Coronavirus e locazioni commerciali.

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Autor: Gabriele Carapezza Figlia, Ordinario di diritto privato, Lumsa-Palermo. Correo electrónico: g.carapezzafiglia@lumsa.it

1. L’emergenza sanitaria da Covid-19 ha determinato la chiusura temporanea della maggior parte delle “attività produttive industriali e commerciali” sull’intero territorio nazionale (art. 1, d.l. 23 febbraio 2020, n. 6; art. 1, d.P.C.M. 11 marzo 2020; art. 1, comma 1, lett. a, d.P.C.M. 22 marzo 2020), provocando una profonda e imprevedibile crisi economica e sociale. Alla diffusione pandemica del virus si è accompagnato il fiorire di una legislazione dell’emergenza, che ha investito anche la disciplina dei rapporti civilistici, ora introducendo immunità e privilegi, quale “fenomeno di esenzione dal diritto comune” (RESCIGNO, P.: “Immunità e privilegio”, in Riv. dir. civ., 1961, I, p. 415 ss., ora in RESCIGNO, P.: Persona e comunità. Saggi di diritto privato, Bologna, 1966, p. 394), ora modificando la disciplina di talune fattispecie contrattuali, senza regolarne altre parimenti bisognose di adeguamento, sì da generare “una nuova forma di incertezza giuridica” (PERLINGIERI, P.: L’uscita dall’emergenza e giustizia civile, in Legalità e giustizia, 1985, p. 1162 ss., ora in PERLINGIERI, P.: Scuole tendenze e metodi. Problemi del diritto civile, Napoli, 1989, p. 238, con riferimento alla legislazione dell’emergenza degli anni ’70 e ’80). Sebbene “la nostra Costituzione non contempl[i] un diritto speciale per lo stato di emergenza” (ha dovuto ricordarlo la Presidente Cartabia, “Relazione sull’attività della Corte costituzionale nel 2019”, p. 25), da più parti ci si è interrogati se, al tempo della pandemia, il diritto privato e, in particolare quello dei contratti, debba “atteggiarsi in termini diversi dal modo in cui è stato concepito e ordinato grazie all’elaborazione plurisecolare dei giuristi” (MACARIO, F.: “Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di “coronavirus””, in Giust. civ., 2020, spec. n. 1, p. 207).

Si osserva, da una parte, che l’ “estremo tecnicismo” e “l’astrazione concettuale” del diritto civile ne determinano un’”impermeabilità ovvero insensibilità alle vicende contingenti” (MACARIO, F.: “Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di “coronavirus””, cit., p. 208) e, dall’altra, che “di fronte a quest’indiscutibile stato di eccezione, il tradizionale armamentario dei rimedi contrattuali è indubbiamente spuntato” (BENEDETTI, A.M., NATOLI, R.: “Coronavirus, emergenza sanitaria e diritto dei contratti: spunti per un dibattito”, in dirittobancario.it, 25 marzo 2020). L’inadeguatezza della disciplina codicistica a rispondere ai bisogni dell’emergenza giustificherebbe, allora, il ricorso da parte della giurisprudenza ai principi costituzionali, prefigurandosi “la costruzione di un diritto dei contratti più solidale”, quale duraturo lascito dell’epoca del Coronavirus (MACARIO, F.: “Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di “coronavirus””, cit., p. 212; v. anche ROPPO ,V. e NATOLI, R.: “Contratto e Covid-19”, in giustiziainsieme.it, 5 maggio 2020).

In altri termini, sembra quasi che la pandemia possa assolvere un ruolo analogo a quello della prima guerra mondiale, che suscitò “la più grande crisi del diritto privato” (VASSALLI, F.: Della legislazione di guerra e dei nuovi confini del diritto privato, (1919) in VASSALLI, F.: Studi giuridici, Milano, 1960, II, p. 387), accordandogli “uno spirito sociale, in contrapposto a quello individualistico” (CARRARA, G.: “La legislazione di guerra e il sistema del diritto privato”, estr. da Riv. int. sc. soc. disc. ausil., 1919, p. 21), scuotendo “concetti ritenuti finora come verità assiomatiche, scoprendo delle lacune nell’ordinamento positivo” (FERRARA, F.: Diritto di guerra e diritto di pace, (1918), ora in FERRARA, F.: Scritti giuridici, I, Milano, 1954, p. 70 s.).

Siamo davvero agli albori di un simile ripensamento concettuale e metodologico? Anche nell’universo del diritto privato rien ne sera plus jamais comme avant? (ma v. HOUELLEBECQ, M., in franceinter.fr, 4 maggio 2020, secondo il quale “Nous ne nous réveillerons pas, après le confinement, dans un nouveau monde; ce sera le même, en un peu pire”). Il lock-down e le altre misure di contenimento del contagio opereranno come il conflitto bellico che, talvolta “ha agito come occasione per accelerare e maturare lo sviluppo di riforme giuridiche”, talaltra “ha provocato il sorgere di princìpi nuovi” o, infine, mediante “l’applicazione giurisprudenziale in condizioni e circostanze particolari ha messo a dura prova concetti e teorie, minandone la resistenza”? (sono ancora le parole di FERRARA, F.: Scritti giuridici, cit., p. 70 s.).

In realtà, l’attuale situazione di crisi – pur richiedendo l’adozione di misure eccezionali che, nel perseguire la tutela della salute individuale e collettiva (art. 32 cost.), inevitabilmente sacrificano, sia pure in modo temporaneo, altri diritti fondamentali (artt. 16, 17, 19, 33, 34, 41, 42 cost.) – non sollecita alcuna radicale trasformazione dell’ermeneutica e della dogmatica giuridica, ma al contrario rivela che, in un ordinamento ispirato a una gerarchia di valori dotati di rilevanza normativa, soltanto un “diritto civile nella legalità costituzionale” (una sintesi in PERLINGIERI, P.: “La dottrina del diritto civile nella legalità costituzionale”, in Rass. dir. civ., 2007, p. 497 ss.) dispone, “in ogni tempo”, di tecniche ermeneutiche in grado di tener conto delle specificità di tutte le fattispecie concrete, comprese quelle dell’emergenza.

In altri termini, nel vigente sistema ordinamentale non è l’esistenza di un preteso “stato di eccezione” a giustificare la diretta applicazione dei principi costituzionali nei rapporti interindividuali. Al contrario, l’emergenza epidemiologica dimostra che solamente l’impiego di un’interpretazione sistematica e assiologica – che, tanto nei tempi ordinari quanto in quelli drammatici della pandemia, adoperi i canoni di proporzionalità, ragionevolezza e bilanciamento degli interessi – è in grado di individuare la normativa più adeguata al singolo caso concreto (PERLINGIERI, P.: “Applicazione e controllo nell’interpretazione giuridica”, in Rass. dir. civ., 2007, p. 307 ss.), del quale occorre riconoscere costantemente “il valore determinante e il suo primato” (LIPARI, N.: “Dottrina e giurisprudenza quali fonti integrate del diritto”, in LIPARI, N.: Il diritto civile tra legge e giudizio, Milano, 2017, p. 42). In questa prospettiva, tesa a ribadire l’unitarietà della metodologia ermeneutica che considera il fatto “sempre come carico di valore” (VIOLA, F.: “La legalità del caso”, in AA.VV.: I rapporti civilistici nell’interpretazione della Corte costituzionale, I, Principi fondamentali, Napoli, 2007, p. 317), è necessario analizzare i problemi suscitati dall’impatto delle misure di contenimento del Covid-19 sui rapporti di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo.

Le locazioni commerciali, infatti, subiscono pesantemente gli effetti dei provvedimenti emergenziali che, disponendo la chiusura forzata delle attività produttive e la limitazione della libertà di circolazione delle persone, si atteggiano quale factum principis che può ostacolare l’attuazione del regolamento pattizio di interessi, sì da richiedere all’interprete di verificare, alla luce di una complessa disciplina, la distribuzione tra le parti del rischio dell’impossibilità delle prestazioni.

Non si tratterà, però, di mettere “fatto” e “valore” “l’uno di fronte all’altro in assoluta nudità”, trasformando la tutela giurisdizionale in una “decisione del conflitto” (così IRTI, N.: La crisi della fattispecie, in Riv. dir. proc., 2014, p. 43 s., il quale aggiunge significativamente: “gli “stati di eccezione” e le “emergenze” sono eventi imprevedibili e irriconoscibili, ed escludono di per sé il vincolo logico della fattispecie”), come quando si suggerisce di risolvere quello tra locatore e conduttore sempre a vantaggio del secondo, allo scopo di far prevalere il lavoro sulla rendita (NATOLI, R.: “Contratto e Covid-19”, cit., p. 7).

Tale soluzione – oltre a trascurare che nelle locazioni immobiliari “non è individuabile a priori un contraente debole” (PERLINGIERI, P.: “La tutela del contraente debole nelle negoziazioni immobiliari. Traccia di un possibile convegno”, in PERLINGIERI, P.: Il diritto dei contratti fra persona e mercato. Problemi del diritto civile, Napoli, 2003, p. 328) – non tiene in considerazione che la locazione rappresenta uno dei modi di godimento della proprietà (art. 42 cost.), sì che anche ex parte locatoris ricorre una situazione costituzionalmente protetta, da ammettere a bilanciamento. Ma soprattutto si tratta di un approccio che ambisce a risolvere problemi di giustizia distributiva, con interventi che obliterano la logica retributiva della singola relazione contrattuale, conducendo a quella tirannia dei valori esecrata dalla Corte costituzionale, la quale ammonisce che soltanto un’interpretazione sistematica dei principi costituzionali e degli enunciati normativi ordinari evita tanto la “prevalenza assoluta di uno dei valori coinvolti”, quanto “il sacrificio totale di alcuno di loro” (Corte cost., 23 marzo 2018, n. 58. V, altresì, PERLINGIERI, G.: “Ragionevolezza e bilanciamento nell’interpretazione recente della Corte costituzionale”, in Riv. dir. civ., 2018, I, p. 716 ss.).

2. Nel panorama europeo, le rigide limitazioni imposte dalla lotta contro la pandemia hanno indotto i legislatori di alcuni Paesi ad adottare disposizioni emergenziali, che incidono direttamente sulla disciplina dei rapporti di locazione.

In particolare, in Germania la legge “per la mitigazione delle conseguenze della pandemia Covid-19 nel diritto civile, fallimentare e della procedura penale” del 27 marzo 2020 esclude, con norma inderogabile in senso sfavorevole ai conduttori, la risoluzione dei contratti di locazione, nell’ipotesi di mancato pagamento dei canoni dovuti dall’1 aprile al 30 giugno 2020, purché sia provato in modo attendibile il nesso di causalità tra l’inadempimento e gli effetti della pandemia (art. 5). In Francia, poi, l’ordonnance n° 2020-316 del 25 marzo 2020 dispone che, quanto alle locazioni di “locali professionali e commerciali”, i conduttori, purché persone fisiche o giuridiche che esercitino un’attività economica, non si considerano responsabili per la mancata corresponsione dei canoni nel periodo compreso tra “il 12 marzo 2020 e la scadenza di due mesi dopo la data di cessazione dello stato di emergenza sanitaria”.

Nell’ordinamento italiano, invece, le uniche disposizioni in materia locativa dettate dalla legislazione emergenziale non hanno natura civilistica. Si tratta, invero, della sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche a uso non abitativo, fino al 30 giugno 2020 (art. 103, comma 6, d.l. 17 marzo 2020, n. 18) e della previsione di un credito d’imposta per botteghe e negozi nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione (art. 65, d.l. 17 marzo 2020, n. 18).

Le agevolazioni tributarie – oltre a riguardare soltanto gli immobili rientranti nella categoria catastale C/1, con esclusione dei laboratori, dei magazzini e dei depositi – presuppongono, da parte del conduttore, l’esatta esecuzione dell’obbligazione di dare il corrispettivo, con il futuro recupero di una parte della somma prestata. La disposizione fiscale, però, non è in grado di illuminare la diversa questione se la pandemia e le relative misure di contenimento possano incidere sull’equilibrio del contratto in corso di esecuzione, atteggiandosi quale sopravvenienza che renda impossibile, anche soltanto temporaneamente, o eccessivamente onerosa l’attuazione del regolamento programmato in un altro scenario.

In effetti, l’art. 91, d.l. n. 6 del 2020 si è preoccupato di regolare i c.d. “inadempimenti emergenziali”, prevedendo che “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.

La norma si riferisce alle ipotesi nelle quali l’inadempimento è reso necessario dall’osservanza di una misura di contenimento. In questi casi, per rispettare i divieti emergenziali, il contraente è costretto a non eseguire la prestazione, con la conseguenza di essere esonerato da responsabilità (lo rileva BENEDETTI, A.M.: “Il rapporto obbligatorio al tempo dell’isolamento: brevi note sul Decreto “cura Italia”, in I Contratti, 2020, p. 213 ss.). Nei contratti a prestazioni corrispettive, tale “immunità” del debitore giustifica da parte del creditore – nonostante l’astratta eseguibilità della propria prestazione – la proposizione di un’eccezione di inadempimento, sì che il rapporto subisce una “sospensione bilaterale” di fonte legale, per tutta la durata dello stato di emergenza (così, persuasivamente, BENEDETTI, A.M.: “Stato di emergenza, immunità del debitore e sospensione del contratto”, in giustiziacivile.com, 29 aprile 2020).

Può ammettersi che l’esecuzione delle locazioni commerciali sia sospesa, così da giustificare l’inadempimento del debitore e liberare il creditore dall’obbligo di eseguire la controprestazione?

Nell’analizzare il profilo causale della locazione commerciale, quale contratto di durata di natura commutativa, risulta arduo prospettare l’applicabilità dell’art. 91, d.l. n. 6 del 2020, che esige un rapporto causale tra inadempimento e rispetto della prescrizione contenitiva del contagio (così, invece, CUFFARO, V.: “Le locazioni commerciali e gli effetti giuridici dell’epidemia”, in Giust. civ., 2020, spec. n. 1, p. 234; ZACCHEO, M: “Brevi riflessioni sulle sopravvenienze contrattuali alla luce della normativa sull’emergenza epidemiologica da Covid-19”, in giustiziacivile.com, 21 aprile 2020, p. 6 s.). L’osservanza dei provvedimenti adottati per fronteggiare la pandemia, infatti, non impedisce l’esecuzione né delle prestazioni del locatore volte a permettere la fruizione della cosa (art. 1575 c.c.), né di quella del conduttore consistente nel pagamento del canone (art. 1587 c.c.). Da una parte, il locatore non viola alcun provvedimento autoritativo garantendo alla controparte il godimento dell’immobile, tanto più che la sospensione delle attività produttive non ha mai operato “se organizzate in modalità a distanza o lavoro agile” (art. 1, comma 1, lett. a, d.P.C.M. 22 marzo 2020, relativo alla c.d. “fase 1”; art. 2, comma 2, d.P.C.M. 26 aprile 2020, relativo alla c.d. “fase 2”), con la conseguenza che, sovente, è la scelta tecnico-produttiva dell’imprenditore a condizionare la continuazione dell’impiego dell’immobile per l’uso convenuto. Dall’altra parte, il conduttore può sempre scegliere una modalità di pagamento rispettosa delle misure emergenziali, dal momento che le obbligazioni pecuniarie possono essere adempiute anche avvalendosi di tecnologie informatiche.

In conclusione, a differenza dei contratti che richiedono la circolazione del debitore sul territorio nazionale o la sua interazione con il creditore, l’adempimento delle obbligazioni nella locazione non pone le parti dinanzi all’alternativa: aut violare le misure restrittive aut eseguire la prestazione.

3. Ad onta della tesi che il diritto contrattuale vigente non offra “sufficienti anticorpi” per gestire gli effetti della pandemia (MACARIO, F.: “Per un diritto dei contratti più solidale”, cit., p. 208), l’interprete può sempre giungere, in sede applicativa, a individuare un’adeguata soluzione dei conflitti tra interessi giuridicamente rilevanti.

Tra l’altro, invocare la necessità di una nuova disciplina della rinegoziazione – quale quella prevista nel recente disegno di legge (Senato della Repubblica, n. 1151) intitolato “Delega al Governo per la revisione del codice civile” (così, MACARIO, F.: “Per un diritto dei contratti più solidale”, cit., p. 210 ss.; CUFFARO, V.: “Le locazioni commerciali e gli effetti giuridici dell’epidemia”, cit., p. 236) – trascura che l’incidenza dell’emergenza Covid-19 e delle relative misure di contrasto non si atteggia, generalmente, a causa di eccessiva onerosità sopravvenuta (nello stesso senso, SALANITRO, U.: “La gestione del rischio nella locazione commerciale al tempo del Coronavirus”, in giustiziacivile.com, 21 aprile 2020, p. 7 s.). In particolare, con riferimento ai contratti di locazione, non si ravvisa alcuna variazione del rapporto di valore tra prestazione e controprestazione, per l’accrescimento dell’una o lo svilimento dell’altra (per l’inquadramento dell’istituto v. GABRIELLI, E.: La risoluzione per eccessiva onerosità, in I contratti in generale, II (a cura di GABRIELLI, E.), Tratt. contr. diretto da RESCIGNO e GABRIELLI, 2ª ed., Torino, 2006, p. 1809 ss.).

I provvedimenti di contenimento della pandemia, piuttosto, introducono proibizioni o limitazioni allo svolgimento di attività produttive che possono incidere sull’attuazione delle locazioni commerciali, sotto forma di una riduzione temporanea (totale o parziale) dell’“uso convenuto” (art. 1575, n. 2, c.c.). L’eccezionale evento sopravvenuto non ostacola semplicemente l’idoneità del bene all’esercizio di una data attività industriale o commerciale, ma impedisce o riduce temporaneamente, in termini oggettivi, l’attitudine dell’immobile a realizzare l’interesse del conduttore a ricavare le utilità che esso può fornire (sul venir meno dell’interesse creditorio v. BIANCA, C.M.: Diritto civile, 4, L’obbligazione, Milano, 1993, p. 543 ss.).

Non si tratta, dunque, di eccessiva onerosità, che deve derivare da un avvenimento che sconvolge l’equilibrio economico dell’affare, provocando, in mancanza del suo ripristino, lo scioglimento del contratto. Diversamente, ricorre un’ipotesi di temporanea impossibilità totale o parziale di utilizzazione della prestazione da parte del conduttore (per le differenze tra eccessiva onerosità e impossibilità sopravvenuta si rinvia a CABELLA PISU, L.: Dell’impossibilità sopravvenuta, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, a cura di F. GALGANO, Bologna-Roma, 2002, p. 20 ss.).

Quantunque la prestazione-attività del locatore sia eseguibile, poiché la legislazione emergenziale non pone impedimenti che gli precludano di attuare quanto dovuto, il conduttore non può conseguire la prestazione-risultato per una causa di forza maggiore, che produce una frustrazione dell’interesse creditorio (in tema v. FERRANTE, E.: “Causa concreta ed impossibilità della prestazione nei contratti di scambio”, in Contr. impr., 2009, p. 157 ss.).

4. Il virus e le relative misure di contenimento costituiscono, pertanto, la fonte di un’impossibilità temporanea totale o parziale di utilizzazione della prestazione da parte del creditore, correntemente ricondotta alla disciplina dell’impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c. ss. (in dottrina, v. DELFINI, F.: Dell’impossibilità sopravvenuta, in Cod. civ. Comm. SCHLESINGER e BUSNELLI, Milano, 1990, p. 45 s. Nella più recente giurisprudenza, Cass., 10 luglio 2018, n. 18047 allarga l’ambito applicativo della risoluzione per impossibilità sopravvenuta “a tutti i casi, meritevoli di tutela, in cui sia impossibile, per eventi imprevedibili e sopravvenuti, utilizzare la prestazione oggetto del contratto”). Se il godimento dell’immobile viene completamente a mancare per effetto delle misure emergenziali (come accade, ad esempio, per le attività produttive che non possono essere organizzate in modalità a distanza, quali, tra le altre, i servizi dei parrucchieri e i trattamenti estetici), si tratterà di un’impossibilità temporanea totale della prestazione, assoggettata alla disciplina dell’art. 1256, comma 2, c.c. Pertanto, “finché essa perdura”, il locatore è esonerato da responsabilità e, in virtù del nesso di corrispettività, non è dovuta la controprestazione del conduttore (PERLINGIERI, P.: Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Comm. c.c. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1975, p. 496 ss., al quale si deve la definitiva dimostrazione della compatibilità tra obbligazioni di durata e impossibilità temporanea).

Nei contratti sinallagmatici, invero, l’impossibilità temporanea di una prestazione sospende l’efficacia del contratto (v., per tutti, CABELLA PISU, L.: Dell’impossibilità sopravvenuta, cit., p. 140 e dottrina ivi richiamata), sì che il conduttore potrà opporre un’eccezione di inadempimento alla pretesa di pagamento del canone avanzata dal locatore (ROPPO, V.: Il contratto, in Tratt. dir. priv. IUDICA e ZATTI, 2ª ed., Milano, 2011, p. 937, il quale evidenza che il rimedio di cui all’art. 1460 c.c. prescinde dall’imputabilità dell’inadempimento), con la ripresa degli effetti contrattuali programmati al cessare dei provvedimenti emergenziali.

La prospettata soluzione della sospensione del contratto, con la legittimazione del conduttore a interrompere il pagamento del canone, appare conforme a un consolidato orientamento giurisprudenziale che, in applicazione del principio inadimplenti non est adimplendum, ogni qualvolta manchi completamente la prestazione del locatore (anche per causa non imputabile: Cass., 10 luglio 2018, n. 18047), permette all’altra parte, privata del godimento dell’immobile, di rifiutare l’esecuzione della controprestazione (Cass., 22 settembre 2017, n. 22039; Cass., 1 giugno 2006, n. 13133; Cass., 13 luglio 2005, n. 14739; Cass., 11 febbraio 2005, n. 2855).

Quantunque, al mitigarsi della pandemia, le misure di contenimento siano destinate a essere rimosse, l’impossibilità da temporanea diviene definitiva, secondo il capoverso dell’art. 1256 c.c., quando, in relazione agli interessi dedotti nel concreto rapporto, la prestazione residua si prospetti inutile per il conduttore (v. PERLINGIERI, P.: Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, cit., p. 505). Invero, la differenza tra impossibilità temporanea e definitiva è frutto di una “valutazione teleologico-funzionale” (PERLINGIERI, P.: Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, cit., p. 505), sì da potersi considerare estinta l’obbligazione e risolto il contratto di locazione, se la disfunzione prodotta dall’evento emergenziale è tale da influire sull’intero rapporto, facendo venir meno l’interesse del conduttore a conseguire le prestazioni ancora possibili.

5. La temporanea sospensione delle attività produttive, in altri casi, non impedisce totalmente il godimento dell’immobile locato, ma ne realizza una riduzione o limitazione, come accade quando le stesse attività possono proseguire “organizzate in modalità a distanza” (art. 1, comma 1, lett. a, d.P.C.M. 22 marzo 2020; art. 2, comma 2, d.P.C.M. 26 aprile 2020). La prestazione del locatore dovrà considerarsi, dunque, parzialmente impossibile, con la conseguente applicabilità degli artt. 1258 e 1464 c.c. (ammessa anche nei contratti di durata: PAGLIANTINI, S.: Dell’impossibilità sopravvenuta, in Dei contratti in generale, a cura di E. NAVARRETTA E. e A. ORESTANO, Torino, 2011, p. 564 ss.).

La necessità di salvaguardare la proporzionalità dello scambio, compromessa dalla riduzione del godimento dell’immobile, per effetto dell’evento sopravvenuto, si realizza adeguatamente mediante il meccanismo di riequilibrio previsto dall’art. 1464 c.c.

L’automatico effetto estintivo dell’impossibilità sopravvenuta sulla prestazione del locatore parzialmente ridotta si propaga sulla controprestazione del conduttore, che subisce un’altrettanto automatica riduzione (SACCO, R., DE NOVA, G.: Il contratto, II, in Tratt. dir. civ. SACCO, Torino, 1993, p. 654; CABELLA PISU, L.: Dell’impossibilità sopravvenuta, cit., p. 155 s.). Egli, dunque, sarà tenuto semplicemente a rilasciare alla controparte una dichiarazione stragiudiziale, con la quale faccia valere la riduzione, sì che il ricorso all’autorità giudiziaria risulta soltanto eventuale e successivo, in quanto subordinato alla contestazione dell’an o del quantum della diminuzione da parte del locatore (cfr., con riferimento all’inadempimento del locatore che riduca la possibilità di godimento dell’immobile, senza escluderla, Cass. 29 marzo 2019, n. 8760; Cass., 26 luglio 2019, n. 20322, le quali, mutando un consolidato indirizzo negativo, fondano sul principio di proporzionalità e sulla clausola di buona fede, l’opponibilità dell’eccezione di inadempimento da parte del conduttore allo scopo di ridurre la misura del canone dovuto).

La soluzione della riduzione in autotutela della prestazione – lungi dal favorire “comportamenti opportunistici del conduttore” (così, invece, SALANITRO, U.: “La gestione del rischio nella locazione commerciale al tempo del Coronavirus”, cit., p. 9, secondo il quale è indispensabile l’intervento giudiziale, in virtù dell’applicazione analogica degli artt. 1578 e 1584 c.c., in materia di vizi e riparazioni della cosa locata, che tuttavia non trova giustificazione per l’assenza di lacune) – rappresenta un rimedio correttivo che ripristina l’equilibrio del contratto, assicurando l’effettività della tutela (sulla quale VETTORI, G.: “Persona e mercato ai tempi della pandemia”, in Pers. merc., 2020, 1, p. 8), per di più in un periodo di generale sospensione della giustizia civile (art. 83, d.l. n. 18 del 2020, analizzato da MAFFEIS, D.: “Problemi dei contratti nell’emergenza epidemiologica da Covid-19”, in giustiziacivile.com, 10 aprile 2020, p. 3).

Accanto alla riferita forma di protezione di carattere manutentivo, qualora il conduttore non abbia più un interesse apprezzabile all’adempimento parziale, secondo l’art. 1464 c.c., potrà esercitare, ancora in autotutela, il diritto di recesso dal contratto di locazione, conseguendo la rimozione del vincolo e la liberazione dall’obbligazione di pagamento del canone.

Il problema è, però, rappresentato dal criterio di controllo sulla giustificazione della decisione di recedere dal contratto. Comunemente si subordina la legittimità del recesso alla sua conformità a buona fede (v., per tutti, MACARIO, F.: La risoluzione per impossibilità sopravvenuta. Principi e regole generali, in Tratt. contratto ROPPO, V, Rimedi, 2, Milano, 2006, p. 571 ss.). Non di meno, oltre a richiedersi una necessaria (ma generica) valutazione di conformità al programma contrattuale della pretesa a preferire il rimedio di scioglimento a quello conservativo della riduzione (v. CABELLA PISU, L.: Dell’impossibilità sopravvenuta, cit., p. 160 s.), è indispensabile approfondire quando in concreto sia legittima la scelta ablativa del conduttore, che subisca una riduzione del godimento dell’immobile per effetto delle misure emergenziali.

In questa prospettiva, si presentano piuttosto ridotti i margini dei quali dispone il conduttore per risolvere, in via stragiudiziale, la locazione commerciale. Il richiamo compiuto dall’art. 1464 c.c. all’ “interesse apprezzabile” va inteso, infatti, nel senso di ammettere al recesso il creditore della prestazione parzialmente impossibile, soltanto quando la porzione che residua produca un’utilità contrattuale diversa da quella dedotta nella concreta operazione economica (in questo senso, PAGLIANTINI, S.: Dell’impossibilità sopravvenuta, cit., p. 590 ss.). Pertanto, l’opzione del recesso, in luogo della riduzione del canone, è da considerarsi giustificata, ogni qualvolta, nello scenario mutato dalla pandemia, la fruizione ridotta del bene locato è inidonea a soddisfare l’interesse del conduttore desumibile dal regolamento contrattuale.

6. In conclusione, le locazioni commerciali costituiscono un osservatorio privilegiato per dimostrare che il vigente diritto contrattuale, interpretato secondo ragionevolezza, non “è impotente” (in tal senso, invece, GENTILI, A.: “Una proposta sui contratti d’impresa al tempo del Coronavirus”, in giustiziacivile.com, 29 aprile 2020, p. 10), ma appare in grado di offrire soluzioni adeguate ai problemi suscitati dall’emergenza sanitaria.

Lungi dall’invocarsi un “intervento del legislatore” che detti “un autentico diritto dei contratti dell’emergenza” (così, SCOGNAMIGLIO, C.: “L’emergenza Covid 19: quale ruolo per il civilista?”, in giustiziacivile.com, 15 aprile 2020, p. 9), occorre richiamarsi, anche nei tempi della pandemia, all’ “operosità intermediativa” degli interpreti che, non attendendo il comando legislativo piombante dall’alto, assicurano perennemente la coerenza dell’ordinamento al divenire storico (GROSSI, P.: L’invenzione del diritto, Roma-Bari, 2017, p. 124).

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