Autora: Loredana Tullio. Associato di Diritto privato, Università degli Studi del Molise. E-mail: loredana.tullio@unimol.it
Resumen: Il saggio analizza il primo parere consultivo formulato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Particolare attenzione è rivolta al riconoscimento della genitorialità intenzionale, nonché alla tutela del diritto all’identità dei figli; diritto posto in primo piano dalla Corte di Strasburgo.
Palabras clave: parere consultivo; Corte europea dei diritti dell’uomo; maternità surrogata; riconoscimento della filiazione; superiore interesse del minore.
Abstract: The essay analyzes the first Advisory Opinion rendered by the European Court of Human Rights under Protocol No. 16. It particularly focuses on the recognition of intentional parenthood, as well as on the protection of the child’s right to identity, prioritized by the Strasbourg Court.
Key words: advisory opinion; European Court of Human Rights; surrogacy; recognition of parentage; best interest of the child.
Sumario:
I. Il ricorso consultivo dinanzi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo.
1. Peculiarità del nuovo strumento dialogico tra giurisdizioni interne e sovranazionali a tutela dei diritti fondamentali.
2. Similarità e differenze con la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
II. L’esordio di una nuova forma di interpretazione preventiva.
1. La questione posta alla Grande Camera.
2. Il primo parere della Corte di Strasburgo.
III. Il valore persuasivo dell’advisory opinion negli ordinamenti europei e riflessi su talune giurisdizioni interne.
1. Il principio di “responsabilità procreativa”.
2. Fra trascrizione dell’atto di nascita e adozione del minore: quale la scelta migliore?
3. L’importanza di non discriminare sulla base delle circostanze della nascita.
Referencia: Actualidad Jurídica Iberoamericana Nº 13, agosto 2020, ISSN: 2386-4567, pp. 960-975.
Revista indexada en SCOPUS, REDIB, ANVUR, LATINDEX, CIRC, MIAR.
I. IL RICORSO CONSULTIVO DINANZI ALLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO.
Nell’aprile 2019 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha formulato il suo primo parere consultivo (c.d. Advisory Opinion) in applicazione al Protocollo addizionale n. 16 Cedu.
Trattasi, al riguardo, di un particolare strumento diretto ad assume ampio rilievo per un duplice ordine di motivi: da un lato, consente di attuare una nuova forma di dialogo fra le Corti, favorendo la loro leale collaborazione mediante la semplice facoltà, lasciata alle più Alte giurisdizioni nazionali, di chiedere la risoluzione di un dubbio – su “questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione o dai suoi protocolli” – emerso sulla base del giudizio in esame; dall’altro, permette di rafforzare, negli Stati contraenti della Convenzione e dei suoi Protocolli addizionali, la protezione dei diritti umani.
Ed è proprio su una controversa circostanza volta a inficiare la piena attuazione della personalità umana e dei diritti civili che è posta, dinanzi alla Corte di Strasburgo, una delicata questione ermeneutica: in specie, si discute se e in che modo sia possibile tutelare i diritti dei minori nati a séguito di maternità surrogata, ossia quali siano gli effetti da riconoscere agli status personali e familiari acquisiti all’estero sulla base dell’attuato “turismo dei diritti” da sempre fonte di discriminazioni.
1. Applicazione del nuovo strumento dialogico tra giurisdizioni interne e sovranazionali a tutela dei diritti fondamentali.
Prima di esaminare, nello specifico, la questione oggetto del primo parere interpretativo della Corte EDU, è bene evidenziare come lungo e complesso sia stato il procedimento che ha dato operatività al “Protocollo n. 16”.
Adottato il 10 luglio 2013, lo stesso è stato, dopo qualche mese, aperto alla firma delle Parti della Convenzione. Cinque anni dopo (per l’esattezza il 12 aprile 2018) lo Stato francese, effettuandone la ratifica, ha innescato la sua entrata in vigore, sul piano internazionale, il 1 agosto 2018. Infatti, come letteralmente indicato ai sensi dell’art. 8 del Protocollo, la stessa sarebbe avvenuta “il primo giorno del mese successivo alla scadenza di un periodo di tre mesi dalla data in cui dieci Alte Parti contraenti della Convenzione av[essero] espresso il loro consenso a essere vincolate dal Protocollo”. L’entrata in vigore, dunque, – per oggi di ben 15 Stati contraenti la CEDU, essendo un “accordo facoltativo” – introduce la nuova competenza consultiva della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Come rilevato da parte della dottrina, si tratta di una procedura “non del tutto sconosciuta”: tentativi di attuare tale consultazione erano, infatti, già presenti sulla base degli artt. 47-49 CEDU. Va precisato, ad ogni modo, che le ampie limitazioni, di carattere soggettivo ed oggettivo, alle quali era sottoposta, avevano portato a qualificare la Corte di Strasburgo tra gli organi “a competenza consultiva virtuale”.
2. Similarità e differenze con la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
L’iter seguìto per attuare questo meccanismo dialogico fra le giurisdizioni interne e sovranazionali è, invece, molto più semplice e diretto. Molti autori lo hanno paragonato al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, ex art. 267 TFUE, giacché anche in questo caso è richiesta una corretta interpretazione della normativa da applicare.
Tuttavia, si rilevano sostanziali differenze tra l’istituto del rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo e la richiesta di parere inoltrata alla Corte EDU: nel primo caso, le autorità di ultima istanza – non, invece, i giudici inferiori – hanno l’obbligo di sottoporre la questione alla Corte per uniformare l’applicazione del diritto europeo ed il provvedimento dei giudici di Lussemburgo è vincolante sia per la giurisdizione nazionale che ha richiesto il rinvio, sia per tutte le altre giurisdizioni degli Stati membri. Diversamente, per l’Advisory Opinion: in tal caso, la richiesta del parere reso dalla Grande Camera della Corte EDU è lasciata alla facoltà dell’Alta giurisdizione nazionale la quale è consapevole che lo stesso non è vincolante (ex art. 5, Protocollo 16 CEDU), né per l’organo richiedente né per la stessa Corte europea dei diritti.
Il suo valore persuasivo per la decisione di analoghe situazioni presenti in altri Stati, ben si presta, tuttavia, quale strumento idoneo a ridurre l’ipotetico ammontare del contenzioso dinanzi la Corte EDU fornendo una coerenza interpretativa delle norme della Convenzione.
Una modalità, dunque, rivolta sia a impreziosire quel dialogo tra giudici nazionali ed europei, favorendo la piena e leale collaborazione tra le Corti, secondo uno spirito di reciproca cooperazione istituzionale, “funzionale a un’attività interpretativa circolare e continua”; sia a vagliare la soluzione migliore, purché “celere ed effettiva”, predisponendo gli strumenti più idonei a garantire, nel caso concreto, la tutela dei diritti delle persone coinvolte.
II. L’ESORDIO DI UNA NUOVA FORMA DI INTERPRETAZIONE PREVENTIVA.
Ad avvalersi per prima di tale procedura di recente introduzione a livello europeo, diretta a consentire l’operatività del nuovo strumento di interpretazione preventiva (c.d. Advisory Opinion), è l’alta giurisdizione francese (l’Assemblea plenaria della Cour de Cassation) la quale, per uno strano gioco di eventi e interne novelle legislative, è chiamata nel 2019 a pronunciarsi sullo stesso caso già esaminato otto anni prima.
In particolare la stessa è investita della domanda attinente la trascrizione, anche a favore della madre intenzionale, dell’atto di nascita di due gemelle nate all’estero, per volere della coppia di coniugi, mediante la tecnica della gestazione per altri. La delicatezza della questione riguardante la tutela dei minori nonché la necessità di contrastare forme di discriminazioni di categorie di figli solo in ragione delle circostanze della loro nascita spinge l’organo giurisdizionale francese a richiedere un parere consultivo.
Sempre per delle alterne vicissitudini la questione è riproposta, seppur con toni diversi, dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. ‘Riproposta’, giacché la stessa aveva già avuto modo di pronunciarsi sulla questione con una sentenza di condanna formulata nei riguardi dello Stato francese nel 2014, per violazione dell’art. 8 Cedu, ossia del diritto al rispetto della vita privata e familiare, prendendo in esame il diritto all’identità delle due figlie, il riconoscimento del rapporto di filiazione e l’individuazione della loro nazionalità.
‘Riproposta’, ma sotto una nuova luce perché in tale ipotesi non è richiesta una decisione (sentenza) sul caso, ma un parere consultivo in grado di bilanciare l’interesse delle minori (rectius: oramai maggiorenni) e, dunque, il loro diritto ad identificarsi anche giuridicamente con i soggetti responsabili della loro nascita, con altri interessi di rilevanza nazionale, quale gli abusi connessi alla surrogazione di maternità e la dovuta tutela della dignità della gestante.
1. La questione posta alla Grande Camera.
Nello specifico è posta alla Corte di Strasburgo la seguente duplice questione: a) se lo Stato ecceda il proprio margine di apprezzamento, ai sensi dell’art. 8 Cedu, là dove rifiuti la trascrizione nei registri di stato civile del certificato di nascita di un bambino nato all’estero a séguito di un contratto di maternità surrogata: questo là dove (pur accogliendo la registrazione nella misura in cui il certificato designi come padre legale il padre biologico) nel certificato sia attribuita la maternità alla madre intenzionale. A tal proposito si chiede, in particolare, se la circostanza che il figlio sia stato o meno concepito facendo ricorso ai gameti della donna modifichi i termini della questione.
b) In caso di risposta affermativa a una delle due domande precedenti, qualora il riconoscimento del rapporto di filiazione con la madre intenzionale debba considerarsi un obbligo imposto dalla Convenzione, se l’adozione del figlio biologico del marito possa rappresentare una valida alternativa alla trascrizione dell’atto di nascita.
2. Il primo parere della Corte di Strasburgo.
La Corte EDU, nella formulazione del parere reso all’unanimità, riconosce inizialmente che gli Stati membri godono di un margine di apprezzamento molto ampio sulle questioni “morali o eticamente sensibili”, quali ad esempio la maternità surrogata. Eterogenee sono, infatti, le posizioni giurisprudenziali e le legislazioni presenti nei vari ordinamenti. Là dove, tuttavia, acquisti rilevanza un aspetto fondamentale dell’identità degli individui nati da gestazione per altri, la Corte precisa che il margine di discrezionalità riconosciuto ai singoli Paesi si restringe, imponendo agli stessi – nel rispetto della vita privata e familiare (art. 8 Cedu) – la necessità di assicurare il riconoscimento del legame tra il genitore d’intenzione e il nato tramite maternità surrogata anche negli ordinamenti nazionali nei quali questa pratica non è consentita. Senza, dunque, voler privilegiare una visione adultocentrica, si intende essenzialmente tutelare i “minori, il cui diritto al rispetto della vita privata è stato leso”.
Tale riconoscimento del rapporto genitoriale può avvenire seguendo due percorsi: mediante trascrizione del certificato di nascita redatto all’estero oppure per effetto dell’adozione.
Sicché, il dubbio lasciato allo Stato membro dalla Corte di Strasburgo non è “se” ammettere o negare il vincolo filiale, ma “come” garantire questo risultato, ossia attraverso quali mezzi eliminare l’incertezza giuridica che avvolge l’identità dei figli, garantendo rapidità (promptly) ed effettività (effectively) dell’attuazione dei diritti del minore, conformemente al suo superiore interesse.
Si ha modo di osservare, infine, che la legge interna allo Stato deve offrire la possibilità di riconoscere un legame parentale tra il nato attraverso questa tecnica di procreazione medicalmente assistita e il genitore d’intenzione, indicato già nel certificato di nascita (legittimamente redatto all’estero) quale “genitore legale”. L’ipotesi contraria lascerebbe il nato in una situazione di incertezza giuridica in merito alla sua identità e cittadinanza, nonché di svantaggio sotto i profili successorio e assistenziale. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di vantare dei diritti sul patrimonio della madre sociale in séguito alla sua morte ovvero, in caso di separazione della coppia o decesso dell’altro genitore biologico, alla tutela assistenziale, spirituale e materiale, ai quali i figli avrebbero diritto.
L’assunto è formulato tenendo conto anche della precisazione sollevata dalla Cour de Cassation, ossia la soluzione suggerita vale a fortiori anche qualora il figlio sia nato a séguito della gestazione per altri realizzata con gameti non appartenenti alla madre committente, purché nel rispetto della legge dello Stato in cui è stato formato l’atto di nascita.
III. IL VALORE PERSUASIVO DELL’ADVISORY OPINION NEGLI ORDINAMENTI EUROPEI E RIFLESSI SU TALUNE GIURISDIZIONI INTERNE.
La questione affrontata abbraccia, sullo sfondo, la necessità di tutelare “la vita umana non soltanto con riferimento al tempo del suo inizio”, alle condizioni offerte dall’evoluzione scientifica e tecnologica, ma anche in séguito proteggendo l’identità di quei figli “in quanto person[e]”, nel loro “intero percorso vitale”, alla luce dei profondi mutamenti sociali e culturali registrati nell’epoca attuale.
Il parere consultivo tenta, dunque, di formulare un suggerimento da adottare in tutte le molteplici controversie provenienti da quegli ordinamenti nei quali la gestazione per altri è vietata sulla base di un’espressa disposizione e, dunque, di risolvere uniformemente le problematiche di tutte quelle coppie che – consapevoli dell’espresso divieto legislativo sancito nel loro Stato di cittadinanza – ne aggirano le “fragili fondamenta” stipulando accordi di maternità surrogata resi possibili all’estero.
Le conclusioni raggiunte in tale parere si prestano, così, a ricevere una più ampia operatività – sia pure in assenza di una dichiarata finalità armonizzatrice – là dove, ad esempio, siano adottate quali parametri ermeneutici nell’attuazione della Convenzione europea sui diritti umani in uno dei Paesi membri.
1. Il principio di responsabilità procreativa.
Nel complesso quadro del “fenomeno” della surrogazione di maternità – nel tentativo di applicare regole certe e univoche – la giurisdizione, nazionale e sovranazionale, sembra partire dal presupposto che le scelte legislative accolte nei vari sistemi ordinamentali, dirette a porre limiti alle modalità di procreazione, non possano ricadere su chi è già nato, negando il prevalente e superiore suo interesse. Ciò, in specie, là dove l’intenzione alla genitorialità sia accompagnata dalla minima presenza di un apporto genetico: ossia, vi sia il contributo biologico fornito da almeno uno dei due partner.
L’acquisizione dello status filiationis – indubbio per il genitore che ha fornito l’apporto genetico – avverrebbe anche rispetto all’altro autore del progetto procreativo sulla base del “principio di responsabilità”. Tale scelta lascerebbe saldi, anche solo a metà, i legami tra committenti e nato.
Diversamente, in mancanza di apporto genetico anche minimale proveniente dalla coppia committente, più ardua appare la trascrizione di quell’atto di nascita redatto all’estero e attestante, di per sé, una comprovata “falsa certificazione”. In tal caso, nel delicato bilanciamento dei contrapposti interessi, una preminente considerazione dovrà essere riservata all’esistenza di una relazione familiare, comprovata dalla durata del rapporto instauratosi tra il nato ed i genitori intenzionali e dalla condizione identitaria eventualmente acquisita dal minore.
2. Fra trascrizione dell’atto di nascita e adozione del minore: quale la scelta migliore?
A séguito del parere della Grande Camera, l’Assemblea plenaria della Cour de Cassation – che aveva sollevato la questione dinanzi a Strasburgo – giunge a riconoscere come legittima la trascrizione dell’atto di nascita straniero delle gemelle Mennesson anche in favore della madre intenzionale, precisando che altre modalità alternative (adozione) volte all’instaurazione del rapporto di filiazione avrebbero costituito una forma sproporzionata di violazione del diritto alla vita privata (ex art. 8 Cedu) delle due ragazze.
Si badi: volutamente i giudici non scelgono di percorrere la strada dell’adozione, seppure questo indirizzo sia quello oramai prevalentemente séguito dalla giurisprudenza non solo francese. La scelta di cementare il rapporto di parentela tra la madre d’intenzione e le figlie nate da maternità surrogata risponde alla quell’esigenza di evitare – dopo “appena” diciott’anni – di lasciare ancóra le stesse prive di tutela. Si fa presente, tuttavia, che tale scelta muta in “relazione alle diverse situazioni di fatto che possono configurarsi nella realtà”: nella fattispecie in esame l’istituto dell’adozione “non rappresent[ava] nel caso concreto lo strumento preferibile” per la prole, “in particolare per la promozione adeguata della [loro] personalità”.
Diversamente è apparso – in applicazione del parere – per le Sezioni unite In italia: i giudici di legittimità, seppur senza menzionare il contenuto dell’Advisory Opinion della Grande Camera ne attuano il suggerimento, accogliendo l’orientamento proposto dalla Corte europea sia pur ponendo “al primo posto l’interesse pubblico alla repressione penale della surrogazione di maternità riguardato come inderogabile principio di ordine pubblico e solo in subordine […] l’interesse dei minori”. Una divergenza tra le due pronunce che, tuttavia, non mina la tutela dello status di figlio: negata la possibilità di trascrivere nei registri dello stato civile italiano il provvedimento reso all’estero col quale veniva accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato da maternità surrogata e il genitore d’intenzione, si accoglie, infatti, l’alterna possibilità di dare rilievo a tale rapporto genitoriale ammettendo il ricorso ad altri strumenti giuridici messi a disposizione dall’ordinamento, quale ad esempio l’adozione in casi particolari (art. 44, comma 1, lett. d, l. 4 maggio 1983, n. 184).
3. L’importanza di non discriminare sulla base delle circostanze della nascita.
Nella ricerca della migliore composizione di tutti gli interessi e valori normativi coinvolti in vicende accomunate dalla stessa finalità non resta che considerare l’importanza che la costituzione del rapporto filiale assume nell’assegnazione dell’identità di ciascun individuo coinvolto nella vicenda.
Dalla soluzione suggerita dalla Corte di Strasburgo emerge, alla luce del grado di inderogabilità del divieto di maternità surrogata presente in taluni ordinamenti, la ragionevolezza del rimedio proposto in relazione alla situazione di fatto, la quale opportunamente giunge a cancellare le disparità tra figli basate sulle circostanze della loro nascita.
Se non è opportuno, infatti, rovesciare sui già nati (o, più in generale, sulla categoria dei figli) le conseguenze di scelte comportamentali degli adulti, è comunque necessario superare forme di discriminazione di categorie di figli in ragione delle circostanze della loro nascita.