formazione della volontà del contraente debole il quale, potendo agire nel mercato attraverso scelte consapevoli, da un lato tutela l’integrità del proprio consenso e, dall’altro, assume un ruolo attivo nel processo di produzione/distribuzione del bene o servizio vestendo la casacca di un vero e proprio arbitro del mercato. Hanno invece una funzione prevalentemente sanzionatoria di abusi già perpetrati da parte del professionista, tutte quelle disposizioni che modellano la reazione ordinamentale in maniera tale da permettere una più efficace ed agevole reazione da parte del contraente protetto rispetto a quelle assicurate dalle disposizioni di diritto comune. La disciplina sulle clausole vessatorie, sulla garanzia legale di conformità nella vendita di beni di consumo, sul danno da prodotti difettosi integrano, insieme ad altre, tale tipologia di disposizioni.
A tali provvedimenti – che per ovvie ragioni assolvono anche l’indiretta funzione di creare fiducia nel mercato da parte dei potenziali clienti consapevoli di essere sufficientemente protetti – si affiancano norme che, lungi dal prevedere una reazione rispetto ad una disfunzione – anche potenziale – introdotta dal contraente forte nel mercato, hanno esclusivamente lo scopo di stimolare l’accesso massivo a determinati settori economici. Tale obiettivo si persegue con disposizioni che vanno ad allocare i costi generati da eventi esterni ed imprevedibili proprio sul contraente forte.
È un dato scontato che tutta tale massa di norme, di qualunque genere esse siano, presuppone l’obbligo per il contraente onerato di farsi carico di costi organizzativi – immediati o potenziali – che lo stesso è in grado di sostenere poiché li integra all’interno di una organizzazione di natura imprenditoriale che gli permette, una volta calcolata l’incidenza del costo, di neutralizzarlo sia modulando il prezzo dei beni e dei prodotti anche in funzione dei suddetti oneri, sia facendo affidamento sulle prospettive di guadagno future.
Se tutto ciò è possibile all’interno di un mercato attivo e vitale, bisogna però domandarsi proprio alla luce delle conseguenze derivanti dal diffondersi del virus, quali sono gli effetti che tali norme producono all’interno di crisi tanto pervasive. Come accennato al principio, infatti, la pandemia in sé e per sé considerata e le misure di contenimento adottate sostanzialmente in tutto il mondo, hanno molto rallentato i processi economici e, per alcuni comparti, hanno determinato una vera e propria paralisi delle transazioni ed una impossibilità assoluta di adempiere ai contratti già conclusi.
La domanda da porsi è, quindi, se in tali circostanze estreme sia opportuna – ed in che misura – una rigida applicazione delle regole summenzionate o se, al contrario, gli effetti prodotti da tale applicazione sulle imprese sia tale da lasciare ipotizzare, in situazioni di crisi tanto profonda, un necessario allentamento di alcune delle citate tutele i cui costi per gli operatori risulterebbero insostenibili.
IV. LA PANDEMIA NEL MERCATO TURISTICO: APPROCCIO NAZIONALE “ANTICICLICO” DEL DIRITTO EMERGENZIALE NELLA DISCIPLINA DEL DIRITTO DI RECESSO DAI PACCHETTI TURISTICI NELL’ORIGINARIA FORMULAZIONE DELL’ART. 88 BIS DEL D.L. 17 MARZO 2020, N. 18.
L’occasione di riflessione nasce da suggestioni derivanti dall’emanazione delle misure temporanee contenute, in particolare, all’art. 88 bis del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 inserito in sede di conversione dalla l. 24 aprile 2020, n. 27. Tale disposizione, poi parzialmente modificata dal d.l. 19 maggio 2020, n. 34 come modificato dalla l. di conversione del17 luglio 2020, n. 77, ha introdotto un peculiare regime transitorio applicabile ai contratti di vendita di pacchetti turistici che, da un lato, ha posto – e continua a porre anche nella sua nuova formulazione – seri dubbi interpretativi e, dall’altro, esprime in maniera estremamente evidente la fortissima tensione che soprattutto in tempi di profonda crisi viene a crearsi fra le esigenze di cui sono portatrici le singole anime del mercato di riferimento.
Mettendo da parte le problematiche più generali introdotte dal decreto legislativo da ultimo menzionato, sembra particolarmente rilevante ai fini della presente trattazione la peculiare disciplina del diritto di recesso dai c.dd. contratti di vendita di pacchetti turistici introdotta dall’art. 88 bis, commi 6 e 7, del d.l. n. 18 del 2020.
Le difficoltà ricostruttive derivano, in questo caso, dal fatto che i contratti in parola beneficiano di una specifica disciplina contenuta agli artt. 32 ss. del codice del turismo (c. tur.) la quale è, da un lato, spiccatamente orientata alla tutela del viaggiatore quale contraente debole e, dall’altro, è il frutto del recepimento di disposizioni di matrice europea (dir. 2015/2302/Ue, recepita con d.lg. 21 maggio 2018, n. 62) proponendo quindi – in caso di contrasto fra disposizioni – anche un problema di conflitto gerarchico fra fonti.
Ed in effetti un potenziale contrasto c’è, e si annida proprio nel fatto che, ai sensi del citato art. 88 bis, commi 6 e 7 del d.l. n. 18 del 2020, si introduce una deroga a quanto dispone l’art. 41 c. tur. per come riformato a seguito del recepimento della dir. 2015/2302/Ue. La norma contenuta nel codice di settore, nel concedere la possibilità al viaggiatore di recedere dal contratto in caso di circostanze straordinarie non imputabili a nessuno dei contraenti che incidano negativamente sulla fruizione del servizio turistico, prevede che lo stesso abbia diritto ad un integrale rimborso della prestazione effettuata entro 14 giorni dall’esecuzione del diritto di recesso. Si tratta evidentemente di una disposizione peculiare che, rendendo indifferente per il viaggiatore tutte quelle sopravvenienze che possano compromettere l’interesse dello stesso, gli garantisce un rapido ristoro gravando però il professionista dell’onere di sopportare i costi di tale tutela. Non si tratta, quindi, di una norma che vuole correggere disfunzioni del mercato, ma di una disposizione che ha il solo fine di rassicurare il futuro cliente e di rimuovere un potenziale ostacolo che potrebbe dissuadere lo stesso dall’accedere al mercato dei pacchetti turistici.
In questo contesto le disposizioni emergenziali, pur mantenendo ferma la possibilità di recedere, riconoscono al professionista la possibilità di “ristorare” il turista non solo tramite il classico rimborso, ma anche attraverso sistemi alternativi quali l’offerta di un pacchetto sostitutivo di pari valore (di valore superiore o anche inferiore rimborsando la differenza di prezzo) o attraverso l’emissione di un voucher di importo corrispondente al rimborso dovuto e spendibile entro un anno dalla sua emissione.
Si tratta, evidentemente, di una disposizione in deroga che, così come formulata in tale primigenia versione, penalizza forse eccessivamente il viaggiatore poiché assoggetta il contraente debole che abbia già adempiuto la propria prestazione a termini giugulatori ed a conseguenze restitutorie spesso inefficaci. Sotto il primo profilo, infatti, il creditore ha l’obbligo di attivarsi entro 30 gg perdendo, in caso di inattività o intempestività, il diritto al “ristoro”. Questo poi si concretizzerà nella stragrande maggioranza dei casi nell’emissione di un voucher – data la sua capacità di preservare nell’immediato la liquidità di impresa – in luogo della restituzione della prestazione per come eseguita dal creditore.
Tali caratteristiche hanno posto, come pare evidente, serissimi dubbi circa la capacità di tali strumenti di garantire un elevato livello di tutela del cliente. Sotto tale profilo, infatti, appare in primo luogo da escludere che il termine di un anno previsto per fruire della prestazione incorporata nel voucher sia ragionevolmente sufficiente a permettere al creditore di soddisfare il suo interesse. Anche cessate le misure di lockdown – e nell’evidente incertezza circa il quando tali misure verranno definitivamente abrogate -, è infatti ipotizzabile che il “clima” sociale non si rassereni nell’immediatezza. Trattandosi di contratti aventi ad oggetto spostamenti, attività di soggiorno fuori casa ed attività che implicano la contestuale presenza di molte persone nello stesso luogo, probabilmente entro l’anno dall’emissione del voucher non si avrà ancora quella serenità che permetterebbe al creditore di fruire di servizi similari a quelli acquistati originariamente. V’è poi da segnalare come sovente potrebbe trattarsi di prestazioni “irripetibili” in un immediato futuro ma sostituibili con prestazioni analoghe che potrebbero però non soddisfare comunque l’interesse del creditore.
È proprio questa la ragione per la quale, in quegli specifici ambiti normativi nei quali l’ordinamento è particolarmente attento alla protezione del contraente debole, l’imposizione da parte del professionista di buoni o voucher in luogo della restituzione del prezzo in caso di mancata fruizione del servizio, è ipotesi guardata con sospetto ed oggetto, peraltro, di sanzioni quale pratica commerciale scorretta nelle ipotesi in cui la mancata erogazione del servizio sia imputabile al contraente forte.
C’è però da chiedersi se tali considerazioni possano subire degli adattamenti nel “diritto della crisi”, all’interno del quale bisogna guardare con occhi diversi le relazioni negoziali e nel quale, evidentemente, quella soggezione che solitamente accompagna la categoria dei contraenti deboli, deve cedere di fronte ad una sopravvenuta vulnerabilità “economica” del professionista che evidentemente chiede all’ordinamento misure eccezionali e temporanee che tutelino quei soggetti che, forti in condizione di “pace” rispetto alle proprie controparti, sono diventati deboli nei confronti delle stesse a causa degli effetti della pandemia. Al netto delle osservazioni critiche sopra formulate, e che richiederebbero una maggiore attenzione da parte del legislatore, non vi è dubbio che gli operatori economici del settore turistico siano fra i soggetti maggiormente colpiti, sotto il profilo economico, dalle restrizioni varate al fine di contenere il contagio. Se cosí stanno le cose, allora, quelle analizzate sono disposizioni che hanno la finalità – del tutto ragionevole – di “socializzare” determinati “costi” evitando che gli stessi vengano sopportati da pochi soggetti economici che, a causa della dimensione dell’evento che genera una diffusa impossibilità di erogare qualunque tipo di prestazione, non sarebbero in grado di sostenere gli effetti restitutori che le regole della normativa di settore imporrebbero in tali circostanze. Si tratterebbe, per parafrasare impropriamente approcci normativi utilizzati in ambito bancario, di una sorta di salvataggio interno del settore turistico che tenta di circoscrivere gli effetti negativi della crisi ai soggetti che, a vario titolo, fanno parte del mercato di riferimento.
L’approccio tipico delle disposizioni di diritto comune, infatti, appare performante nella gestione della “crisi” del singolo rapporto ma, quando la “crisi” assurge ad elemento di sistema ed investe tutti i rapporti di un determinato professionista, non si può pretendere di fronteggiare tale evento con la medesima filosofia normativa che, in definitiva, risulterebbe addirittura dannosa se analizzata in una prospettiva di sistema.
Con la previsione della possibilità di sostituire il rimborso in denaro con un voucher di pari importo, si tenta in buona sostanza di mantenere in vita la relazione negoziale permettendo al creditore di fruire della stessa prestazione (o di altra similare) nell’immediato futuro. Una impossibilità sopravvenuta della prestazione che, quindi, piú che la caducazione del rapporto determina una sua riarticolazione nella consapevolezza dell’impatto che le regole dei contratti hanno sulla tenuta dello stesso mercato di riferimento.
V. SEGUE: DISPOSIZIONI DOMESTICHE E POTENZIALE CONTRASTO CON LA DIRETTIVA 2016/2302/UE: L’ATTUALE PORTATA DELL’ART. 88 BIS DEL D.L. N. 18 DEL 2020
Al netto delle considerazioni sopra riportate, e sulle quali si tornerà brevemente in seguito, non può però tacersi uno spinoso problema di fondo che si annida nel presunto contrasto delle disposizioni domestiche con la direttiva 2015/2302/Ue che, uniformandosi al principio di piena armonizzazione, non permetterebbe agli Stati membri di discostarsi dalle regole in essa poste.
Sotto questo profilo è l’art. 12 della direttiva a sancire il diritto del viaggiatore di recedere dal contratto in caso di avvenimenti inevitabili e straordinari accaduti nel luogo di destinazione che impediscano la fruizione del servizio ed il suo conseguente diritto all’integrale rimborso delle spese sostenute. È poi stato notato come fra le “circostanze inevitabili e straordinarie” che legittimano il recesso senza spese ed il diritto al rimborso, il considerando n. 31 contempli espressamente la presenza di “rischi significativi per la salute umana quali il focolaio di una grave malattia nel luogo di destinazione del viaggio”. Il rischio sanitario, quindi, sarebbe già contemplato dalla normativa europea e, per l’effetto, oggetto della specifica disciplina comunitaria. Tutto questo, anche alla luce delle piú recenti Guidelines emanate dalla Commissione europea sul punto, ha portato parte della dottrina a considerare illegittima la posizione assunta nella fase emergenziale da parte del nostro legislatore.
Non sembra che però tali considerazioni portino necessariamente ad escludere la legittimità delle deroghe domestiche alla disciplina menzionata. Sotto il profilo della gerarchia delle fonti, la pandemia in corso mi pare che imponga di evitare rigidità eccessive che precluderebbero la realizzazione degli obiettivi fissati dall’ordinamento. Si pensi solo che con disposizioni aventi il medesimo rango rispetto a quelle commentate sono stati compressi diritti fondamentali espressamente sanciti dalla nostra Costituzione. La stessa Ue ha parzialmente “sospeso” – o accettato deroghe a – principi sui quali la stessa ha fondato il mercato unico: si pensi, in questo senso, alla deroga al divieto di aiuti di stato o al potenziamento del c.d. golden power. Se è cosí, forse il problema non va risolto in chiave eccessivamente formalistica ma cercando di valutare come la disposizione emergenziale – per sua natura temporanea – riesca a bilanciare i principi costituzionali e comunitari in una situazione transitoria di emergenza mondiale.
Lo stesso contrasto testuale dell’art. 88 bis, commi 6 e 7 del d.l. n. 18 del 2020 con la direttiva 2015/2302/Ue non sembra, poi, cosí insormontabile. Se è vero che la stessa direttiva contempla i “rischi significativi per la salute umana quali il focolaio di una grave malattia nel luogo di destinazione del viaggio” includendoli nelle ipotesi di “circostanze inevitabili e straordinarie”, appare però altrettanto evidente che lo stesso legislatore comunitario con tale affermazione non abbia pensato ad una pandemia mondiale ma, piuttosto, a sporadici focolai infettivi che, circoscritti a determinate regioni del mondo (la disposizione parla di “luogo di destinazione del viaggio”), abbiano la capacità di incidere su un circoscritto numero di pacchetti turistici e non sull’intera ed indistinta massa di contratti stipulati dal professionista. Se nel primo caso è evidente che, nel bilanciamento ragionevole degli interessi, sia del tutto lineare imporre l’integrale rimborso delle spese sostenute dal viaggiatore, nel secondo caso appare lecito manifestare piú di un dubbio.
Ed allora, come accennato, bisognerà valutare come le disposizioni emergenziali riescono a bilanciare gli interessi in conflitto ma secondo il nuovo peso che gli stessi assumono nelle contingenze della pandemia. Le disposizioni a tutela del contraente debole hanno un costo economico che viene normativamente addossato al contraente “forte”. Ma un professionista, qualunque esso sia, è contraente forte se può operare nel dinamismo di un mercato concorrenziale che gli permetta di assumere quei costi di impresa che, proprio grazie alla sua organizzazione professionale, è in grado di ammortizzare. Ma quando il meccanismo si inceppa, l’impresa è solo un gigantesco e pachidermico debitore che, semplicemente, non è in grado di sostenere i costi delle tutele che l’ordinamento – in situazioni normali – tende ad addossargli.
Bisogna forse abbandonare, su questo punto, una visione “consumocentrica” delle scelte legislative risultando evidente che non sia questa la filosofia di fondo di tali interventi. Gli interessi del viaggiatore sono, in tale disposizione, del tutto recessivi rispetto ad un interesse giudicato dall’ordinamento, in questo momento, chiaramente piú rilevante ed impellente nelle contingenze dell’oggi. La normativa domestica, nella sua temporanea deroga a quanto disposto dall’art. 41 c. tur., mira quindi proprio a ridurre – pur se attraverso una disciplina per alcuni versi criticabile – il rischio che le imprese del settore falliscano trascinando dietro di sé lavoratori, fornitori, indotto ecc. La ragione di tale esigenza non va rintracciata, ancora una volta, nella volontà di porre il viaggiatore al sicuro dal fatto che, una volta fallito l’organizzatore, incontrerebbe serie difficoltà ad ottenere qualunque forma di ristoro, ma si colloca a monte: nel creare le condizioni che portino gli operatori del settore a non fallire.
Per far ciò comprime momentaneamente, senza eliminarle, le tutele del viaggiatore che non potrà beneficiare del rimborso nel caso di recesso, ma riceverà un voucher che, pur se disciplinati in maniera forse poco attenta, hanno comunque la funzione di permettergli di soddisfare – anche se parzialmente – il proprio interesse ludico/ricreativo.
VI. “PROCICLICITÀ” DI ALCUNE DISPOSIZIONI A TUTELA DEL CONTRAENTE DEBOLE, ESIGENZA DI SALVAGUARDARE LA CONCORRENZA NEL MERCATO UNICO E NECESSITÀ DI UN DIRITTO EMERGENZIALE EUROPEO DEI CONTRATTI.
La domanda da porsi è, quindi, fino a che punto e a quali costi economico/sociali è necessario ed opportuno tutelare il c.d. contraente debole, nella consapevolezza che garantire anche all’interno di stravolgimenti di tale portata il medesimo livello di protezione potrebbe colpire a morte interi settori economici.
Bisogna quindi comprendere, se c’è, il limite oltre il quale non ha più così tanto senso porre in campo una iperprotezione del destinatario finale del bene o del servizio poiché ciò vorrebbe dire gravare il professionista di costi che lo stesso non è in grado di sostenere.
Se risultano irrinunciabili quelle disposizioni che hanno quale effetto quello di prevenire abusi -anche solo potenziali – da parte del professionista nei confronti del contraente protetto o di sanzionare violazioni già perpetrate, maggiori dubbi sussistono in relazione a quelle norme che, invece, si limitano esclusivamente a “rassicurare” il contraente protetto in relazione ai rischi tipici di un determinato mercato. Le prime, infatti, esprimono il disvalore che determinate condotte commerciali hanno all’interno di un mercato che, dunque, le reprime. Le seconde, che hanno invece lo scopo di contribuire a stimolare l’accesso massivo dei clienti a determinati mercati, hanno la funzione di traslare rapidamente i rischi tipici di un determinato settore economico all’interno della sfera giuridica del contraente che l’ordinamento giudica “forte” attraverso meccanismi giuridici che rendono indifferente l’evento nefasto per il contraente protetto. Tutto ciò, ovviamente, in assenza di qualunque “rimprovero” che l’ordinamento possa muovere alle condotte tenute dal professionista.
Ma appare evidente che tale seconda tipologia di disposizioni, di cui l’attuale art. 41 c. tur. risulta espressione, ha un senso solo se riferita a mercati che operino in situazioni normali – anche se di crisi – e se rapportate a rischi i cui effetti siano normalmente prevedibili e, quindi, gestibili da parte del professionista tramite una adeguata pianificazione.
Applicare rigidamente tali norme a situazioni da “cigno nero”, equivale ad onerare il professionista di costi insostenibili sia nelle attuali contingenze – nelle quali l’evento “pandemia” non era mai stato neanche adombrato – sia nel portare avanti la sua futura attività di impresa. Obbligare tali professionisti ad essere pronti – ove necessario – a metabolizzare internamente un rischio quale quello che si è verificato con la diffusione su scala mondiale del Covid-19, infatti, imporrebbe agli stessi di offrire i propri servizi a prezzi inaccessibili alla massa dei contraenti così frustrando la stessa funzione originariamente perseguita dalla disposizione che dovrebbe essere quello di incentivare i viaggiatori ad accedere ai servizi offerti da quel mercato.
Tutto ciò evidenzia la potenziale prociclicità di determinate disposizioni protettive. Queste, infatti, se hanno la capacità di stimolare la rapidità e l’efficienza dei processi economici all’interno di mercati dinamici, hanno però l’effetto contrario di contribuire a deprimere interi comparti produttivi nelle ipotesi nelle quali i meccanismi concorrenziali si inceppano.
Di prociclicità delle regole si è soliti parlare in relazione alle disposizioni che disciplinano i requisiti patrimoniali ed organizzativi dei soggetti vigilati nei mercati regolamentati, ma se si aderisce all’impostazione per la quale le stesse regole del contratto contribuiscono a modellare il mercato nel quale quei negozi vedono la luce, non sembra assolutamente peregrino riflettere sulle conseguenze che tali disposizioni possono avere sulla stabilità e sulle performance dei relativi mercati.
Non può negarsi, però, tornando al tema specifico dal quale si è cercato di trarre qualche spunto generale di riflessione, che la norma menzionata – permettendo agli organizzatori di pacchetti turistici di sostituire il rimborso in denaro con un voucher – abbia introdotto una disciplina che in parte stride con le specifiche disposizioni contenute nella direttiva 2015/2302/UE generando, per tal via, un potenziale vulnus al corretto articolarsi dei processi concorrenziali nel mercato unico europeo.
Tralasciando infatti la potenziale incompatibilità dell’art. 88 bis del d.l. n. 18 del 2020 con la direttiva 2015/2302/Ue, appare evidente che permettere alle imprese italiane di sostituire il rimborso in denaro con un voucher permette alle stesse di preservare liquidità che gli garantirebbe una posizione di privilegio rispetto alle imprese di altri Paesi europei che non abbiano adottato misure di tal genere.
Non deve quindi stupire sul punto la preoccupazione della Commissione europea che, dopo una minacciata e non ancora attuata procedura di infrazione verso l’Italia ed altri Stati membri che hanno emanato disposizioni similari, ha adottato la Raccomandazione UE 2020/648 del 13 maggio 2020. La lettura di tale documento lascia trasparire le serie preoccupazioni economiche che incombono sugli organizzatori di pacchetti turistici stretti nella morsa di una crisi che, da un lato, li espone alle difficoltà di rientrare nella disponibilità delle prestazioni pagate agli altri professionisti dei quali intendevano avvalersi per offrire il pacchetto oggetto di recesso (vettori, strutture ricettive ecc.) e, dall’altro, li obbligherebbe a restituire al viaggiatore l’intero costo del pacchetto entro 14 giorni.
Se questi sono gli effetti imposti dal quadro normativo di riferimento, appare evidente come in un momento nel quale i recessi dai pacchetti già conclusi sono infinitamente maggiori rispetto alle nuove prenotazioni, gli oneri gravanti sul tour operator siano sostanzialmente insostenibili.
Nel merito, la posizione della Commissione parte dal presupposto secondo cui la regola del rimborso in denaro possa convivere con l’offerta da parte del professionista di un voucher purché, però, non si privi il viaggiatore del suo diritto al rimborso. Sulla scorta di tale principio, la finalità perseguita dal documento menzionato è quella di raccomandare l’adozione di misure che, rendendo maggiormente appetibili i voucher per i viaggiatori, stimolino i contraenti protetti – su base rigorosamente volontaria – ad orientarsi verso tale forma di ristoro in luogo dell’immediato rimborso monetario.
La risposta della Commissione appare però non del tutto adeguata rispetto alle premesse dalle quali prende le mosse: rilevata la sostanziale incapacità dei tour operator di procedere ai rimborsi nell’attuale scenario di mercato, delega agli Stati membri l’impossibile compito di rendere i voucher maggiormente appetibili rispetto al rimborso in denaro che comunque spetterebbe al viaggiatore entro 14 giorni dall’esercizio del diritto recesso. Sarebbe stato forse auspicabile un approccio diverso e più coraggioso alla problematica menzionata. Una volta correttamente individuato il problema sarebbe stato opportuno disciplinare tramite un regolamento i voucher con le caratteristiche individuate dalla Commissione nella Raccomandazione sostituendo, in via emergenziale, il rimborso in denaro con tale diversa forma di ristoro.
Come segnalato in precedenza, infatti, non possono tacersi le numerose problematiche che si annidano dietro la frettolosa disciplina nazionale dei voucher di cui alla primigenia formulazione dell’art. 88 bis del d.l. n. 18 del 2020 e che pongono serie perplessità sul fatto che gli stessi siano strumenti adeguati a bilanciare correttamente le esigenze dell’impresa con quelle dei clienti. Ma prolungare il termine entro cui il viaggiatore può usufruire del voucher, rendere il credito che lo stesso incorpora frazionabile al fine di permettere l’acquisto di una molteplicità di diversi servizi anche disaggregati, rendere il buono cedibile a terzi ecc., potrebbero essere precauzioni che, mitigando le asperità emergenti dalla disciplina domestica, renderebbero tale inedito strumento di ristoro del tutto adeguato a preservare la liquidità delle imprese del settore senza comprimere eccessivamente i diritti del viaggiatore. Così riarticolato, quindi, tale strumento potrebbe essere imposto in via transitoria e su scala europea quale adeguato succedaneo al rimborso in denaro del prezzo del pacchetto.
Sarebbe quindi necessario, allora, pensare ad una disciplina transitoria al livello europeo che, ovviamente prendendo come riferimento un orizzonte temporale limitato, predisponga un quadro normativo emergenziale che reinterpreti le disposizioni comunitarie per adattarle elle necessità del momento. Di fronte ad un mercato europeo e ad una disciplina europea dei contratti, c’è bisogno di un diritto europeo dell’emergenza che non può passare attraverso atti di soft law quali le raccomandazioni, ma deve fondarsi su atti vincolanti che, ispirati al pragmatismo, rileggano le norme dettate in “tempo di pace” al fine di eliminarne o mitigarne la prociclicità che, di fronte a crisi così profonde, potrebbe aggravare la già difficoltosa situazione economica di determinati mercati.
Va però segnalato come la presa di posizione della Commissione non ha lasciato indifferente il legislatore nazionale dell’emergenza che, come accennato in precedenza, ha parzialmente modificato l’art. 88 bis del d.l. n. 18 del 2020 con l’art. 182, comma 3 bis del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 introdotto con le modifiche previste dalla l. di conversione del 17 luglio 2020, n. 77. Tale nuovo intervento mitiga le asperità dei voucher segnalate nel corso della trattazione ma, senza ombra di dubbio, non risulta tale da riallineare le disposizioni nazionali a quelle della direttiva 2015/2302/Ue nell’interpretazione che della stessa ha dato la Commissione Ue. Permane, infatti, la possibilità per l’organizzatore del pacchetto di rimborsare con un voucher il viaggiatore senza lasciare a quest’ultimo alcuna possibile scelta. La durata di tale voucher, però, viene estesa da 12 a 18 mesi prevedendo peraltro che, in caso di mancata fruizione dello stesso prima della sua scadenza, il viaggiatore avrà diritto al rimborso in denaro. Si tratta, senza dubbio, di una disciplina maggiormente equilibrata che, più di quella originaria, riesce a contemperare l’esigenza di liquidità immediata delle imprese del settore con la valorizzazione degli interessi dei viaggiatori. Ma ancora siamo lontani dalla posizione espressa dalla Commissione che, invece, ritiene compatibile con il diritto Ue solo ed esclusivamente una normativa nazionale che lasci al viaggiatore la possibilità di scegliere fin dall’origine se ottenere il rimborso in denaro entro 14 giorni o “accontentarsi” di un voucher. La stessa Raccomandazione ricorda che eventuali esigenze di specifici mercati possono oggi essere affrontate da parte degli Stati membri usufruendo delle deroghe previste per gli aiuti di Stato.
Non sembra però opportuno che qualunque intervento normativo di sostegno ai settori economici passi necessariamente, in questo momento, tramite gli aiuti di Stato che si concretizzano comunque, pur se in maniera molto edulcorata, in una socializzazione di determinati costi dei quali, tramite lo schermo dello Stato, saranno chiamati prima o poi a rispondere indirettamente tutti i soggetti che formano la collettività. Nonostante l’apertura che si è avuta sul punto da parte dell’ordinamento europeo, non va dimenticato come la ricapitalizzazione con fondi pubblici di aree economiche rimane strumento residuale che, data la sua capacità di alterare il gioco concorrenziale, va intesa quale extrema ratio in assenza di altri strumenti utilizzabili.
Ed allora, forse, un diritto dei contratti maggiormente solidale, maturo, coraggioso e consapevole degli effetti che è in grado di generare sulle dinamiche economiche, potrebbe essere una valida alternativa che, senza alterare le regole della concorrenza, permetta al mercato di redistribuire in maniera più razionale i rischi in esso emergenti e di ritrovare un nuovo – e si spera duraturo – equilibrio a seguito dell’attuale crisi.
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