Abitazione e “confinamento”. Covid-19, diritto di visita del genitore non affidatario e successione mortis causa nel diritto abitativo

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Autor: Giampaolo Frezza, Ordinario di diritto privato Lumsa-Palermo. Correo electrónico: frezza@lumsa.it

1. Le misure adottate in Italia dal 30 gennaio 2020 ad oggi hanno generato una variegata normativa (http://www.governo.it/it/coronavirus-misure-del-governo, per la loro sequenza temporale) che, in modo più o meno intenso, ha contribuito a denotare e connotare un nuovo rapporto giuridico fra la persona (o i gruppi di persone) e la casa di abitazione. Si può pensare, a tal proposito, ad una relazione che genera una sorta di “confinamento”.

Può essere interessante, allora, indagare quale significato assuma oggi tale concetto relazionale nelle esperienze di vita familiari. Ovviamente si terrà conto delle modifiche che il governo italiano ha introdotto nel passaggio dalla c.d. fase 1, ove le restrizioni alla libera circolazione erano molto significative, alla c.d. fase 2, ove, invece, il “confinamento” assume contenuti (forse) meno stringenti.

Si rende opportuno, innanzitutto, riferire una questione emergente nelle fasi patologiche del ménage familiare o parafamiliare (sulle quali, in generale, GIACOBBE, G. e VIRGADAMO, P.: Il matrimonio, t. II, Separazione personale e divorzio, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco R., Torino, 2011, pp. 200 ss. e pp. 315 ss.) e che attiene all’analisi dei rapporti fra genitori e figli: si tratta della tutela, in simili situazioni di emergenza, del diritto di visita del genitore non affidatario o di quello che non convive con i figli. Il caso prospettato non è solo teorico: come chiariremo, in un solo mese sono stati emessi dai giudici di merito italiani ben quattro provvedimenti (a nostra conoscenza e secondo quanto edito) aventi ad oggetto proprio la tutela del diritto di vista, nel rispetto del principio, immanente nel sistema ordinamentale, della c.d. bigenitorialità.

Cercheremo, inoltre, di analizzare, con specifico riguardo alla c.d. fase 1, il significato che ha assunto la dimora forzata nell’ambito di qualsivoglia forma di relazione affettiva: quelle fondate sul matrimonio, quelle libere, così eterosessuali come omosessuali, quelle parafamiliari formalizzate nelle unioni civili e nelle convivenze more uxorio (l.n. 76 del 2006). L’idea che permea di per sé questa parte dell’analisi sarà, dunque, quella di analizzare il significato giuridico dell’“obbligo di stare in casa” in relazione alle comunioni di vita e familiari latamente intese (FREZZA, G.: “I modelli familiari”, in AA.VV.: I rapporti civilistici nell’interpretazione della Corte costituzionale nel decennio 2006-2016, Napoli, 2018, pp. 413 ss.).

Infine, ci occuperemo delle sorti del diritto abitativo in caso di morte del titolare del diritto di proprietà sulla casa o di quello che possa qualificarsi parte del contratto di locazione.

2. Secondo il piano di lavoro appena illustrato, occorre riferire il contenuto di quattro provvedimenti di merito in tema di diritto di visita del genitore al tempo del coronavirus, che sono stati emanati nella c.d. fase 1.

Una prima decisione del Tribunale di Milano ha garantito la tutela di questa situazione giuridica, ritenendola non incompatibile con le previsioni di cui all’art. 1, comma 1, lettera a), del D.P.C.M. 8 marzo 2020 n. 11, ovvero con le norme che limitavano, a certe condizioni e con riguardo a specifici casi, la mobilità finalizzata a spostarsi e a rientrare presso la propria abitazione: secondo il giudice del merito, tale normativa non precludeva l’attuazione delle disposizioni di affidamento e di collocamento dei minori, con particolare riguardo al diritto di visita del genitore non collocatario. L’argomentazione è stata, poi, ritenuta coerente con le risposte alle F.a.q. diramate dalla Presidenza del C.D.M. in data 10 marzo 2020, che al punto 13 consentivano gli spostamenti per raggiungere i figli minori presso l’altro genitore o presso l’affidatario, secondo le modalità previste, di volta in volta, dal giudice con i provvedimenti di separazione e divorzio (Trib. Milano, sez. IX, decr. 11 marzo 2020, il quale concludeva, peraltro, affermando che, in relazione alle contingenze determinate della diffusione epidemica Covid 19, non sussistevano ragioni per considerare gravi, ai sensi dell’art. 709-ter c.p.c., i comportamenti tenuti dal genitore collocatario).

Non diversa è stata la soluzione cui è giunto il Tribunale di Brescia con il decreto 31 marzo 2020, ove il padre di un minore collocato nell’abitazione della madre, convivente con un nuovo partner, lamentava difficoltà nell’esercizio in concreto del suo diritto di visita, causate dal comportamento attuato dalla coppia, e chiedeva l’applicazione delle misure di cui all’art. 709-ter c.p.c. e la collocazione del figlio presso la propria abitazione. Per converso, la madre domandava al giudice la sospensione delle visite paterne in presenza e la sostituzione con quelle in videochiamata, anche a causa del fatto che, nonostante la situazione di emergenza sanitaria, il padre aveva condotto, durante la sua visita, a passeggio il figlio per recarsi dal tabaccaio.

Secondo il giudice del merito, “le limitazioni alla circolazione per la grave emergenza sanitaria, a tutela della salute personale e collettiva, non incidono sulle disposizioni dei Tribunali quanto alla frequentazione dei figli con il genitore non collocatario, a garanzia del rispetto del principio della bigenitorialità; certo, fatta salva poi la valutazione di ogni singola situazione familiare e la necessità o meno di tutelare i figli dal pericolo di contrarre il Covid 19”. In rapporto al caso concreto, dunque, il giudice ha, correttamente, confermato il diritto di visita del genitore non collocatario, escludendo, dunque, ogni modalità alternativa di frequentazione, e, al tempo stesso, ha ritenuto che il nuovo rapporto di convivenza more uxorio della madre non pregiudicasse l’interesse del figlio di sei anni allo sviluppo corretto della sua personalità, secondo il ben noto, e fin troppo abusato, concetto di best interest of the child (MOSCATI, E.: “Il minore nel diritto privato da soggetto da proteggere a persona da valorizzare (contributo allo studio dell’interesse del minore”), in Dir. fam. pers., 2014, pp. 1141 ss.; GIACOBBE, E.: “Il prevalente interesse del minore e la responsabilità genitoriale. Riflessioni sulla riforma Bianca”, ivi, 2014, pp. 817 ss.; CORAPI, G.: “La tutela del superiore interesse del minore”, in Dir. succ. fam., 2017, pp. 777 ss.; DELLI PRISCOLI, L.: “The best interest of the child nel divorzio fra affidamento condiviso e collocamento prevalente”, in Dir. fam. pers., 2019, pp. 262 ss.).

Interessante notare come tale decisione, nella parte finale delle argomentazioni, si sia atteggiata a monito promozionale, latamente moralizzatore, affermando che “in questo momento di grave emergenza sanitaria che ha cambiato la vita e le abitudini dei cittadini, [il giudice] invita le parti a mettere in atto quel grande senso di responsabilità genitoriale, ancor più auspicato ora, al fine di garantire, pur con modalità diverse, il rispetto della bigenitorialità”.

Di segno opposto è stata, invece, un’ordinanza del 26 marzo 2020 del Tribunale di Bari, che escludeva, con provvedimento certus quando (valevole, cioè, fino al 25 maggio 2020), il diritto di visita del padre. Si argomentava che “gli incontri dei minori con genitori dimoranti in un Comune diverso da quello di residenza dei minori stessi, non realizzano affatto le condizioni di sicurezza e prudenza di cui al D.P.C.M. 9 marzo 2020, ed all’ancor più restrittivo D.P.C.M. 11 marzo 2020, dal D.P.C.M. 21 marzo 2020, e, da ultimo, dal D.P.C.M. del 22 marzo 2020, dal momento che lo scopo primario della normativa che regola la materia, è una rigorosa e universale limitazione dei movimenti sul territorio, (attualmente con divieto di spostarsi in comuni diversi da quello di dimora), tesa al contenimento del contagio, con conseguente sacrificio di tutti i cittadini ed anche dei minori”. Si aggiungeva che, riguardo alla peculiarità del caso concreto, non appariva verificabile, se, nel corso del rientro del minore presso il genitore collocatario, egli potesse essere “esposto a rischio sanitario, con conseguente pericolo per coloro che ritroverà al rientro presso l’abitazione”. Da qui, il bilanciamento dei contrapposti interessi: “il diritto-dovere dei genitori e dei figli minori di incontrarsi, nell’attuale momento emergenziale, è recessivo rispetto alle limitazioni alla circolazione delle persone, legalmente stabilite per ragioni sanitarie, a mente dell’art. 16 della Costituzione, ed al diritto alla salute, sancito dall’art. 32 Cost.”, onde l’interruzione delle visite paterne fino al 29 maggio 2020 e la sostituzione delle stesse, secondo il calendario già stabilito, attraverso lo strumento della videochiamata o Skype, per periodi di tempo uguali a quelli già fissati.

La tecnica del bilanciamento degli interessi è sottesa anche al ragionamento del Tribunale di Terni nel provvedimento del 30 marzo 2020, ove si doveva valutare il riavvicinamento, tramite i Servizi sociali, fra il padre e i figli minori conviventi con la madre in altra abitazione. Quest’ultima, invero, si era allontanata dalla casa familiare a causa dell’asserita violenza del padre nei confronti dei figli, onde, con ordinanza presidenziale, l’attivazione di un percorso volto a ripristinare, con l’ausilio dei responsabili del Servizio socio-assistenziale, le relazioni tra il padre e i tre figli minori in un ambiente neutro, reso, però, impossibile dall’emergenza socio sanitaria.

Secondo il Tribunale di Terni, “nel bilanciamento degli interessi di pari rango costituzionale, quello alla tutela della bigenitorialità (fondato sull’art. 30 Cost. e sull’art. 8 Conv. C.E.D.U.) e quello alla tutela della salute (fondato sull’art. 32 Cost.), occorre individuare una modalità di frequentazione padre figli che pur assicurando il costante contatto, non metta a rischio la salute psico-fisica dei minori”. Tenuto, altresì, in considerazione che alcuni dei figli minori si opponevano a qualsivoglia forma di contatto con il padre, si è previsto che “tali incontri potranno avvenire con modalità da remoto, quali ad esempio video chiamate (skype ovvero con chat, whatsapp, ovvero con ogni altra modalità compatibile con le dotazioni nella disponibilità degli operatori e dei genitori), previa idonea preparazione dei figli, attuata con le medesime modalità, e assicurando che sia l’operatore a mettere in contatto il padre con ciascuno dei figli, assicurando la propria presenza per l’intera durata della chiamata”.

Dall’analisi descrittiva di questi provvedimenti, possono trarsi alcune conclusioni destinate ad operare, per certi aspetti, anche su un piano metodologico.

In materia di affidamento (e di diritto di visita, per quanto qui rileva) occorre, di necessità, riconoscere all’autorità giudiziaria ampia libertà, tenuto conto della peculiarità e della specificità del caso concreto (PERLINGIERI, P: “Fonti del diritto e ordinamento del caso concreto”, in Riv. dir. priv., 2010, pp. 7 ss.).

Nel rispetto della tecnica del bilanciamento dei valori (PERLINGIERI, P.: “Interpretazione e controllo di conformità alla Costituzione”, in Rass. dir. civ., 2018, pp. 593 ss.), appare in ogni caso necessario un rigoroso controllo sulle “restrizioni supplementari” — ovvero quelle apportate alla visita dei genitori — e sulle garanzie giuridiche destinate ad assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita familiare, di cui all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, allo scopo di scongiurare il rischio di troncare le relazioni familiari tra un figlio in tenera età ed uno dei genitori (Corte EDU 9.2.2017, Solarino c. Italia; Cass. 8 aprile 2019 n. 9764, in Dir. fam. pers., 2019, pp. 1052 ss.; Cass. 8 aprile 2016 n. 6919; Trib. Milano, sez. IX, 11 marzo 2016).

In tal modo, può sperarsi che la battaglia dei genitori non affidatari dei figli, che ha visto coinvolte molte associazioni di padri in Europa, con la quale si è arrivati al riconoscimento e all’attuazione del principio della bigenitorialità, non sia compromessa dal “confinamento” oggi imposto, se non per ragioni davvero gravi ed eccezionali.

Si badi che la previsione a favore dei c.d. “congiunti”, introdotta dall’art. 1, lett. a) del D.P.C.M. del 26 aprile 2020, può indubbiamente agevolare la decisione del giudice verso il riconoscimento “pieno” del diritto di visita in presenza del genitore non affidatario, ma non esclude, in assoluto, il rischio che tali provvedimenti possano — in base alla peculiarità caso concreto rapportata all’emergenza sanitaria — limitare provvisoriamente tali incontri o prevederli in modalità telematica.

3. In relazione all’obbligo di “stare in casa”, nella c.d. fase 1 dell’emergenza, è interessante notare come, nelle relazioni familiari e nelle comunioni di vita, esso abbia assunto connotati quanto mai variegati, rendendo innanzitutto “coercitivo” il diritto alla coabitazione disciplinato dagli artt. 143 e ss. c.c. e 11 l.n. 76 del 2016. Si potrebbe, tuttavia, obiettare che tale coercizione era già insita nell’obbligo legale tipizzato nelle fattispecie normative richiamate, ma, come di qui a breve sintetizzeremo, la coabitazione è stata intesa, fino ad oggi, in modo molto elastico, tanto che in dottrina si parla persino della sua totale derogabilità (TOMMASINI, R.: “I rapporti personali nella famiglia”, in Trent’anni dalla riforma del diritto di famiglia, a cura di FREZZA, G., Milano, 2005, pp. 31 ss.). Quanto alla convivenza more uxorio, poi, la coabitazione è un coelemento (oggettivo) costitutivo della fattispecie, insieme a quello soggettivo dell’affectio, onde, con l’emanazione della normativa qui indagata, essa si è dovuta intendere nel significato più ristretto del termine.

Per converso, tale obbligo in alcuni casi è apparso del tutto vanificato, come in quello in cui il coniuge, il partner o l’unito civilmente si siano trovati, al tempo dell’emanazione dei D.P.C.M. afferenti c.d. fase 1, in una dimora diversa da quella abituale e abbiano avuto difficoltà — come informa la stampa d’opinione — di ritornare nella propria casa di abitazione principale.

Tale normativa, allora, ha determinato effetti giustapposti: ha obbligato alla coabitazione, anche oltre la volontà dei partner e, al contrario, ha reso tale convivenza irrealizzabile.
Nulla è stato lasciato alla libera scelta autodeterminativa degli interessati, contrariamente all’opzione valoriale alla quale sembra essere improntato, entro certi limiti, il sistema delle relazioni familiari.

Si pensi alle norme sulla “residenza della famiglia”, concetto quanto mai vago, e qualificato persino come metafora del diritto di famiglia riformato nel 1975, perché il sostantivo “residenza” si riferisce, sul piano giuridico, alla sola persona fisica e non ai gruppi di persone: per questa ragione la dottrina, di volta in volta, ha collegato tale nozione a quella dell’unità familiare, alla coabitazione e, infine, alla mera scelta determinativa dei soggetti interessati. Ma gli esiti qualificativi sembrano essere tutti insoddisfacenti, come in altra sede abbiamo argomentato e a cui rinviamo per gli approfondimenti (FREZZA, G.: I luoghi della famiglia, Torino, 2004, pp. 72 ss.).

Il discorso non cambia là dove si voglia definire la nozione di indirizzo della vita familiare volto a fissare tale residenza: esso segue la regola dell’accordo fra coniugi o partner (si veda, per il matrimonio, l’art. 144 c.c., applicabile, ex art. 11 l.n. 76 del 2006, alle unioni). Tale accordo, però, almeno secondo il nostro punto di vista, non può essere qualificato né come negozio giuridico, né come atto giuridico in senso stretto, ma, all’opposto, rileva quale fatto giuridico caratterizzato dal c.d. ius poenitendi (indicazioni in FREZZA, G., op. cit., pp. 86 ss.) e dal suo costante divenire in rapporto alla libera autedeterminazione dei soggetti interessati, senza alcuna forma di vincolatività o disposività della relativa scelta.

Anche la definizione della coabitazione non appare poi così lineare. Accanto ad una concezione minoritaria che la intende nel suo significato letterale, equivalente a vivere sotto lo stesso tetto, la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie e dominanti, invece, accedono ad un’idea, come dire, più elastica: coabitare è sinonimo di convivere o di tensione a vivere insieme, nel rispetto delle esigenze fattuali dei membri della famiglia. Una nozione, dunque, relativa e frutto della scelta autodeterminata dei soggetti interessati (indicazioni in FREZZA, G., op. cit., pp. 80 ss.).

Quanto sin qui sommariamente descritto porta alla conclusione secondo cui il luogo abitativo nelle convivenze di vita e in quelle familiari — almeno se ci si riferisce alla fase fisiologica del ménage, perché il discorso cambia radicalmente in quella patologica (vedi l’art. 337 sexies c.c.; in dottrina: CARAPEZZA FIGLIA, G., DE VERDA Y BEAMONTE, J.R.: “El derecho de uso de la vivienda familiar en las crisis familiares: comparación entre las experiencias jurídicas española e italiana”, in Revista crítica de derecho inmobiliario, 2015, vol. 752, pp. 3389 ss.) — è legalmente caratterizzato dalla scelta autonoma degli interessati, onde andrebbe indagato come vari D.P.C.M. possano, sul piano delle fonti, aver mutato il contenuto tipico di regole dettate dalla legge, comprimendo le libertà personali.

Se la tutela della salute pubblica e privata (art. 32 Cost.) è destinata a prevalere, di necessità, sulla libera determinazione del singolo (art. 2 e ss. Cost.), la limitazione di quest’ultima, nella sua estrinsecazione rappresentata dalla libertà di circolazione (che nel nostro caso cagiona la compressione anche della dimensione di vita familiare), dovrebbe avvenire solamente tramite fonte primaria (art. 16 Cost.).

Il riconoscimento, di cui all’art. 1 lett. a) del D.P.C.M. 26 aprile 2020, del diritto di ritornare nel proprio domicilio e nella propria residenza appare idoneo a superare i problemi segnalati in ordine al concetto di coabitazione, ma non supera, sul piano delle fonti del diritto, l’impasse da ultimo focalizzata.

In questo decreto del Presidente del Consiglio, peraltro, si introduce la nozione di “congiunti prossimi”, ai quali, con autodichiarazione e alle condizioni indicate dalla norma, si può oggi fare visita.

Senza entrare nel merito delle modalità concrete con cui tale visita si può attuare (distanze da rispettare in casa, uso della mascherina, ecc.), non è sfuggito ai più la difficoltà di definire la locuzione “congiunti prossimi”.

Essa è del tutto sconosciuta al codice civile, mentre si rinviene un riferimento in quello penale, segnatamente all’art. 307, comma 4, c.p., nell’ambito del reato di favoreggiamento dei “ prossimi congiunti” che danno asilo o assistenza ai ricercati, presunti criminali. Ai sensi della legge penale, sono tali gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti. Non sono, invece, ricompresi gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole.

Poiché la norma penale è, però, eccezionale, essa appare insuscettibile di applicazione analogica, tanto più che non comprende, irragionevolmente ai nostri fini, i conviventi more uxorio e le relazioni d’amore non formalizzate o formalizzate, ad esempio, attraverso una promessa di matrimonio. Anche per queste categorie di soggetti, all’evidenza, deve ammettersi l’applicabilità della norma che prevede il diritto di visita, onde, volendo sintetizzare, quella in esame è una disposizione che potrà trovare un contenuto applicativo solo attraverso la valutazione del caso concreto, rapportato al parametro della ragionevolezza (PERLINGIERI, G.: Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015, pp. 4 ss.).

Se il codice civile non conosce la nozione di “congiunto”, la giurisprudenza civile ne fa, invece, un uso davvero generalizzato, talvolta intendendolo in termini generici, altre volte come sinonimo di genitori, fratelli e sorelle; altre volte ancora come sinonimo di suocera e nonna. In alcuni casi i congiunti coincidono con le categorie di obbligati agli alimenti (art. 433 c.c.) e loro eredi; infine, tanto per esemplificare, essi sono individuati in base allo ius sanguinis oppure allo ius successiosionis (giurisprudenza copiosissima: fra le più recenti, Cass. 8 aprile 2020 n. 7748, intende come prossimi congiunti: i genitori, i fratelli e le sorelle, relativamente alla prova per presunzioni del danno non patrimoniale in un incidente stradale; Cass. 25 febbraio 2020 n. 5099, intende come congiunta la madre, ai fini della liquidazione del risarcimento del danno; App. Ancona 17 febbraio 2020 n. 13, con riguardo all’obbligo di fornire i mezzi di sussistenza al figlio minore che ricorre anche quando vi provveda in tutto o in parte l’altro genitore con i proventi del proprio lavoro o con l’intervento di altri congiunti, genericamente intesi; Trib. Rieti 10 febbraio 2020, intende, ai fini del risarcimento dei danni, come congiunti il coniuge, la madre, la suocera e la nonna; App. Milano 14 gennaio 2020 n. 117, in tema di azione di rivalsa, avente contenuto di indebito arricchimento, proposta contro i congiunti del ricoverato che sono obbligati agli alimenti e contro gli eredi di tali congiunti, onde sarebbero congiunti le categorie previste dall’art. 433 c.c. e i loro eredi; Trib. Modena 4 gennaio 2020, intende congiunti i rapporti fra nonni e nipoti; Cass. 14 novembre 2019 n. 29548, in tema di scelta del luogo per la sepoltura fatto dai prossimi congiunti, da individuarsi nel ius coniugi, nel ius sanguinis e nel ius successionis).

Il ricorso al metodo casistico, secondo ragionevolezza, è però un parametro che può, a rigore, applicare il giudice che argomenta la sentenza, ma può ingenerare confusione là dove sia utilizzato dall’autorità di pubblica sicurezza.

Le c.d. F.a.q. chiarificatrici del D.P.C.M. 26 aprile 2020, pubblicate sul sito web della Presidenza del consiglio, circoscrivono la nozione di congiunto ai seguenti casi: “i coniugi, i partner conviventi, i partner delle unioni civili, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo, nonché i parenti fino al sesto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro) e gli affini fino al quarto grado (come, per esempio, i cugini del coniuge)”. Spetterà, di volta in volta, ai soggetti appartenenti all’autorità di pubblica sicurezza, come per esempio i carabinieri, i poliziotti e i vigili urbani, verificare il rispetto della previsione, sul presupposto che tali soggetti conoscano i concetti giuridici di parentela e affinità e siano in grado di calcolarne i gradi. Gli esiti saranno, di necessità, incerti.

Incertezza che appare ulteriormente complicata dal fatto che l’autodichiarazione necessaria allo spostamento conterrà soltanto l’indicazione del congiunto senza dati sensibili che lo riguardano, allo scopo di evitare la violazione della privacy (come, per esempio, l’indirizzo).

4. Si rendono, infine, necessari degli approfondimenti conseguenti alla morte del coniuge in rapporto al diritto abitativo.

Occorre distinguere l’ipotesi in cui egli sia proprietario dell’immobile da quella ove, invece, sia locatario e, in quanto tale, parte del relativo contratto.

Nel primo caso, soccorre l’art. 540, comma 2, c.c. (FREZZA, G.: “Appunti e spunti sull’art. 540, comma 2, c.c.”, in Dir. pers. fam., 2008, pp. 955 ss.), e, di conseguenza, opera il collegamento con la vocazione a titolo universale, onde il diritto abitativo e quello di uso dei mobili saranno subordinati agli stessi presupposti della chiamata all’eredità.

L’orientamento dominante, tenuto conto dell’autonomia fra la riserva nella quota del patrimonio di cui all’art. 540, comma 1, c.c. e quella di cui al comma successivo, ravvisa nel diritto in analisi una vocazione a titolo particolare, intesa quale legato ex lege di specie ad efficacia reale. Deve, di conseguenza, escludersi la necessità della sua accettazione, ma sorge, sul piano pratico, il problema di come il chiamato possa, invece, rinunciarvi, tenuto conto delle difficoltà che potrebbe incontrare a livello operativo (tempi di lavoro contingentati degli uffici pubblici e dei notai, difficoltà di reperire i cancellieri, ecc.): tutto ciò, ovviamente, anche a tacere dei problemi che possono emergere, più in generale, nel caso in cui il coniuge voglia accettare l’eredità con il beneficio di inventario (PERLINGIERI, G.: “L’acquisto dell’eredità”, in Diritto delle successioni e delle donazioni, I, 2 ed., a cura di CALVO, R. e PERLINGIERI, G., Napoli, 2013, pp. 179 ss.), potendo egli essere nel possesso dei beni, questione questa ultronea rispetto all’economia della presente indagine, ma che non dovrebbero essere trascurati dagli studiosi del diritto delle successioni.

Sempre sul piano pratico, poi, emergono problematiche relative alla trascrizione del diritto reale abitativo: trattandosi di un legato ex lege, l’onere della segnalazione non può ricavarsi dall’art. 2648 c.c., il cui comma 4 individua il titolo formale per la trascrizione in un estratto autentico del testamento, qui certamente assente. Né il notaio sarebbe tenuto a provvedervi ai sensi dell’art. 2671 c.c., non essendo i diritti in esame contenuti in un atto ricevuto o autenticato dal pubblico ufficiale, salva ovviamente l’ipotesi in cui il de cuius istituisca il coniuge nella sola quota a lui riservata.

La mancata o ritardata trascrizione verrebbe, però, a contrastare con il principio della continuità, onde sarà necessario provvedere facendo riferimento al certificato di morte, unitamente all’indicazione nella nota di trascrizione del vincolo coniugale con il de cuius, oppure ad un atto di accettazione del legato, ma l’uno e l’altro degli atti detti sarebbero oggi pressoché impossibili da ottenere e da realizzare, tenuto conto dell’eccezionalità e dell’emergenza in cui versa il Paese.

Al di là delle problematiche connesse al titolo, nel conflitto tra il coniuge superstite, titolare ex lege dei diritti in esame, e il terzo acquirente dall’erede nudo proprietario non potrà farsi riferimento alla regola di cui all’art. 2644 c.c., perché erede e legatario acquistano contemporaneamente dal de cuius i diritti, onde possono tra loro ben coesistere. Da qui, l’applicabilità dell’art. 534 c.c., dal momento che l’erede nudo proprietario ben può qualificarsi apparente in relazione al diritto di abitazione sulla casa, acquistato dal coniuge superstite ipso iure: la norma, fra l’altro, si considera applicabile anche ai rapporti tra legatario vero ed aventi causa dall’erede apparente. Affinché il terzo acquirente dall’erede possa far salvo, dunque, il proprio acquisto, saranno necessarie non solo la prova della sua buona fede, la natura onerosa dell’acquisto, la c.d. apparenza di diritto circa la titolarità del diritto abitativo in capo all’erede stesso, ma anche che la trascrizione dell’acquisto di quest’ultimo e del terzo acquirente siano eseguite anteriormente alla trascrizione dell’acquisto ex lege da parte del coniuge.

L’art. 6, comma 1, l.n. 392/1978, prevede, infine, un’ipotesi di subentro nel contratto di locazione a favore del coniuge, degli eredi, dei parenti e degli affini abitualmente conviventi con esso, determinando il sorgere di una particolare successione anomala a favore del coniuge. Si tratta, come noto, di un acquisto a titolo particolare, avente ad oggetto una cessione ex lege nella titolarità del rapporto locatizio a favore non già (solo) del coniuge superstite, quanto della massa congiunta degli aventi diritto: in analogia con il diritto abitativo sulla casa già adibita a residenza della famiglia di cui all’art. 540, comma 2, c.c., tale situazione va qualificata come legato ex lege.

Può accadere, sul piano pratico, che la morte per coronavirus del titolare del contratto determini la necessità di chiarire chi fra i legatari indicati dalla norma, nell’ipotesi che siano più di uno, debba formalmente intestarsi il contratto.

Ciò, a rigore, imporrebbe una scelta da comunicarsi con lettera raccomandata, considerato che la forma del contratto di locazione è scritta ai fini della registrazione, pena la sua nullità: se tale modalità, per ipotesi, dovesse oggi apparire troppo onerosa, il locatore dovrà, all’occorrenza, accettare una comunicazione attraverso qualsivoglia strumento informatico idoneo, anche ai fini della ulteriore informazione da indirizzare all’Agenzia delle entrate.

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