Pandemia ed adeguatezza dei poteri regolatori delle Autorità di supervisione europee

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Autor: Giovanni Berti de Marinis. Ricercatore tipo B in Diritto dell’economia, Università degli Studi di Perugia, Dipartimento di Economia. Correo electrónico: giovanni.bertidemarinis@unipg.it.

1. Che il mercato potesse avere un impatto sulla salute dell’uomo appare, alla luce degli eventi connessi al cambiamento climatico, un dato su cui da tempo anche la dottrina giuridica si è soffermata e che è oggi al centro di una rinnovata sensibilità normativa. Forse, però, non si era mai riflettuto abbastanza su come la salute degli individui potesse, a sua volta, condizionare il mercato. Gli eventi connessi alla diffusione del Covid-19 hanno invece fatto emergere, in tutta la loro crudeltà, lo strettissimo rapporto fra processi economici, libertà fondamentali e valori apicali del nostro ordinamento. Il problema, infondo, è proprio questo: fra esigenze dell’economia ed esigenze dell’uomo gli ordinamenti, ciascuno con la sua sensibilità ma tutti tentando di bilanciare gli interessi in gioco, hanno correttamente sacrificato il dinamismo del mercato al fine di mitigare gli effetti della pandemia.

Per limitare queste considerazioni introduttive al sistema italiano, l’emergenza sanitaria è stata formalizzata con la Delibera del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020, con la quale è avvenuta la “Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”. Da tale momento è iniziato il disordinato stillicidio di disposizioni che, da un lato hanno fortemente limitato le libertà fondamentali al fine di evitare il propagarsi dell’epidemia e, dall’altro, hanno tentato di far fronte ai pesantissimi effetti negativi che tali misure hanno determinato sotto il profilo economico. La ieratica staticità alla quale siamo costretti dalle misure restrittive, produce un attrito stridente con il dinamismo concorrenziale che, invece, deve caratterizzare i mercati. È un dato di fatto che la nostra società, nei mesi della pandemia, abbia consumato senza produrre (v. le riflessioni di DI RAIMO, R.: “Le discontinuità che seguono i grandi traumi: pensando al credito (e al debito), mentre la notte è ancora fonda”, in www.giustiziacivile.com, 2020, pp. 3 ss.).

Nell’ambito dei mercati regolamentati, il virus sembra aver rimescolato le carte spostando la riflessione, dal come tali comparti impattano sull’economia reale, a come la realtà economica nella quale viviamo incida sui primi. Se nel 2007 sono state le disinvolte prodezze della finanza a “contagiare” i processi di produzione e distribuzione di beni e servizi, sembra che oggi – per uno scherzo del destino – la “finanza” stia subendo un “contagio di ritorno” che, oltre a porre seri problemi di tutela del cliente (ANNUNZIATA, F.: “La distribuzione di prodotti di investimento e l’emergenza sanitaria. Una proposta”, in www.dirittobancario.it, 2020) pone sotto stress gli operatori del mercato, la loro stabilità finanziaria, l’adeguatezza della loro struttura organizzativa e delle loro policy proprio in funzione dello sconvolgimento globale delle economie “reali”.

È evidente poi che, di fronte ad una pandemia mondiale, il problema non sia solo nazionale ma vada letto in chiave globale cosa che ripropone il problema delle regole che governano i mercati e della loro qualità. Se tale tema di riflessione è emerso già in tempi di pace, nell’attuale tempo di “guerra” appare ancor più impellente. In questo momento, infatti, le imprese di settori tanto complessi e delicati richiedono l’applicazione di regole comuni, immediate, certe e, pur se con effetti limitati nel tempo, contraddistinte da un forte pragmatismo.

Lo spirito delle brevi riflessioni che seguiranno, si orienta proprio nel senso di verificare se i poteri regolatori degli organismi di vigilanza finanziaria europei siano adeguati a far fronte alla situazione emergenziale che dobbiamo affrontare.

2. L’esigenza di cerare regole comuni applicabili omogeneamente nell’ambito del mercato interno europeo, hanno riguardato anche i comparti finanziari che, proprio per le loro caratteristiche intrinseche, richiedono il supporto regolatorio di Autorità di settore europee (cfr., sul punto, CHITI, E.: Le agenzie europee. Unità e decentramento nelle amministrazioni comunitarie, Padova, 2002; TOVO, C.: Le agenzie decentrate dell’Unione europea, Napoli, 2016). Queste, infatti, hanno il delicatissimo compito di sorvegliare il regolare andamento dei mercati, facilitare l’uniforme applicazione delle regole europee, coordinare le singole autorità domestiche di settore e fare, in un certo senso, da collettore rispetto alle stesse.

L’esigenza di supervisori europei si è posta, con particolare urgenza, proprio a seguito della crisi finanziaria del 2007 che aveva posto a nudo le carenze sotto tale profilo stimolando riforme che permettessero al sistema di prevenire situazioni di crisi e di gestirle nella maniera più adeguata possibile. Quello della vigilanza europea appare, sotto questo profilo, un percorso in continuo divenire condizionato da un lato dalle “gelosie” dei singoli Stati membri che tendono a mal tollerare cessioni di sovranità soprattutto in settori strategici dell’economia e, dall’altro, dalla chiara esigenza di affrontare le moderne sfide finanziare ad un livello istituzionale superiore. Proprio la consapevolezza che una vigilanza esclusivamente nazionale – che continua ad essere fondamentale in quanto particolarmente indicata ad affrontare le problematiche emergenti all’interno dei peculiari mercati nazionali – non permetta di cogliere ed affrontare le sfide globali della finanza ha portato ad un progressivo rafforzamento degli strumenti europei di vigilanza. Sulla scorta delle considerazioni contenute nel Rapporto de Laroisier inizia la trasformazione dei comitati tecnici in vere e proprie Agenzie europee competenti ciascuna per il proprio mercato di riferimento (v., sul punto, GODANO, G.: “Le nuove proposte di riforma della vigilanza finanziaria europea”, in Dir. Un. eur., 2010, pp. 75 ss.).

Di qui la nascita del “Sistema europeo di vigilanza finanziaria” (con i regolamenti UE 1093/2010, UE 1094/2010 e UE 1095/2010 – per come da ultimo modificati con regolamento UE 2019/2175 – nascono, rispettivamente EBA, EIOPA ed ESMA; con il regolamento UE 1092/2010 – da ultimo modificato con regolamento UE 2019/2176 -, invece, è stato istituito il Comitato europeo per il rischio sistemico con competenze prevalentemente macroprudenziali) che di fatto, concretizzando pur se con intensità diverse una cessione della sovranità degli Stati in favore di organismi europei, doveva avere la funzione di dare risposte regolatorie comuni nei settori finanziari (v., in generale, D’AMBROSIO, R.: “Le autorità di vigilanza finanziaria dell’Unione”, in Dir. banca merc. fin., 2011, pp. 109 ss.; CHITI, E. e VESPERINI, G. (coord.): The Administrative Architecture of Financial Integration. Institutional Design, Legal Issues, Perspectives, Bologna, 2015 e, con specifico riferimento alla vigilanza bancaria, POLITI, F.: “Le funzioni della vigilanza bancaria nella BCE nelle dinamiche delle istituzioni europee e nei rapporti fra Unione europea e Stati membri, in Dir. pubbl. comp. Eur., 2018, pp. 1035 ss.)”.

Un sistema di vigilanza che, pur essendo stato criticato fin dall’origine per l’eccessiva timidezza con la quale perseguiva l’obiettivo della centralizzazione su base europea della vigilanza nei mercati, ha avuto il merito – pur se con i limiti che a breve si vedranno – di stimolare una uniforme applicazione delle regole europee, della creazione di comuni standard di vigilanza al fine di evitare il fenomeno del c.d. gold plating che portava le singole Autorità domestiche a “personalizzare” le regole comuni adattandole alle specificità del proprio mercato (GODANO, G.: “Le nuove proposte di riforma della vigilanza finanziaria europea”, cit., pp. 80 ss.).

Nonostante i pregevoli risultati raggiunti, viene da alcuni segnalato il problema relativo alla efficienza di un tale modello di vigilanza decentrato reso particolarmente complesso dalla necessità di costante coordinamento dell’attività svolta in senso allo stesso con quella portata avanti dalle agenzie domestiche cui spetta, evidentemente, il ruolo di tradurre poi in vincoli tecnici le regole europee (MACCHIA, M.: “Modelli di coordinamento della vigilanza bancaria”, in Riv. trim. dir. pubbl., 2016, pp. 367 ss.).

Va dunque verificato se tale modello, nato dalle esigenze fatte emergere da una crisi nata ed esplosa nell’ambito della finanza, risulti oggi idoneo a gestire correttamente una nuova crisi. Nuova non soltanto perché più recente ma, soprattutto, perché non individua le sue origini in carenze o leggerezze interne al sistema finanziario. È una crisi esogena che, tuttavia, richiede regole rapide e comuni al fine di mitigarne gli effetti.

3. Nonostante le peculiarità che caratterizzano le tre agenzie europee (per quanto riguarda l’EBA v. ANTONIASSI, S.: “L’Unione bancaria europea: i nuovi compiti della BCE di vigilanza prudenziale negli enti creditizi ed il meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie”, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2014, pp. 359 ss.; per quanto riguarda l’ESMA v. MAGLIARI, A.: “La proposta di riforma delle Autorità europee di vigilanza. Verso un ulteriore accentramento delle funzioni di vigilanza al livello sovranazionale: prospettive e problemi”, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2018, pp. 391 ss.; per quanto riguarda EIOPA v. MARIANI, P.: “Evoluzione e nuovo assetto del sistema di regolamentazione e vigilanza del mercato assicurativo in Italia tra diritto nazionale e diritto dell’Unione europea”, in Dir. comm. int., 2017, pp. 365 ss.) un dato comune può essere evidenziato e risiede, fondamentalmente, nel carattere tendenzialmente non vincolante degli interventi regolatori posti in campo da tali soggetti.

Alla luce dei regolamenti istitutivi, cioè, pur non essendo radicalmente da escludere interventi a carattere vincolante, il ruolo svolto da parte delle tre Autorità di supervisione è quello di contribuire all’elaborazione di norme tecniche e prassi comuni di regolamentazione e di vigilanza e, tutto ciò, dialogando con le istituzione UE. Dialogo che avviene fornendo pareri o elaborando orientamenti, raccomandazioni o progetti di norme tecniche. A ciò si aggiunga lo sforzo che le stesse devono attuare al fine di giungere ad una applicazione uniforme degli atti vincolanti UE evitando arbitraggi normativi e contribuendo, quindi, alla creazione di una comune cultura della vigilanza (in questo senso, v. l’art. 8 della dir UE 1093/2010, l’art. 8 della dir. UE 1094/2010 e l’art. 8 della dir. UE 1095/2010).

Oltre che in ossequio al dato normativo, tale soluzione sembra imporsi di fatto a causa del peso che continuano ad avere – in seno alle singole Agenzie – le istanze nazionali che, non sempre coincidenti, portano sovente all’elaborazione di soluzioni di compromesso che, evidentemente, mal tollerano di venir veicolate attraverso atti con natura vincolante. (FERRAN, E.: “The Existential Search of the European Banking Authority”, in Eur. Business Org. Law Review, 2016, 17, p. 285 ss.).

In tale quadro istituzionale, le Agenzie di supervisione sembrano preferire parlare agli attori del mercato attraverso atti di soft law (specifici riferimenti in SCHEMMEL, J.: “The ESA guidelines: soft law and subjectivity in the european financial market – Capturing the administrative influence”, in Indiana journal of legal studies, 2015, pp. 455 ss.) che, nonostante la loro assenza di vincolatività, hanno senza dubbio una forte capacità persuasiva ed un sicuro impatto – almeno in tempi di assenza di particolari stress di mercato – in termini di corretta regolamentazione del mercato di riferimento.

Ci si trova, cioè, di fronte a provvedimenti – spesso estremamente dettagliati e sovente dal contenuto tecnico – che tuttavia non pongono obblighi giuridici di conformazione in capo ai destinatari della norma. Da tale dato discente, quale logica conseguenza, l’assenza di sanzioni giuridiche derivanti dal mancato spontaneo adeguamento al precetto la cui violazione, però, espone il trasgressore a conseguenze negative “imposte” dal mercato. Tali anfibie caratteristiche rappresentano, contestualmente, tanto il punto di forza quanto quello di debolezza di tali provvedimenti la cui rilevanza giuridica, pur in assenza di precettività, si lascia particolarmente apprezzare proprio nell’àmbito dei mercati regolamentati (AMOROSINO, S.: “Trasformazione dei mercati, nuovi modelli regolatori e mission del diritto dell’economia”, in Dir. econ., 2016, pp. 341).

Non vi è dubbio, in generale, che la maggiore flessibilità garantita da tali provvedimenti li renda particolarmente appetibili in tutte le circostanze nelle quali le problematiche ordinamentali da affrontare richiedano approcci disciplinari meno rigidi e, quindi, maggiormente idonei ad adattarsi a scenari in corso di rapida evoluzione. L’informalità che caratterizza tali provvedimenti, poi, li rende tempestivi strumenti di intervento, pur se soft, per far fronte ad esigenze immediate. Da altri, ancóra, è stata evidenziata la capacità di tali provvedimenti a rendere maggiormente efficienti mercati già competitivi stimolando di fatto i destinatari della norma ad adottare condotte sempre piú virtuose (LEMMA, V.: “Best practices ed altri aspetti della “soft law”, in Mondo bancario, 2006, pp. 9 ss.; ID.: “Soft law e regolazione finanziaria”, in Nuova giur. civ. comm., 2006, pp. 600 ss.).

Va inoltre segnalato come l’assenza di formale precettività non rende neutra sotto l’aspetto “sanzionatorio” la violazione di tali provvedimenti. Il profilo dipende, per ovvie ragioni, dalla tipologia di provvedimento di soft law. Tali disposizioni si differenziano infatti, non tanto per il distinto nomen juris che di volta in volta assumono nei diversi mercati, quanto per le funzioni che assolvono.

In questo senso, ad esempio, i provvedimenti di moral suasion che contengono degli inviti rivolti ai soggetti vigilati a tenere comportamenti adeguati, spingono i destinatari ad uniformarsi agli stessi data la capacità persuasiva dell’autorità che li emana e l’interesse che hanno i soggetti vigilati ad uniformare le proprie condotte al fine di non ricevere un giudizio negativo dai Vigilanti e dal mercato. In altre circostanze i provvedimenti di soft law hanno una portata “preparatoria” avendo quale obiettivo quello di portare gradualmente i destinatari delle disposizioni ad uniformarsi a vincoli che, di lí a poco, verranno introdotti attraverso norme vincolanti [CAPRIGLIONE, F.: “Fonti normative”, in AA.VV.: L’ordinamento finanziario italiano (a cura di F. CAPRIGLIONE), 2ᵃ ed., Padova, 2010, pp. 41 ss.]. Tale funzione perseguita tramite atti di soft law appare di estremo rilievo all’interno dei mercati regolamentati nei quali ogni cambiamento normativo richiede un congruo tempo di decantazione per garantire ai soggetti vigilati di modificare la propria struttura e le proprie prassi e, contestualmente, necessita disposizioni sufficientemente dettagliate per permettere ai soggetti vigilati di iniziare il percorso che li porterà ad essere complaint.

In altri casi ancóra, le Autorità offrono attraverso tali provvedimenti chiarimenti di natura interpretativa circa disposizioni vincolanti già emanate. Con tali atti, di fatto, i Vigilanti offrono una sorta di interpretazione “autentica” della norma o, detto in altri termini, offrono evidenza di come applicheranno la disposizione interpretata in sede di vigilanza. Appare evidente anche in questo caso, e forse in maniera ancor piú incisiva, come tali atti non abbiano solo una portata ermeneutica ma rechino un invito a conformarsi alla disposizione principale dandole, però, il significato suggerito dal Vigilante (ANNUNZIATA, F.: “Interpretare o legiferare? Le comunicazioni persuasive delle Autorità di controllo sui mercati finanziari” in Riv. soc., 1995, pp. 896 ss.).

4. In questo quadro vanno a collocarsi gli interventi regolatori che, stimolati dalle impellenti esigenze generate dal propagarsi della pandemia, hanno visto le Autorità di supervisione chiamate ad assumere decisioni dettate dall’obiettivo di preservare la stabilità dei rispettivi mercati interni e di mitigare le esternalità negative prodotte nei singoli comparti.

Non è intenzione di queste brevi riflessioni quella di individuare nel dettaglio il contenuto dei singoli interventi regolatori adottati dalle Autorità ma basti qui segnalare, ai fini della presente trattazione, che il contenuto dei suddetti atti appare estremamente eterogeneo – anche in funzione delle peculiarità del singolo mercato – riguardando inviti a tenere in considerazione l’impatto della pandemia sulla tutela del cliente (anche in relazione alle procedure di product governance), la necessità di una più attenta disclosure sui prodotti, l’esigenza di valutare con maggiore prudenza – ma con flessibilità – i requisiti patrimoniali dei soggetti vigilati, l’opportunità di evitare o limitare la distribuzione di dividendi ecc.

Si tratta di Statement e Guidelines che da un lato incidono, come accennato, su aspetti centrali dei soggetti vigilati ma che, dall’altro, assumono le consuete forme della raccomandazione che, pur se autorevolmente formulata, deve poi essere filtrata dalle Autorità domestiche e dai soggetti vigilati che ne adatteranno forme e contenuti alle specifiche esigenze del mercato nazionale o del singolo operatore.

Se tale modalità di rule making appare del tutto adeguata in condizioni di mercato normali, nelle quali la linea guida del supervisore può operare in un mercato che si muove in maniera tendenzialmente prevedibile, forse risulta inadeguata quando le turbolenze del mercato richiedono, invece, disposizioni vincolanti che obblighino tutte le autorità domestiche europee e tutti soggetti vigilati ad uniformarsi alle stesse.

Ciò risulterebbe maggiormente opportuno sia perché permetterebbe di gestire al livello comunitario una crisi economica che – probabilmente – non ha precedenti in quanto a dimensioni e fattori scatenanti, sia perché si eviterebbe di creare disequilibri regolatori fra gli Stati membri. Le disposizioni menzionate, infatti, a seconda di come e se vengono seguite dai singoli operatori nazionali possono produrre una arbitraggio normativo che, di fatto, potrebbe produrre degli svantaggi competitivi in funzione della più o meno rigida applicazione delle raccomandazioni da parte dei singoli mercati nazionali.

La creazione della regola, in questi casi, presuppone infatti l’apporto collaborativo dei destinati della stessa che, persuasi dal fatto che non rispettare le raccomandazioni potrebbe determinare un pregiudizio per lo stesso all’interno del mercato, allineano le proprie condotte e le proprie scelte a quanto previsto del supervisore europeo. Tale capacità di indurre i soggetti economici a collaborare con le statuizioni dell’Agenzia europea, però, potrebbe perdere il suo mordente in situazioni di crisi nelle quali gli stessi operatori devono fare i conti con le eterogenee peculiarità del mercato nazionale e delle scelte normative che nello stesso vengono imposte per fronteggiare la pandemia.

I poteri regolatori in parola, quindi, nati nell’ambito delle carenze emerse dalla crisi finanziaria del 2007, appaiono idonei ad articolare le regole dei mercati di riferimento in maniera tale da prevenire l’insorgere di turbolenze che nascano da carenze interne al sistema e che, quindi, chiamano lo stesso sistema finanziario ad individuarle ed eliminarle. Rafforzano, per rimanere in tema, il “sistema immunitario” dei mercati che, così rafforzati, dovrebbero essere in grado da soli di reagire alle instabilità alle quali è esposto. Un “organismo” così immunizzato, riprendendo il parallelismo con la triste realtà epidemiologica, non è in grado di rispondere adeguatamente a contagi derivanti da fattori esterni nuovi, esogeni e, probabilmente, non ponderati adeguatamente i quali, di fatto, hanno portato ad una momentanea sospensione di gran parte dei processi economici della realtà produttiva e distributiva.

In tali circostanze, quindi, emerge la necessità di un rafforzamento del carattere vincolante delle regole di mercato. Non si può abbandonare l’efficacia della risposta normativa nei confronti di una crisi tanto pervasiva, alla diversa sensibilità e responsabilità dei singoli attori del mercato. I mercati, soprattutto quelli caratterizzati da una maggiore complessità ed attraverso i quali si realizzano istanze fondamentali delle moderne società, hanno bisogno in queste circostanze di regole comuni certe, vincolanti, pragmatiche e – sicuramente – temporanee che servano a condurre tali comparti economici fuori dalla turbolenza per poi tornare, ovviamente, alla “normalità”.

5. Le riflessioni sopra brevemente riportate lasciano, quindi, emergere delle criticità sotto il profilo dei poteri “normativi” attribuiti dalle Autorità di supervisione europee che sono il frutto, come segnalato, della necessità di mediare fra le esigenze del mercato europeo e le istanze particolaristiche dei singoli Stati membri. Quella descritta appare, però, una posizione necessariamente da rivedere anche alla luce della progressiva riforma del Sistema di vigilanza europeo (su cui v. CARPARELLI, A.: “La riforma delle Autorità europee di vigilanza: verso una nuova architettura”, in Bancaria, 2018) che punta, come segnalato da una parte della dottrina, alla creazione di una Unione dei mercati di capitali al livello europeo – Capital Market Union – (su cui v. PUPO, C.E.: “Information in the Context of Financial Markets and in Particular of Private Placements”, in The Italian Law Juornal, 2019, 1, pp. 287). Tale evoluzione presupporrebbe la necessità di dare un maggior peso alle Autorità di supervisione sia sotto il profilo della vigilanza, sia sotto quello della definizione di regole tecniche comuni (MAGLIARI, A.: “La proposta di riforma delle Autorità europee di vigilanza. Verso un ulteriore accentramento delle funzioni di vigilanza al livello sovranazionale: prospettive e problemi”, cit., pp. 394 s.).

I momenti di crisi servono a mettere a nudo criticità e difficoltà invisibili in altre circostanze. Bisognerebbe quindi sfruttare tali tristi contingenze e cercare di porre le basi per una virtuosa evoluzione del sistema che permetta di affrontare con maggiore consapevolezza, tempestività ed efficienza le future sfide alle quali risultano esposti i mercati regolamentati.

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