Il “diritto di visita” tra misure di contenimento del contagio e interesse dei figli

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Autora: Loredana Tullio, Associato di diritto privato, Università degli Studi del Molise, Correo electrónico: loredana.tullio@unimol.it

1. La rapida diffusione del Covid-19 nei diversi Continenti e la successiva qualificazione del fenomeno quale “pandemia” da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, avvenuta lo scorso 11 marzo 2020, hanno spinto i governi dei vari Stati ad adottare una serie di misure dirette a tutelare la salute dei cittadini e a disporre il contenimento del contagio.

Ampio è il novero delle libertà esistenziali poste “in quarantena” e molteplici sono le questioni sollevate, in diversi àmbiti disciplinari sia sulla legittimità degli atti vólti a imporre tali restrizioni sia sulla idoneità e ragionevolezza dei loro contenuti. (Per un quadro dell’impatto delle diverse misure disposte nei vari Stati membri dell’Unione europea, cfr. Bollettino n. 1 dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali (FRA), Coronavirus Pandemic in the EU – Fundamental Rights Implications, 20 marzo 2020).

Nel rispetto dei princìpi di adeguatezza e di proporzionalità dinanzi al rischio di diffusione del contagio, esistente nelle diverse parti del territorio nazionale italiano, tali misure hanno inciso (e continuano tuttora a produrre i loro effetti) su quasi tutti i diritti fondamentali costituzionalmente garantiti. A subire limitazioni “per ragioni sanitarie” sono stati non soltanto “la libertà di circolazione” – come inizialmente ha inteso far credere il Preambolo del D.l. 25 marzo 2020, n. 19, e dunque gli spostamenti da un luogo all’altro del territorio nazionale (art. 16 cost.) – ma, a cascata, tutta una serie di altri diritti: non potendo circolare non ci si riunisce, non si va nei luoghi di culto o al cinema, né a lavorare; soppresso temporaneamente è il diritto allo sciopero mentre talune attività commerciali, la maggior parte, fermano la loro produzione; lo stesso diritto all’istruzione e alla cultura si plasmano di nuove modalità “a distanza” e, intanto, la quarantena individuale impone di restare in casa limitando di fatto la libertà personale in assenza di un atto dell’autorità giudiziaria che la giustifichi.

Nuovi vincoli circondano quell’esigenza prioritaria di tutela della salute umana sul piano “strettamente sanitario, ma anche […] comportamentale [e] sociale” (PERLINGIERI, P.: “Il diritto alla salute quale diritto della personalità”, in PERLINGIERI, P.: La persona e i suoi diritti. Problemi del diritto civile, Esi, Napoli, 2005, p. 105). E altri diritti, qui non menzionati, restano, “di riflesso”, ingessati da tali limitazioni; persi nel generale dovere di distanziamento sociale che impone ad ognuno di operare nel rispetto di quell’inderogabile dovere di solidarietà adottando comportamenti idonei a salvaguardare, accanto alla propria salute, quella degli altri.

2. A “patire” le conseguenze di tale isolamento sono stati anche i genitori non collocatari i quali, da un giorno all’altro, si sono visti non soltanto “confinati dal contagio”, lo stesso che ha ingabbiato i tanti rapporti sociali esistenti nel Paese, ma ancor più latamente privati da quelle dinamiche relazionali volte a preservare il legame affettivo con la prole.

Il collocamento materiale del figlio rappresenta da sempre tema centrale in tutte le questioni sorte durante la crisi del rapporto di coppia: la dislocazione fisica del minore, a séguito della dissoluzione del nucleo familiare, impone al giudice di vagliare attentamente e in maniera equilibrata gli interessi in gioco, favorendo l’attuazione di quei diritti fondamentali alla cura, educazione e istruzione che ognuno dei due genitori è chiamato ad attuare (ex art. 30 cost.) (SESTA, M., ARCERI, A.: La responsabilità dei genitori e l’affidamento dei figli, in Trattato di diritto civile e commerciale (fondato da CICU, A. e MESSINEO, F.), Giuffrè, Milano, 2016; SESTA, M.: “Filiazione (diritto civile)”, in Enciclopedia del diritto, Annali, VIII, Milano, 2015, pp. 445 ss.). La scelta, consensuale o giudiziale, di chi tra i due genitori debba essere l’affidatario – di là dall’esercizio della responsabilità genitoriale che può presentarsi in forma congiunta o esclusiva – costituisce un importante passaggio durante la fase patologica del rapporto, giacché determina evidenti conseguenze per tutti i componenti della disgregata famiglia. Il figlio, infatti, sarà chiamato, da quel momento in poi, a condividere gli spazi della casa familiare con una sola figura genitoriale, la presenza della quale diverrà più assidua e, talvolta, sobillatrice di ostilità verso colui (o colei) che è indotto ad allontanarsi da quell’habitat domestico. Allo stesso tempo, il genitore non collocatario sarà tenuto a mantenere relazioni personali e contatti diretti e regolari con il figlio, conservando quella continuità del rapporto indispensabile per l’armonioso sviluppo della personalità di tale soggetto in formazione.

Cómpito, quest’ultimo, di per sé non semplice, in quanto, pur volendo garantire la “qualità” dei tempi di frequentazione nonché l’espletamento delle migliori “modalità” di presenza con ciascun genitore (art. 337 ter, comma 2, c.c.), non sempre le stesse appaiono facilmente praticabili per ragioni legate al lavoro o alla distanza fisica che separa le due residenze (si pensi, ad es., all’ipotesi in cui la casa familiare ove vive il figlio sia in un altro Comune o in un altro Stato rispetto alla residenza del genitore non collocatario). Il provvedimento giudiziale nell’imporre tale collocamento dovrà, dunque, tener conto delle peculiarità del caso concreto, disporre un contenuto più o meno dettagliato su quel “progetto educativo e di cura del figlio, comune anche se separatamente attuato”, e stabilire le modalità di presenza dei figli presso ciascun genitore, definendo un programma ‘gestionale’ della prole che tenga conto di esigenze, abitudini, stili di vita, età, personalità di tutte le persone coinvolte nella fattispecie (PALAZZO, A.: La filiazione, in Trattato di diritto civile e commerciale (fondato da CICU, A., MESSINEO F.), 2 ed., Giuffrè, Milano, 2013, pp. 714 ss.; BASINI, G.F.: “I provvedimenti relativi alla prole”, in AA.VV.: La separazione personale tra coniugi. Il divorzio. La rottura della convivenza more uxorio, t. III, Trattato di diritto di famiglia (diretto da BONILINI, G.), Giuffrè, Milano, 2016, pp. 3101 ss.).

Il genitore non convivente con il figlio, dovendo materialmente abitare in luogo diverso dalla casa familiare è, di fatto, relegato ad un ruolo “secondario”: difficilmente egli inciderà nelle scelte quotidiane della prole, ossia sugli atti di ordinaria amministrazione (ad es. guardare determinati programmi in televisione, mangiare alcuni cibi, giocare con taluni amici, ecc.), pur restando, nell’esercizio della responsabilità genitoriale, coinvolto nelle decisioni di maggior interesse relative all’istruzione, all’educazione e alla salute della stessa (ad es. frequentazione di una scuola pubblica o privata, professione di una fede religiosa, sottoposizione a interventi chirurgici o visite odontoiatriche, ecc.). Ad ogni modo, spetta ad egli il diritto di visita, ossia “il diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo” (art. 5, lett. b, Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980), intrattenendo con egli “regolarmente relazioni personali e contatti diretti” (art. 24, comma 3, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; art. 9, comma 3, l. 27 maggio 1991, n. 176, di ratifica e esecuzione della Conv. di New York sui diritti del fanciullo). Tale diritto-dovere del genitore si pone in stretta relazione con la situazione giuridica dell’interesse del figlio “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori” (art. 337 ter, comma 1, c.c.). Delicata e complessa risulta tuttavia questa attuazione affidata alla collaborazione di entrambi i genitori i quali, possibilmente, concordano tali incontri col figlio scegliendo tempi e luoghi compatibili con gli obblighi scolastici o altre situazioni di godimento del tempo libero filiale.

Tale diritto è stato profondamente condizionato dal diffondersi dell’emergenza pandemica la quale, imponendo divieti e prescrivendo distanziamenti obbligatori ha, di riflesso, ingenerato una sorta di “sospensione” delle frequentazioni tra figli e genitori non collocatari. Sì che, gli spostamenti per raggiungere la prole presso l’altro genitore affidatario oppure per condurli presso di sé, secondo le modalità previste dal giudice a séguito della separazione o del divorzio, pur essendo, in linea di principio, teoricamente consentiti (giacché la decretazione emergenziale non ha previsto una preclusione dell’attuazione delle disposizioni di affido e collocamento dei minori) nella pratica sono stati, il più delle volte, limitati con provvedimenti vólti a salvaguardare il diritto alla salute.

3. In una situazione come quella attuale è apparso, prima facie, ragionevole valutare come prioritario e prevalente il diritto alla salute psico-fisica – del figlio e anche dei genitori – a parziale detrimento del diritto di visita; quasi a riconoscere che, per poter garantire il rispetto della vita privata e familiare (art. 8 Cedu), bisogna innanzitutto proteggere e tutelare la stessa esistenza umana. La salute è intesa, dunque, non solo e non tanto quale diritto costituzionalmente garantito ex art. 32 cost., ma aspetto della persona e, quindi, valore esistenziale posto all’apice della gerarchia assiologica; come tale, da preservare e realizzare (PERLINGIERI, P.: “Principio personalista, dignità umana e rapporti civili”, in Annali SISDiC, 2020, 5, pp. 1 ss.). Tale “centro di gravità” dell’intero sistema ordinamentale “ne ridisegna il volto e le finalità”, propugnandosi quale valore fondativo di un nuovo giudizio di meritevolezza degli enunciati normativi e degli atti volti a regolamentare i rapporti intersoggetivi (SCALISI, V.: L’ermeneutica della dignità, Giuffrè, Milano, 2018, p. 65). È sulla base di tali premesse che la “rilevanza della persona e l’obbligo di rispettarla”, presenti “nel secondo comma dell’art. 32” (RODOTÀ, S.: Il diritto di avere diritti, Laterza, Roma-Bari, 2012, p. 149), si fanno misura di legittimità dell’agire, guidando il giurista-interprete nella scelta da adottare per la migliore composizione dei conflitti esistenti nella materialità dei rapporti in cui ciascuno è collocato e nelle relazioni sociali che lo caratterizzano.

Con tale intento, si è cercato di far luce nella eterogenea rete di limitazioni rovesciate sui rapporti parentali: su quelle libertà fondamentali compresse e sugli effetti che tali restrizioni hanno causato nei delicati aspetti del diritto di famiglia, e più precisamente, sui tempi di permanenza dei minori presso ciascun genitore e sul diritto alla bigenitorialità (SCALISI, A.: “Il diritto del minore alla “bigenitorialità” dopo la crisi o la disgregazione del nucleo familiare”, in Famiglia e diritto, 2007, pp. 526 ss.; PANEBIANCO, M.: “La bigenitorialità tra contrasti interpretativi ed approdi recenti della Corte di Cassazione”, in Comparazione e diritto civile, 2019, pp. 959 ss.).

3.1. A fomentare incertezza e ingenerare dubbi sull’idoneità del comportamento da seguire nei rapporti familiari è stato il convulso susseguirsi dei decreti emergenziali adottati dal Presidente del Consiglio dei Ministri i quali, spinti dall’intento di “contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19”, nella voracità di disciplinare l’emergenza, hanno nel silenzio inteso ‘autorizzare’ e di poi ‘ridimensionare’ la portata degli incontri vólti a garantire la conservazione del legame affettivo tra figli e ascendenti.

Invero, inizialmente sono stati consentiti i soli spostamenti finalizzati a rientri presso il “proprio domicilio, abitazione o residenza” (v. d.P.C.M. 9 marzo 2020, art. 1, che estende all’intero territorio nazionale le misure dettate nel d.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a): formulazione largamente ritenuta non in contrasto con l’attuazione dei provvedimenti preesistenti relativi ai figli. In séguito, adottando misure più restrittive, è stata eliminata la previsione dell’ammissibilità di spostamenti per il rientro presso il proprio domicilio o residenza (d.P.C.M. 22 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. b; efficacia della disposizione prorogata, con d.P.C.M. 1 aprile 2020, sino al 13 aprile) lasciando intendere che lo spostamento del minore/genitore da un Comune ad un altro potesse subire delle limitazioni (a tali disposizioni vanno ad aggiungersi il D.l. n. 19 del 2020, art. 1, comma 2, lett. a e b, e – con lo stesso tenore – quelle del d.P.C.M. 10 aprile 2020, art. 1).

Nel limbo di tale situazione è intervenuta la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri la quale – in risposta alle domande frequenti sulle misure adottate – ha puntualizzato che “[g]li spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti anche da un Comune all’altro” e devono, in ogni caso, avvenire “scegliendo il tragitto più breve e nel rispetto di tutte le prescrizioni di tipo sanitario”, nonché secondo “le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio o […] secondo quanto concordato dai genitori” (v. FAQ 25 aprile 2020, in governo.it/it/faq-iorestoacasa).

Inoltre – in risposta ad altra domanda, sempre in tema di spostamenti, e in linea generale – si precisa che “è vietato trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso, salvo che per comprovate esigenze lavorative, per motivi di assoluta urgenza o per motivi di salute”. Tale precisazione ingenera una palese incoerenza poiché, nel quadro così delineato, vengono a mescolarsi in maniera confusa, da un lato, i diritti dei “genitori separati e/o divorziati” non conviventi con i propri figli e, dall’altro, i diritti dei “genitori non separati” i quali, dopo il 22 marzo 2020, svolgano un lavoro agile o un’attività sospesa in Comune diverso dal luogo di residenza o domicilio. I primi, infatti, possono recarsi presso le abitazioni dei figli e condurli presso di sé, essendo ciò espressamente consentito; i secondi, invece, non possono fare rientro presso la casa familiare e, quindi, incontrare i loro figli che lì abitano.

3.2. Nel tentativo di sciogliere il dilemma su quale potesse essere la soluzione da adottare dinanzi all’affastellarsi di innumerevoli ricorsi presentati da genitori separati, la giurisprudenza ha mostrato, con altalenanti pronunce, di prediligere ora un rigoroso rispetto delle direttive di isolamento al fine di salvaguardare l’immunità degli stessi soggetti coinvolti nella vicenda, ora una meticolosa osservanza degli accordi presi precedentemente dalla ex coppia al fine di non minare la relazione affettiva tra genitore non collocatario e figlio.

Sì che, non sono mancate decisioni volte a considerare il diritto di visita “recessivo” rispetto al primario interesse dei minori a non esporsi al rischio di contagio (App. Bari, 26 marzo 2020): l’emergenza in atto impedirebbe gli spostamenti che – in specie se diretti a consentire incontri dei minori con genitori dimoranti in Comuni diversi da quelli di residenza dei figli – non realizzano le condizioni di sicurezza e prudenza imposte a livello nazionale (Trib. Napoli, 26 marzo 2020; Trib. Vasto, 2 aprile 2020). La pandemia renderebbe, dunque, doverosa l’applicazione di canoni di massima prudenza e sicurezza prescrivendo la riduzione degli incontri (ad esempio, prevedendo un solo giorno settimanale di visita: così, Trib. Bari, 15 aprile 2020) o la loro sospensione (Trib. Matera, 12 marzo 2020; App. Milano, 9 aprile 2020). Ciò, ancor più, là dove sia prescritto che gli stessi avvengano con la necessaria presenza degli operatori del servizio socio-assistenziale e in “spazi neutri”, ossia in strutture pubbliche esposte all’accesso di numerosi utenti, così aumentando considerevolmente il rischio del contagio (Trib. Terni, 30 marzo 2020). In altri casi, ancora, la rimodulazione del regime di collocamento è sembrata la scelta piú idonea (forse non proprio ragionevole) per salvaguardare la salute dei figli (cosí, Trib. Velletri, 8 aprile 2020, ha invertito il collocamento della prole, preferendo l’abitazione paterna, essendo la madre operatrice sanitaria seppur non in prima linea nei reparti Covid).

Diversamente, si è inteso prediligere la continuità del rapporto affettivo genitori-figli in quei provvedimenti mediante i quali, rigettando l’istanza di un genitore volta ad ottenere la limitazione del diritto di visita dell’altro in ragione della situazione derivante dalla pandemia di Covid-19, si è puntualizzato che il rispetto degli accordi presi sul tempo da trascorrere con i figli sia più vincolante delle direttive sull’isolamento (Trib. Milano, 11 marzo 2020; nello stesso senso Trib. Brescia, 31 marzo 2020). Pertanto, “nessuna chiusura di ambiti regionali può giustificare la violazione di provvedimenti di separazione o di divorzio vigenti”, spettando ai genitori, di volta in volta, vigilare responsabilmente per la migliore tutela della salute del minore, adottando tutti gli accorgimenti e le misure igieniche richieste dall’emergenza sanitaria (così, Trib. Roma, 7 aprile 2020, che ammette tali frequentazioni sulla base delle considerazioni che Roma, città di residenza del padre, sia “zona meno a rischio del Trentino Alto Adige”, dove la minore coabita con la madre). Tali spostamenti rientrerebbero, dunque, tra quelli consentiti per “situazioni di necessità” (Trib. Vallo della Lucania, 26 marzo 2020; Trib. Busto Arsizio, 3 aprile 2020; Trib. Torre Annunziata, 6 aprile 2020).

3.3. In tale convulso dipanarsi di divieti e confinamenti, di provvedimenti autorizzativi o meno, non va dimenticato come la fine dell’unione tra due ex coniugi, o ex conviventi, sia spesso accompagnata da forti contrasti i quali, reverberandosi sul rapporto genitore-figlio, innescano una serie di condotte ritorsive a danno della prole. Là dove acceso sia l’antagonismo poi, il risentimento che anima tali divisioni può addirittura condurre il genitore domiciliatario ad ostacolare, direttamente o anche indirettamente (con comportamenti di manipolazione o con l’induzione di sentimenti di avversione verso l’altra figura parentale), i prescritti incontri. La situazione emergenziale ben potrebbe dunque offrirsi, al riguardo, quale giustificazione “mascherata” per impedire le visite e realizzare, a danno del genitore non affidatario, l’epilogo dei suoi (se non diritti) contatti con i figli. Con tali disposizioni governative si è voluto, pertanto, evitare situazioni di prevaricazione di un genitore sull’altro – già sanzionate ex art. 709 ter c.p.c. – e, nel rispetto delle prescrizioni e cautele sanitarie, ammettere la continuità di tali incontri.

Resta ovviamente al senso di responsabilità dei genitori prevedere, in relazione allo specifico caso concreto, l’attuazione o il divieto degli stessi; divieto che ben si giustificherebbe, ad esempio, nel prevalente interesse morale e materiale del minore (CORAPI, G.: “La tutela dell’interesse superiore del minore”, in Diritto delle successioni e della famiglia, 2017, pp. 777 ss.), là dove uno dei genitori sia particolarmente esposto al rischio di contagio per ragioni sanitarie, abitative (es. proveniente dalle inizialmente delineate “zone rosse”), lavorative (es. medico o operatore socio-sanitario), perché convivente con soggetti appartenenti alle categorie più vulnerabili ovvero perché sottoposto alla misura della quarantena dopo aver intrattenuto contatti con persone risultate positive al tampone del Covid-19.

4. Nella consapevolezza del pericolo del contagio nonché dell’importanza assunta – per il corretto e armonioso sviluppo della personalità del minore – dagli incontri con la figura genitoriale non affidataria, da più parti è stata sottolineata l’esigenza di preservare tale relazione anche ponendo in essere incontri “telematici” o “da remoto” (App. Lecce, 20 marzo 2020). In varie occasioni, di là dall’esistenza della pandemia, tali “incontri on line sul web” sono stati riconosciuti dall’autorità giudiziaria quali utili e opportune modalità attraverso le quali consentire a un genitore di mantenere una relazione stabile e continuativa con il proprio figlio, là dove non possa essergli fisicamente vicino (Trib. Nicosia, 22 aprile 2008, in Famiglia e diritto, 2008, pp. 803 ss., con nota di MASCIA, K.: “Affidamento della prole e “diritto di visita on line” del genitore non affidatario”).

Molto spesso, come rilevato dalla stessa Corte di Strasburgo, il “fattore tempo” assume una funzione imponente nei rapporti genitori-figli: l’intempestività o l’inadeguatezza di talune condotte ovvero la mancata o incongrua attuazione dei provvedimenti assunti per garantire tali incontri possono contribuire a far radicare fenomeni quali l’alienazione dal genitore non convivente, la disaffezione da lui, comportando gravi danni allo sviluppo psico-fisico del minore (Corte edu, 2 novembre 2010, n. 36168/09, Piazzi c. Italia; Corte edu, 29 gennaio 2013, 25704/11, Lombardo c. Italia; Corte edu, 23 marzo 2017, n. 71660/14, Endrizzi c. Italia; Corte edu, 4 maggio 2017, n. 66396/14, Improta c. Italia). Un ruolo dunque prezioso è offerto dalla rete: mediante collegamenti in video-ripresa su Internet è possibile annullare le distanze fisiche rafforzando il diritto di visita del genitore non affidatario.

È noto, tuttavia, che tali strumenti messi a disposizione dalla tecnologia possono “tamponare le assenze” ma di cento non sostituire integralmente agli incontri periodici tra figli minori e genitori. Le visite virtuali non sostituiscono la presenza fisica, ma il digitale può concorrere a mantenere un senso di prossimità e di vicinanza: rimedio di estrema utilità in un momento come quello attuale in cui i genitori sono chiamati a mantenere vivo il dialogo con i propri figli, delimitando gli effetti nocivi della distanza sul precario equilibrio delle famiglie (Trib. Trento, 6 aprile 2020; Trib. Vasto, 2 aprile 2020, cit.). Inutile ribadire che trattasi di una soluzione da privilegiare soltanto occasionalmente e per brevi periodi, senza sostituire in toto il diritto di visita del genitore. Come puntualizzato dalla stessa giurisprudenza, nel momento di emergenza sanitaria, l’esercizio del diritto di visita attraverso le videochiamate si pone come un munus rispetto alle modalità ordinarie che trova nell’interesse del figlio la sua funzione e il suo limite (Trib. Terni, 30 marzo 2020, cit.).

5. La legge non tutela soltanto il rapporto tra figlio e genitore, ma garantisce anche quello con gli avi e gli altri parenti di ciascun ramo genitoriale, così proteggendo le relazioni significative per la formazione della personalità del minore (artt. 315 bis, comma 2, e 337 ter, comma 1, c.c.). Complementare a tale situazione giuridica è il diritto dei nonni, ai quali si riconosce la legittimazione attiva davanti al tribunale per i minorenni (ex art. 317 bis c.c.) qualora sia loro impedito di “mantenere rapporti significativi con i nipoti”.

L’emergenza sanitaria ha preso in esame tali disposizioni sia pur ammettendo inizialmente la continuità di tali rapporti come extrema ratio, ossia nelle sole ipotesi in cui i genitori fossero impossibilitati a restare in casa con i figli non potendo usufruire né di modalità di lavoro agile né di congedi. In tali casi, ecco delinearsi la possibilità di “accompagnare i figli dai nonni”, percorrendo “il tragitto strettamente necessario per raggiungerli e recarsi sul luogo di lavoro” (FAQ 25 aprile 2020, cit.), pur nell’avvertenza di star attuando un comportamento “fortemente sconsigliato”, essendo gli anziani tra le categorie di persone più esposte al rischio di contagio. Non sono mancate decisioni, al riguardo, volte a sottolinearne la pericolosità, invitando i genitori (entrambi lavoratori e già coadiuvati dall’ausilio dei nonni per la parziale permanenza dei loro figli) a rimodulare volontariamente il diritto di visita a tutela della neutralizzazione del rischio di pregiudizio alla salute dei propri cari, avvalendosi, anche e preferibilmente, di altre figure ausiliarie, come ad esempio baby-sitter, da remunerare mediante gli eccezionali sussidi statali varati dal Governo (Trib. Bari, 1 aprile 2020).

Alla luce della progressiva normativa emanata in questi giorni – nell’esaminare anche l’ammissibilità, nella c.d. Fase 2, delle visite ai c.dd. congiunti (d.P.C.M. 26 aprile 2020, art. 1, lett. a) – emerge l’attenzione manifestata nei confronti dei rapporti familiari “in senso lato”. Tali relazioni affettive, già prima dell’emergenza pandemica, erano state sottoposte all’attenzione dei giudici di legittimità; in particolare, era stato precisato che “il diritto degli ascendenti di instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni non va riconosciuto ai soli soggetti legati al minore da un rapporto di parentela in linea retta ascendente”, ma anche “ad ogni altra persona che affianchi il nonno biologico del minore, sia esso il coniuge o il convivente di fatto, e che si sia dimostrato idoneo ad instaurare con il minore medesimo una relazione affettiva stabile”, dalla quale quest’ultimo possa trarre un beneficio sul piano della sua formazione e del suo equilibrio psicofisico (Cass., 25 luglio 2018, n. 19780, in Foro italiano, 2018, I, cc. 3565 ss.; v., inoltre, Corte edu, 20 gennaio 2015, n. 107/10, Manuello e Nevi c. Italia). Diritto che, in ogni caso – come in altro contesto precisato – non è incondizionato e assoluto, ma strumentale alla realizzazione del sereno sviluppo della personalità del minore (Cass., 19 gennaio 2015, n. 752): agli ascendenti spetta, infatti, non un vero e proprio diritto di visita, disciplinato con tempi e modalità come per genitori, essendo sufficiente la frequentazione con i nipoti quando questi si trovano con il genitore di riferimento (così, Trib. Venezia, 9 novembre 2016; v., inoltre, BASINI, G.F.: “La nonna, Cappuccetto Rosso le visite: del c.d. “diritto di visita” degli avi”, in Famiglia persone e successioni, 2006, pp. 433 ss.; ARCERI, A.: “Il diritto dei nonni a mantenere i rapporti con i nipoti minorenni al vaglio della Corte Costituzionale”, in Famiglia e diritto, 2014, pp. 810 ss.).

Si è giunti così a delineare, in questa “strana primavera 2020”, dapprima una considerevole riduzione degli incontri in presenza nelle famiglie, accompagnati spesso da un ampio utilizzo dei mezzi di comunicazione a distanza, validi sostegni per la conservazione di quei rapporti significativi; di poi, all’attuazione di una atipica estensione del diritto di visita ai “congiunti”, contrassegnata da avvertenze e raccomandazioni. Non sapendo quando avverrà il “ritorno alla “normalità”, giacché “incerti sono il cammino, e le forme e i tempi, dell’invisibile nemico”, non resta che vigilare attentamente sulla “nostra vita, domestica ed economica, privata e sociale” (IRTI, N.: “Il diritto pubblico e privato in un’epoca che fa eccezione”, in Il Sole 24 ore, 5 maggio 2020), risolvendo i problemi dell’oggi a garanzia di quelle libertà e diritti che – lo si ricorda – “non nascono tutti in una volta”, ma “quando l’aumento del potere dell’uomo sull’uomo, che segue inevitabilmente al progresso tecnico, cioè al progresso della capacità dell’uomo di dominare la natura e gli altri uomini”, giunge a “crea[re] nuove minacce alla libertà dell’individuo oppure consente nuovi rimedi alla sua indigenza” (BOBBIO N.: L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1990, p. XV).

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